I Nibelunghi (1889)/Avventura Trentaduesima

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Trentaduesima
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Avventura Trentaduesima

In che modo Bloedelino fu ucciso


     Tutti eran pronti omai di Bloedelino
I cavalieri. Con lor mille usberghi
Ei si levâr per irne ove sedea
Dancwarto a mensa co’ famigli. Allora,
5Odio maggior d’ogni altro in fra gli eroi
Si levava e nascea. Come alla mensa
Bloedelin sire si accostò, con studio
Connestabil Dancwarto a sè l’accolse:
     Bloedelin signor mio, voi benvenuto
10A questa casa! Ma di ciò mi prende
Meraviglia d’assai. Che gli è cotesto?
     Farmi saluti non dêi tu, rispose
Bloedelino. E tua morte anche esser debbe

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Questa venuta mia, d’Hàgene colpa,
15Fratello tuo, che morto fea Sifrido.
Di ciò appo gli Unni paghera’ tu il fio
Co’ tuoi guerrieri assai. — No, no, signore
Bloedelin, rispondea Dancwarto allora.
Forte dovremmo noi d’esto vïaggio
20Fino a corte pentirci. Er’io fanciullo
Gramo e picciolo inver, quando Sifrido
Vita perdea, nè so qual cosa mai
Da me si cerchi d’Ètzel re la donna.
     Più di cotesto assai nulla so dirvi.
25Fean l’opra i tuoi congiunti, Hàgen, Gunthero,
E però sì v’è d’uopo, estrani voi,
Difendervi, chè scampo, oh! non avrete!
Pegno sarete con la morte vostra
Perchè Kriemhilde si consoli. — Allora
30Che ritrarvi da ciò voi non volete,
Disse Dancwarto, sì mi pento assai
Delle mie scuse. Risparmiarle, cosa
Era migliore! — E il cavalier gagliardo,
Ardito e forte, si balzò da mensa.

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35Trasse una spada acuta (e grossa e lunga
Ell’era), e tale a Bloedelin sferrava
Colpo tremendo, che gli cadde a’ piedi
Ratto la testa. Questo sia, Dancwarto
Cavalier disse, il nuzïal tuo dono
40Di Nudungo alla donna, a cui volevi
Pensier volger d’amore. Ella domani
Può ad altr’uom fidanzarsi. Il donativo
Di nozze s’egli vuole, opra simile
Gli si farà. — Detto gli avea frattanto
45Un degli Unni fidati, alta rancura
Avergli ordita la regina. Allora
Che lor duce vedean giacersi estinto
Di Bloedelin gli armigeri, cotesto
Lung’ora sopportar per gente estrana
50Ed ospite non vollero. Coi ferri
Alto levati, con desio feroce,
Elli a’ famigli s’avventaro. Oh! molti
Pentimento n’avean! Deh! con qual voce
Alta Dancwarto a que’ consorti suoi
55Gridava allora: O nobili valletti,
Vedete voi come faccenda nostra

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Andar vorrà! Vi difendete intanto,
Stranieri qui, chè di cotesto a noi
Tocca necessità, poi che la nobile
60Kriemhilde sì leal ci fece invito!
     Quelli che spada non avean, le mani
Stesero a’ banchi e sollevâr sgabelli
E molti e lunghi d’innanzi da’ piedi.
Cedere di Borgogna esti famigli
65Già non volean; però forti sugli elmi
Da’ gravi scanni scesero le bozze;
E le genti straniere, oh! di qual foggia
Si difendean ferocemente! Fuori
Da quell’ostello ei ributtâr gli armati,
70E cinquecento questi, e più fors’anco,
Morti là dentro abbandonâr. Di sangue
Erano omai di re Gunthero intinti
E molli i famigliari. Or, di là dette
Furon queste novelle aspre e dolenti
75D’Ètzel ai prodi (e grave duol fu questo),
Andarne ucciso Bloedelin con quelli
Uomini suoi. Fatto cotesto avea
Co’ suoi famigli d’Hàgene il fratello.

