I bambini delle diverse nazioni/Alcuni bambini di paesi lontani

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Alcuni bambini di paesi lontani

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I bambini americani

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ALCUNI BAMBINI DI PAESI LONTANI



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enchè in questo capitolo non si possa parlare della educazione dei bambini selvaggi e descrivere i loro balocchi e i loro divertimenti, pure posso dire qualcosa di loro. Ormai abbiamo veduto come si vestono, come si nutriscono e come sono educati i bambini delle nazioni civili della terra, ma ancora non sappiamo nulla degli strani bambini degli eschimesi, degli indiani, di diversi abitatori delle isole e neppure dei piccoli africani e per questo, nel presente capitolo mi propongo di dare alcuni cenni dei tratti caratteristici di quelle nazioni e tribù, incominciando dagli eschimesi.

Sono questi gli abitanti dell’estremo lembo settentrionale dell’Europa e dell’America, e in questi ultimi tempi quelle regioni polari furono visitate da diversi bastimenti. Gli eschimesi sono popoli tranquilli, che vivono l’inverno in certe caverne scavate nel ghiaccio e l’estate nelle tende fatte di un tessuto di cotone fabbricato in America e si vestono di pelli di renne, di foca o di marmotta e [p. 168 modifica]portano i capelli tagliati sulla fronte alla guisa dei cappuccini. Le fanciulle eschimesi amano molto i nastri e gli ornamenti.

Le madri eschimesi vogliono tanto bene ai loro bambini, ma il loro amore è diverso da quello delle altre mamine, che fanno di tutto per sottrarli alla morte. La donna eschimese Eschimesi. — America del nord che sa quanto sia terribile la fame, poichè in quelle povere regioni gelate non vi è vegetazione e debbono gli abitanti vivere di caccia e di pesca, quando vede che la tribù cui appartiene soffre per mancanza di alimento, ella espone il suo bambino all’aria gelata e prima gli mette qualcosa in bocca per impedirgli di gridare, e quel povero piccino [p. 169 modifica]lasciato in mezzo al ghiaccio, perisce e la madre crede di averlo così preservato dal morir di fame, cosa secondo lei più orribile di ogni altra.

Qualche volta quando un bambino è esposto così, viene raccolto da un estraneo che lo adotta, e il piccino, divenuto adulto, passa la vita in uno stato molto simile alla schiavitù. Nonostante ciò, i viaggiatori che hanno visitato quelle regioni ci dicono che le madri sono realmente affezionate ai loro figli.

Quando i bambini e le bambine contano più di dieci anni si tengono divisi gli uni dalle altre; a nessun ragazzo è permesso di stare in compagnia delle donne, se prima non ha ucciso un cervo e dato prova di coraggio.

Penetriamo in una capanna di eschimesi della Groenlandia; la capanna pare un grande alveare; all’interno, sulla neve gelata sono distese molte pelli di animali, che servono di sedili e di letto. Una lampada di pietra è sospesa al soffitto; in quella lampada si brucia olio di foca e serve ad illuminare e a far da cucina. I bimbi e le bimbe rimangono rinchiusi in quella capanna durante il lunghissimo inverno, e con i loro giuochi rompono la monotonia della vita uniforme, che la famiglia è costretta a fare. Finalmente comparisce il sole ed i ghiacci si rompono.

Appena possono, gli uomini vanno a caccia anche durante l’inverno alla luce dell’Aurora Boreale, poichè nelle regioni vicino al polo il sole non si mostra per lungo tempo e su quei ghiacci splende solo la luce dell’Aurora Boreale.

Quando i piccoli groenlandesi escono, sono portati sulla schiena dalla madre o trascinati in una slitta e nutriti di pesce gelato o di foca. Quando cresce, il ragazzo eschimese impara a dar la caccia agli uccelli con le trappole, e il [p. 170 modifica]padre gl’insegna a guidare un canotto o Kyak, fatto di legno e coperto di pelli, o a gettare l’arpione alle foche e ad altri animali di quel genere. Questo tirocinio dura diversi anni, durante i quali il bimbo impara pure a guidare la slitta tirata dai cani, che pare cosa facile a prima vista, ma che offre invece molte difficoltà, perchè i cani sono ribelli e non vogliono tirare veicoli.

