I bambini delle diverse nazioni/I bambini d'Egitto

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I bambini d'Egitto

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I bambini di Turchia I bambini indiani

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I BAMBINI D’EGITTO



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n giorno, Rodopis dalle guance vermiglie, si bagnava nelle acque sacre del Nilo, quando comparve un’aquila maestosa, vide le piccole babbucce di lei sulla riva, le prese nel becco, le portò al palazzo reale, e le depose ai piedi del re. Questi, contento, del dono, disse che sarebbe stata regina colei soltanto che avrebbe potuto infilarsi quelle piccole babbucce. Tutte le donne egiziane cercarono d’introdurre il piede dentro alle piccole babbucce, ma non vi riuscirono: entrarono soltanto a Rodopis, e Rodopis fu regina e regnò nel paese.

Questa fiaba la racconta l’egiziano, accoccolato sul suo mustakeh (sedile), circondato dalle giare che contengono la dolce acqua del Nilo, l’acqua migliore che vi sia, e il piccolo arabo ascolta a bocca aperta l’antica fiaba di Cenerentola, che ha origine nelle leggende dell’antico Egitto.

Il bambino egiziano va in visibilio per tutto ciò che è narrazione, e specialmente per i racconti immaginosi.

Il suo paese è il paese delle meraviglie della natura e dell’arte, incominciando dal Nilo, che con le sue semestrali [p. 116 modifica]alluvioni dà vita e prosperità al paese, ed al quale si soleva nei tempi remoti sacrificare una fanciulla, facendola perire nelle sue acque; fino al deserto, con le sue immense solitudini di sabbia, e le sue oasi, e i miraggi che fanno apparire all’occhio stanco del viandante cupole, castelli boschetti di palme e ogni cosa che lo incanta per poi lasciarlo deluso; fino al simun, il vento ardente, che sollevando i granellini della sabbia, forma il zaboat, o colonna fatale agli uomini ed alle bestie; fino alle gigantesche piramidi e le sfingi e alle rovine di antiche tombe, di palazzi, e di vetuste e sontuose città.

Sì, l’Egitto è il paese delle meraviglie, il paese dei maghi e delle streghe, dei dervischi che ballano, delle donne velate e degli uomini col turbante, delle moschee, dei palazzi; della grande miseria e del gran lusso.

Appena nasce un bambino egiziano, la superstizione e la paura lo circondano e l’assediano. Affinchè non abbia il mal d’occhio non lo lavano, non lo vestono, e lo rendono più ributtante che sia possibile, nella speranza che quel potere maligno passi, senza accorgersi di lui, e senza molestarlo.

La madre, non contenta di non lavarlo, gli tinge la fronte e le gote di fuliggine o di gesso, oppure lo copre con un fitto velo nero, bramosa di salvarlo da mali immaginari. Amici, parenti e conoscenti vanno a vederlo, e tutti si affrettano a dire:

— Che brutto bambino! Fa proprio paura a guardarlo! —

Nell’udire questi strani complimenti, il padre e la madre ridono di compiacenza, sperando in quel modo di deludere la vigilanza del nemico.

Poveri genitori! Invece di prevenire l’immaginario mal d’occhio, dovrebbero pensare alle sventure cui espongono [p. 117 modifica]il bambino. Senza lavarlo, trascurandolo e lasciandolo crescere nel sudiciume, il bambino resta vittima di quella malattia d’occhi, che si chiama oftalmia egiziana, e spesso perde la vista da un occhio e qualche volta resta cieco.

Finchè un bambino musulmano o turco non ha un anno non è lavato, perchè non deve toccar l’acqua se non quando ha raggiunta l’età per la quale sono prescritte ai fedeli di Maometto le abluzioni di rito.

— Com’è la culla del piccolo fellah, o coltivatore? —

Vi lambicchereste il cervello per lungo tempo, senza trovare una risposta, se io vi rivolgessi una domanda come quella, e anche girando in tutti gli angoli della povera capanna abitata dalla famiglia del bambino, non la trovereste, poichè d’estate gli serve di culla il fango che è fuori della capanna, e l’inverno quello che vi è internamente. La capanna stessa è pure di fango, e di fango è fatto il tetto, e si appoggia sopra rozze travi o sopra fasci di canne. Non ci sono in quelle case nè finestre, nè mobili, nè letti. Talvolta il bambino è rinvoltato nel sudicio burko (velo del viso) della madre, ed è buttato in un canto, ma più spesso non ha nulla che gli copra le piccole membra, nè che gli serva di letto.