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Allor, pria che cotesto il re sapesse,
80A duemila adunârsi, o più d’assai,
Gli Unni in lor odio. A’ burgundi famigli
(Ciò veramente esser dovea) ne vennero,
E in tanti compagnia nessuno incolume
Ivi lasciâr. Dinanzi da l’albergo
85Una gran schiera gl’infedeli1 addussero,
E con valore gli ospiti valletti
Alla difesa stettero. Oh! che valse
Baldanzosa virtù? Morti giacere
Doveano tutti, e orribile, in brev’ora,
90Sterminio incominciò. Qui sì v’è d’uopo
Udir narrar di meraviglie accanto
Ad opre immani! Giacquer novemila
Colpiti a morte de’ famigli, e dodici
Cavalieri pur anco, ed eran questi
95Di Dancwarto degli uomini. Lui solo
Fu visto allor contro al nemico starsi.
     Lo scompiglio calmavasi, cadea

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Ogni clamor, guardavasi di sopra
All’omero Dancwarto il cavaliere
100E dicea: Quanti amici, ahimè! ho perduti,
Ed io, lasso! qui sol deggio dinanzi
A’ nemici restar! — Cadeano intanto
Spessi di spada sulla sua persona
I colpi, e ne dovean d’allora in poi
105Di molti prodi lagrimar le spose;
Ed egli in alto si traea lo scudo,
E la correggia in basso, indi fea molli
Di sangue che scorrea, d’eroi nemici
Molte corazze. Oh! mio dolor, gridava
110D’Aldrïano il figliuolo. Unni guerrieri,
Deh! vi scostate! All’aria aperta voi
Fate ch’io torni, perchè l’aria alquanto
Me me rinfreschi dal pugnar già stanco.
     Allor fu visto con baldanza fiera
115Quel gagliardo avanzar. Così da quella
Casa fuor si gittò l’uom dalla pugna
Oppresso e stanco. Sovra l’elmo allora
Deh! quante gli sonâr spade novelle!
Quelli che non vedean quale prodigio

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120Quella sua destra oprato avea, balzaro
Di contro a lui, nato in burgundia terra.
     Ora volesse Iddio, disse Dancwarto,
Che un messaggiero avess’io qui, che questo
Saper facesse ad Hàgene fratello
125Ch’io qui mi sto contro tanti gagliardi
In distretta cotale! Ei mi darebbe
Aita, o qui appo me cadrebbe estinto!
     Dicean gli Unni gagliardi: Il messaggiero
Sarai tu stesso, chè al fratello tuo
130Morto ti porterem. Così egli vegga,
L’uom di Gunthero, la sua doglia prima.
Ad Ètzel re gran danno festi invero!
     Ed egli disse: Le minacce vostre
Suvvia lasciate e vi traete a dietro.
135D’alcun altro io farò molli di sangue
Le maglie, perch’io stesso esta novella
Ridica in corte. E lagnarmi vogli’io
Di mio grave corruccio appo il mio prence!
     E di tal guisa d’Ètzel a’ gagliardi
140Ei tremendo si fe’, che a lui resistere
Non osâr con le spade; ei le saette

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Sì gli avventâr contro l’ampio suo scudo,
Che via di mano, per il peso grave,
Egli ’l dovè lasciar cadere. Allora
145Si pensâr quelli, poi che in man lo scudo
Più non avea, d’opprimerlo vicendo;
Ma deh! quante assestò traverso agli elmi
Profonde piaghe il valoroso! Molti
Ardimentosi innanzi a’ piedi suoi
150Dovettero cader. Però vi ottenne
Grande onore d’assai Dancwarto ardito.
     E quelli intanto contro a lui, da questa
E quella parte, s’avventâr; ma corse
Troppo presto davver d’essi qualcuno
155A la battaglia. Innanzi da’ nemici
Egli balzava come alla foresta
Un verro innanzi da’ segugi. Oh! come
Andar potea colui più ardimentoso?
Ma rinfrescato per il sangue e molle
160Per lui la via si fea. Di miglior guisa
Mai non potea gagliardo cavaliero
Co’ suoi nemici sostener la pugna
Ch’ei davvero non fe’. D’Ètzel fu visto

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Fieramente avvïarsi alla magione
165D’Hàgen prence il fratello. Ivi, di spade
Ratto udirono il cozzo i regi scalchi
Ed i coppieri, e a molti le vivande
Caddero e il vino dalle mani, in corte
Quali andavan recando. Al valoroso
170Vennero intanto su le scale incontro
Molti forti nemici, ed ei, già stanco,
Ora, o scalchi, suvvia! disse, v’è d’uopo
Degli ospiti aver cura! Anche v’è d’uopo
Recar le dapi elette a’ vostri prenci,
175E a me lasciate ch’io novelle dica
A’ miei signori più diletti. — Allora
A quelli sì, che gli balzâr di contro
Con impeto e vigor su per le scale,
Di spada egli assestò colpi sì fieri,
180Che per tema di lui trarsi più a dietro
Elli dovean. Quel valor suo gagliardo
Prodigi grandi assai quivi operava.


Note

  1. Gli Unni ancora pagani.