Il ragazzo eschimese crede di aver appagato la sua ambizione quando ha ucciso un orso, e gli uomini della sua tribù allora lo stimano adulto. Le bimbe eschimesi rivolgono invece alle faccende domestiche tutte le loro cure; e siccome non ci sono scuole ne giorni festivi, così esse imparano ad aiutare i genitori in ogni cosa. Gli eschimesi della Groenlandia sono un popolo operoso, e fra di loro l’ozio è riprovato moltissimo.

Ora parliamo degli indiani dell’America settentrionale.

Il piccolo indiano dell’America settentrionale è posto, appena nasce, in una culla fatta con ogni cura dalla madre. Non tutte le tribù indiane usano una medesima culla, ma l’esempio di una di esse può servire come tipo generale dalla Russia americana alle provincie meridionali del Messico.

Quella culla, veduta specialmente quando vi è il bambino dentro, non farebbe credere che la povera creatura potesse starvi comodamente, poichè essa è appesa e il bambino pare impiccato. Quella culla consiste in una tavola ovale, dalla quale da una estremità esce fuori la testa della creaturina, che sta rinchiusa e ferma mediante una coperta che avvolge la tavola e si affibbia sul davanti.

Il bimbo peraltro non sta male. Lo sorregge un legaccio fermato al dorso, e la tavola è coperta da molte pelli, che rendono soffice quel giaciglio; naturalmente è la mamma [p. 171 modifica]che pensa a questo, perchè le mamme sono piene di cure per i loro piccini in ogni paese. Quella tavola è coperta di pelli morbide e belle, che i babbi si procurano cacciando appunto per compiacere le mamme, quelle pelli sono tolte ai cervi, oppure sono sostituite da borraccina, dal cotone che cade da alcuni alberi, e in genere da ogni cosa soffice e morbida.

La prova che i bambini indiani stanno bene nella culla, è quella che gridano affinchè chi li guarda ce li rimetta, eppure sono legati lì dentro così strettamente, che appena possono movere la testa. Spesso quelle culle sono appese ai rami degli alberi quando le madri sono assenti e le creaturine dormienti in quella posizione perpendicolare debbono produrre uno strano effetto in chi le vede.

Le madri indiane hanno generalmente molto da fare, e sarebbero impacciate se dovessero portare sempre in collo i loro piccini o lasciarli per terra. La culla è dunque un aiuto per esse, e quando mettono i bimbi in terra e questi incominciano a gridare, li ripongono subito nella culla e i piccini si calmano.

Quando il bambino indiano cresce ed ha superate le malattie dell’infanzia, acquista forza e coraggio. Ma spesso è attaccato dalle malattie che colpiscono i bambini, e allora la mamma trema per lui e manda per il dottore.

Questi non è davvero uno scienziato che abbia fatto studi regolari all’università, ne pratica negli ospedali. Può essere maschio o femmina, ed è una specie di mago, poichè se nelle tribù selvagge ci sono strani bambini, vi sono pure donne e uomini strani, che credono le malattie sieno cagionate da uno spirito maligno, invece che da debolezza fisica o da contagio. Per quei miseri bambini non ci sono che due rimedi: la morte o la guarigione. [p. 172 modifica]

Le mamme farebbero di tutto per vederli risanati, ma credono che l’incantatore solo abbia il potere di guarirli, cacciando dal loro corpo lo spirito infernale con incantesimi e scongiuri.

Quando viene lo shaman o shamman (il mago o la maga) e se la natura non l’aiuta il bimbo è perduto irremissibilmente. Il mago incomincia a gridare, brucia dinanzi al bambino legna ed erbe, e lo fa quasi diventar pazzo. Se dopo questa cura il bimbo vive, sopporterà certo ben altre malattie più serie. Il più delle volte peraltro muore, e i genitori sono tranquilli per aver fatto quello che potevano.