La cucina consiste in una pietra al di fuori della capanna con una o due padelle per cuocervi il modesto cibo, che il fellah si porta alla bocca mediante il pollice e due altre dita della sinistra, intanto che si serve della destra come di piatto.

Il bambino egiziano menerebbe una misera vita, se non lo circondasse l’aria dolce del suo paese e non lo riscaldasse il potente sole d’Africa.

Le case dei fellahen ricchi si compongono di due o tre cortili con le stanze aperte sulla sommità o chiuse in parte da travi o canne. Uno di questi cortili è destinato al bestiame; il resto serve alla famiglia. [p. 118 modifica]

Un sedile elevato in una di quelle stanze aperte indica il selamlik, o stanza in cui si riuniscono gli uomini ed i ragazzi. Nei giorni solenni quel sedile è ricoperto di tappeti o di stuoie, che si conservano poi il resto dell’anno insieme con i tesori della famiglia, consistenti nella cassetta dei gioielli, negli utensili di cucina, nei guanciali che servono da sedili, ecc.

I gioielli di famiglia sono filari di medaglie d’oro, collane ed altri ornamenti preziosi. Talvolta si vedono delle case in campagna con mura imbiancate e con finestre, ma sono rare. Ogni abitazione ha la sua colombaia, una specie di cupola di fango con dei vasi di terra per gli uccelli, ed ogni villaggio ha il suo gelso o il sicomoro, attorno al quale si adunano la sera i ragazzi del villaggio, mentre i genitori li stanno a guardare, muniti della grande chiave di legno, che serve a rinchiudere i loro tesori.

Maometto, che è il profeta dei seguaci della religione maomettana, era amantissimo dei gatti, e i suoi correligionari pure. Anche prima di Maometto, nei tempi antichi, si celebrava una festa a Bubastis, nel Delta orientale, in onore della dea Bast o Sekhet, la quale era rappresentata con una testa di gatto, ed a Bubastis si mandavano a conservare le mummie dei gatti favoriti di qualche persona. Spesso i gatti sono chiamati Bubastis, ma ora il loro nome familiare è Mau o Mie, e ciò dimostra che i gatti egiziani emettono gli stessi suoni dei nostri.

Ai tempi nostri c’è al Cairo una casa per i gatti abbandonati; e il popolo crede che i bimbi piccini si trasformino in gatti la sera quando vanno a letto affamati, e mentre il loro corpo è a casa immerso in apparenza nel sonno, il loro spirito in forma di gatto, vada in cerca di cibo. Per questo nessuno è crudele verso un gatto, pensando che [p. 119 modifica]possa quel corpo albergare l’anima di una bimba o di un bimbo affamato, e per questo il micio è amato, accarezzato e rispettato.

Quando il piccolo fellah non è più in età di fare il guardiano e il compagno del gatto, trova un altro compagno nel goffo bufalo, al quale monta a cavallo e da esso si fa portare nel fiume. In quell’età è mandato in una scuola elementare araba, dove impara a leggere, a recitare il Corano, e un poco a scrivere, dopo di che deve incominciare a provvedere alla propria esistenza, lavorando nei campi di cotone, o alla costruzione delle dighe e degli argini per trattenere le acque del Nilo, che in certe date stagioni inonderebbero tutto il paese, o aiutare a far la sementa, quando le acque si sono ritirate dai campi. Talvolta lavora alla shadof, una macchina che serve ad alzare l’acqua. Qualche volta fa pure il venditore ambulante o il conduttore d’asini nelle strade della città.

Il conduttore d’asini incomincia sempre la sua quotidiana occupazione facendo molto rumore, gridando e arrabbiandosi. Egli mescola all’arabo- molte parole straniere, e si tiene in gran conto, perchè sa usarle alla peggio. Al suo asino stesso rivolge la parola in quella lingua mista di tutte le lingue, che si parlano in Oriente, e che suona tanto male ai nostri orecchi.

Quando il conduttore è giunto a convincere un franco (europeo) di servirsi del suo asino, incomincia a frustarlo, a incitarlo ed a gridare ai pedoni di scansarlo se non vogliono rimanere schiacciati. Agli uni grida yemeneek! (a destra!) agli altri shimalek! (a sinistra!) e con la sua voce gareggia con quelle dei venditori delle piccole strade, i quali urlano a gola squarciata, offrendo arancie, cocomeri e rose che «fioriscono per la dolcezza del profeta!» [p. 120 modifica]

Quando i franchi sono stanchi di percorrere le anguste strade dove due asini passano a stento, l’uno accanto all’altro, essi dicono al conduttore di guidare il sognare (buricco) verso gli antichi palazzi, le tombe e le rovine che abbondano in Egitto. Forse a Luxor o agli altri villaggi Conduttori d’asini di Karnek, Medinet, Haba, ecc., che sorgono sulle rovine dell’antica Tebe, la città dalle cento porte, come la chiama Omero. È facile incontrare fra quei ruderi dei branchi di donne vecchie, di bambini, di polli, di piccioni e di cammelli. [p. 121 modifica]

Il ragazzo egiziano veste un kaftan (gabbano) di stoffa bianca e turchina ed ha un turbante in capo; la bambina porta una veste sciolta, di cotone, dello stesso colore, e un pezzo di mussolina sul viso.