Viva o muoia il bambino, il mago è sempre egualmente lodato e tenuto in alta considerazione, poichè ha osato affrontare lo spirito maligno. Date queste circostanze, non è da far le maraviglie se il bambino indiano cresce forte e preparato ai duri lavori che gl’incombono, dopo aver superate gravissime malattie.

Supponiamo che il bambino indiano sopravviva ai mali che lo minacciano nell’infanzia, e occupiamoci di quel che farà se è maschio o femmina.

Il maschio, fra gli indiani, è destinato a divertirsi; la femmina a lavorare. Gli indiani cacciano, pescano, si battono, si esercitano nel maneggio delle armi, ma non lavorano, poichè il lavoro spetta alla donna.

Il bimbo indiano è molto vispo, e fa quel che gli piace. Dal giorno in cui può staccarsi dalla sottana della mamma diventa selvaggio. Va dove gli pare e quando gli pare. La mamma, non fornendolo di vesti, non ha per conseguenza paura che le guasti o che si faccia strappi nei calzoni; così non sente rimproverarsi per avere gettato il cappello in mare o per aver lasciato un brandello di giacchetta ad un chiodo; no, il bimbo indiano è libero come gli uccelli, [p. 173 modifica]impertinente, impudente, privo di rispetto verso i superiori ed anche verso il padre e la madre. Se percuote le sorelle nessuno lo sgrida, anzi è applaudito; nessuno ha autorità su di lui e perciò cresce ardito e battagliero. Americani (Patagonia)

La natura umana è la stessa per tutti, e qualunque bambino, sia nero o bianco, sarebbe selvaggio se l’educazione e la civiltà non lo tenessero a freno.

I ragazzi indiani nuotano nei laghi, fanno corse, giocano, rincorrono i cani, pescano e cucinano la loro preda, e sopra [p. 174 modifica]tutto mangiano. Essi mangiano sempre, meno che quando dormono, e forse anche allora hanno qualcosa in bocca.

Gl’indiani si servono di armi lunghe, archi e frecce. Non hanno balocchi, ad eccezione forse di una palla e di un aquilone. Sono distruttori per istinto e uccidono gli uccelli, ne rubano i nidi, e in genere non fanno altro che divertirsi, finchè non giungono all’età in cui debbono essere «valorosi.» Allora il ragazzo ha acquistato tutta l’esperienza che gli è necessaria. Egli sa: leggere nelle stelle e guidarsi da sè; dal volger di una foglia sa dire che direzione ha preso un uccello e di che specie era. È allegro, affettuoso e sporco quanto è possibile; benchè sia quasi sempre nell’acqua non può lavarsi la pelle impregnata di olii e di grasso.

La bimba indiana cresce diversamente; non appena può camminare, si veste e aiuta la madre nel portar legna e acqua e nell’intrecciar giunchi. Quando è più grande, ella continua a lavorare e non ha tempo di baloccarsi come i fratelli. Ella ricama le pelli degli animali uccisi dagli uomini, va in cerca di frutti è non sta mai in ozio.

Un giorno che la ragazza è grande e forte viene un guerriero della sua o di un’altra tribù, la toglie ai genitori e dalla tenda della madre passa nel wigwam del guerriero, impara a fare una culla e fa per i propri figli quel che sua madre ha fatto per lei.

Il ragazzo divenuto grande caccia, pesca, si batte e perisce probabilmente in uno scontro con le milizie degli Stati Uniti in una zuffa fra indiani.

I bambini dell’Asia centrale restano poco tempo bambini. Quando avrete saputo che le bimbe di otto anni sono donne fatte e che a nove possono maritarsi, capirete che non hanno molto tempo da dare a divertimenti infantili. [p. 175 modifica]

Quei popoli sono musulmani e non starò a descrivervi i loro riti sacri. Basti sapere che quando nasce un maschio il padre nasconde sotto il pavimento un osso di montone; quando nasce una femmina nasconde invece un osso di cane dal lato opposto della porta che mette nella camera del neonato, il quale non deve portar camicia per quattro giorni e quando ne sono passati nove la nonna porta una culla in cui è collocato. Allora i genitori ricevono le congratulazioni, e vengono gli amici portando doni e si toglie il lume che è stato acceso accanto al bambino per tener lontani gli spiriti malefici o il mal d’occhio e il piccino resta nella culla durante le feste: se ne fanno due per la nascita di un maschio e una per quella di una femmina.

Il bambino asiatico è sottoposto a certi riti che sono in uso nell’oriente, e la prima volta che gli sono tagliati i capelli sono messi in una bilancia insieme con dell’oro e dell’argento e quando è raggiunto il peso stabilito, la somma che era stata posta sulla bilancia viene distribuita ai poveri. Quando ha più di quaranta giorni il bambino si fa uscire, ma non prima, per paura che avvenga qualcosa di sinistro.

A cinque o sei anni il bimbo musulmano va a scuola dove impara l’alfabeto e il Corano e legge sempre a voce alta, stando seduto per terra intorno al maestro. A sette anni il bambino sottoponendosi ad altri riti, doventa un buon musulmano e continua ad andare a scuola dal sorger del sole fino al pomeriggio. Per quelli che vogliono farsi preti ci sono i collegi e colà l’insegnamento dura quindici anni.

Il padre di un musulmano, quando il figlio ha toccato i sedici anni, pensa ad ammogliarlo, gli sceglie una [p. 176 modifica]fidanzata e l’affare è discusso fra gli amici. Il giovane manda al padre della ragazza dei doni, secondo come è ricco, ma non può vedere la sposa altro che col velo sul viso finchè non è fatto il contratto di nozze.

Le bambine vanno pure a scuola, dove imparano le cose elementari e sono ammaestrate nei lavori d’ago, ma vi rimangono poco, perchè si maritano a tredici anni e a trenta sono stimate vecchie.

È difficile sapere altre notizie dei bambini musulmani; nel Marocco stesso era pericoloso di viaggiare fino a un tempo non molto lontano da noi e la Persia perfino è poco conosciuta. Siccome questi paesi sono tutti maomettani, in essi è quasi simile la vita che fanno i bambini. Il maestro moro insegna ai suoi alunni seduto per terra come il maestro dell’Asia centrale di cui ho parlato poco prima.

Nel Marocco s’incontrano arabi e mori; questi invasero un tempo la Spagna e vi hanno lasciato molte splendide reliquie architettoniche. Essi parlano volentieri per mezzo di proverbi. Ve ne sono tre di quei proverbi moreschi che dicono:

     Non stare in piedi quando poi sedere,
     Non camminare quando puoi fermarti,
     Non correre quando puoi camminare.

I bimbi vanno da piccolissimi a scuola al Marocco e sono trattati a bastonate dal maestro. Le bambine non studiano perchè si ritengono creature inferiori e indegne di avere lo stesso grado di cultura degli uomini, così le piccole more crescono ignoranti e poche sono quelle che sanno leggere.

Quando un ragazzo ha imparato qualcosa del Corano è messo sopra un cavallo e condotto per la città come [p. 177 modifica]«laureato nel Corano.» Se vuol continuare gli studi va poi in collegio, ove impara la storia e le matematiche. Allora è un Thalet o letterato e può divenir Cadi o giudice.

Il piccolo africano, come tutti gli altri bimbi selvaggi, è molto trascurato finchè non sa fare qualcosa da sè. Le bambine sono disprezzata, come avviene in tutti i paesi poco o punti civili, e sono sottoposte a duri lavori, mentre gli uomini vanno a cacciare ed a pescare.

I ragazzi restano con la madre fino a dieci anni, poi passano sotto la sorveglianza del padre, che insegna loro a servirsi dell’arco e della lancia. In alcune tribù i ragazzi sono sottoposti alla tortura prima di essere considerati uomini.