I giuochi preferiti dagli egiziani sono il mankalah che si giuoca con sassolini o conchiglie. Un altro, il gered, richiede una grande agilità del corpo. Costumi di bimbi egiziani

Tutti gli egiziani accompagnano, generalmente, il lavoro con il canto, e sulle rive del Nilo e nei villaggi si sente spesso il suono del darabukkeh (specie di tamburo) e dei pifferi di canna, quello doppio, chiamato zummarek a l’altro arghool. [p. 122 modifica]

Ci sono molti giorni di festa in Egitto. Uno di quelli ricorre in primavera, ed è chiamato Shemm o Neseem, cioè sorriso dell’aria o dello zeffiro. In quel giorno le famiglie escono dalle città per andare in campagna; un altro è il Wefa en-Neel, o abbondanza del Nilo, e ricorre appunto quando il fiume è tanto alto da inondare le campagne. Quella cerimonia si fa al Cairo, ed i genitori conducono i loro bambini a vedere la Fidanzata del Nilo, e la barca ornata di nastri che le è ancorata vicino.

La Fidanzata del Nilo è un pilastro di terra, che sta invece della ragazza che si soleva sacrificare in antico, e la barca rappresenta quella nella quale era posta la vittima destinata a perire. Durante la notte sparano ogni quarto d’ora dalla barca un colpo di fucile, e di tanto in tanto incendiano un fuoco d’artifizio.

I bambini sonnecchiano prima che la cerimonia sia finita, e non si distinguono più i loro occhi neri, nascosti sotto le palpebre abbassate. Si metteranno subito le mani al cuore e s’inchineranno (questa è la forma del loro saluto) per tornare a casa.

Le bambine hanno quasi sempre dei nomi con grazioso significato, come Gazzella, Fiore, Principessa; i ragazzi si chiamano spesso Gergos (Giorgio). Un uso strano si trova in Egitto rispetto ai nomi. Si accendono tre candele di cera; ognuna di esse è chiamata col nome di un santo; il nome di quella di esse che brucia più a lungo, è il nome che porterà il bambino.

Parliamo ora dei collegi e degli altri istituti di educazione che vi sono in Egitto.

Il più grande collegio del mondo, addetto a una moschea, è quello del Cairo. Si chiama Azhar e contiene 12,000 studenti e 352 scheiks, o professori. Quella parola significa [p. 123 modifica]realmente «vecchio,» ma si applica tanto a coloro cui l’età ha conferito la saggezza, quanto ai maestri, ai magistrati ed ai preti.

Vi sono altre scuole in Egitto, dipendenti dalle moschee, ma l’istruzione che vi s’impartisce è molto meschina; infatti, vi sono pochi ragazzi che sappiano qualcosa più che leggere e scrivere, e poche ragazze che sappiano fare altro che ricamare.

Oltre alle scuole delle moschee ci sono quelle governative, che si suddividono in scuole militari, navali, mediche e altre di origine straniera, come quelle delle missioni. I piccoli egiziani imparano sempre due cose importantissime, cioè: il rispetto illimitato per i genitori e per le persone anziane; due cose che i bambini europei, con tutta la loro istruzione, sanno anche talora dimenticare.

Ma i nostri bambini sarebbero ben felici se la sorte permettesse loro di passare alcuni mesi in Egitto, non tanto per le bellezze speciali che possiede quel paese, quanto perchè sotto quel sole caldo crescono le palme, cariche di datteri; cresce la canna di zucchero ripiena del dolce liquido rossastro; cresce il banano, il pistacchio, e tutti i frutti gustosi o profumati, che formano la delizia dei piccoli ghiotti.

E di quei frutti gustosi non ne gode soltanto il bambino ricco, ma anche il povero fellah, perchè si vendono a modicissimo prezzo, in grandi canestre di vimini che il giorno servono di bottega ambulante ai venditori, i quali le posano sui marciapiedi delle vie e vi si accoccolano accanto, e di notte fanno da letto e da casa a una gran parte della popolazione delle città, che manca di quello e di questa.