I bambini delle diverse nazioni/I bambini indiani

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I bambini indiani

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I BAMBINI INDIANI



II
bambini indiani, per quanto ho potuto studiarli attraverso ai libri, mi è parso che differissero molto dai bambini nati in altri paesi. Ad essi manca quel tratto principale del carattere infantile, che è la spensieratezza. Pare che la vita fino dai primi anni, sia per loro cosa molto solenne, molto seria, e nelle loro faccie si scorge un che di grave e di posato, che li fa apparire vecchi. Anche nei loro giuochi, nei loro divertimenti, conservano quell’atteggiamento solenne, che gli altri bambini prendono soltanto quando scimiottano fra loro le persone grandi, e che si dilegua in risate.

Forse i piccoli indiani debbono la serietà alle cerimonie del culto loro, ai misteri della loro religione, alle etichette di casta, a tutte quelle cose solenni e noiose a cui sono iniziati fino dai primi anni.

Gli inglesi, i quali dominano nell’India, sanno poco intorno alla vita di quegli sciami di bambini che si aggirano nei villaggi. Vedono soltanto i figli dei loro servi, [p. 126 modifica]che incontrano nel giardino o intorno alla casa. Sono bambini, in genere, assai belli di viso. Hanno abbondanti capelli neri, occhi grandi e neri, e, bellissimi denti bianchi, che risaltano sulla pelle scura del volto. Indiani dell’Indostan

Peraltro non sono belli nè graziosi di forme; alcuni per la eccessiva magrezza, altri per la eccessiva pinguedine. Sono però cortesi di maniere, e, se v’incontrano per la strada, non corrono a nascondersi se prima non vi hanno [p. 127 modifica]fatto un inchino. Con una buona parola, col dono di pochi dolci, uno riesce facilmente ad amicarseli.

I bambini piccini nell’India sono appena vestiti.

Le madri, peraltro, ungono i loro corpicini con l’olio, e tingono col nerofumo le loro ciglia, perchè credono che ciò giovi alla vista.

I bambini hanno in genere moltissimi capelli, ma spesso, e specialmente nell’estate, hanno la testa rasa. Se sono maschi, vien lasciata loro una coda di capelli sulla sommità del capo. Fra gli indù quella coda è considerata sacra, e nessuno la taglia mai. Alcuni genitori fanno voto di non tagliare i capelli ai loro figli fino all’età di dodici anni, e per questo i maschi, con le lunghe code, sono spesso presi per femmine. Quando finalmente raggiungono i dodici anni, c’è una gran festa in famiglia per la tagliatura dei capelli; il Bramino, cioè il sacerdote di Brama, riceve molti doni; il ragazzo indossa abiti nuovi, e si fanno molte e varie cerimonie.

Spesso, subito dopo la nascita di un bambino, i genitori di lui consultano un astrologo, il quale giunge munito di diversi strumenti del mestiere, come compassi, tavole solari, rotoli di carta coperti di segni cabalistici.

Egli consulta, o meglio, pretende di consultare, le stelle, e di leggere nel libro del destino le vicende della vita futura del bambino. I genitori fanno tesoro delle parole dell’astrologo e lo consultano spesso nei momenti solenni della vita del loro bambino.

L’imposizione del nome, che si fa quando il bambino ha dodici giorni, è pure una cerimonia solenne. I nomi preferiti sono quelli degli Dei o delle Dee, e spesso s’impongono pure i nomi di fiori; mai il nome dei genitori. La scelta del nome spetta alla madre, ma se il padre [p. 128 modifica]non è contento della scelta, allora si rimette la decisione al caso. Sopra un cartellino che porta scritto i due nomi sono collocati due lumi. Il nome coperto dal lume che arde meglio è quello scelto.

La nonna provvede quasi sempre il corredo per il bambino che nasce.

Esso consiste in corpettini a modano, ricamati a colori vivaci: scarlatto o giallo; scuffiette pure a modano, e altri corpettini di cotone per i giorni freddi. Però questi oggetti di vestiario sono adoperati soltanto nei giorni di festa; negli altri giorni i bambini, anche delle classi ricche, non portano spesso altro che una cintura intorno alla vita, e le bambine i loro gioielli. Le piccole indiane, appena nate, sono coperte di oggetti preziosi. Portano anelli d’argento al naso, buccole e collane.

Per questo i bambini sono spesso rubati e uccisi dai ladri, che vogliono impadronirsi di quegli ornamenti.

I bambini maomettani portano intorno al collo degli amuleti d’argento nei quali sono incassate delle striscio di carta, su cui sono scritti dei versetti del libro sacro: il Corano.

I bambini indù portano altri amuleti, come un dente o un artiglio di tigre, conchiglie e monete. Le madri non dicono volentieri quel che mettono al collo ai loro bambini.

I bambini indiani amano i piccioni, i pappagalli e gli stornelli che chiamano Mainas; spesso si vedono nelle case delle pernici e dei conigli domestici. I bambini maomettani e gli indù preferiscono i cani ad ogni altro animale.

I loro balocchi sono generalmente di terra cotta colorata di legno, e rappresentano animali dalle strane figure.

Essi si divertono in certe stagioni a far volare gli [p. 129 modifica]aquiloni, ad andare sull’altalena e a giuocare a palla. La festa massima, per i piccoli indiani, è quella che si celebra per il ritorno di Rama. I genitori, anche poveri, fanno di tutto per guadagnare un po’ di denaro e procurare qualche divertimento ai loro piccini, divertimento che consiste nel mandarli sull’altalena, nel far fare loro qualche giro sopra un elefante o un cammello, e comprare qualcuno dei balocchi di cui ho parlato sopra.

I ragazzi indiani si baloccano con la terra impastata con l’acqua, come tutti gli altri ragazzi del mondo, ma, cosa strana, essi danno ai loro pasticci di fango la forma di tombe, che adornano di fiori e foglie, come le tombe dei loro antichi.

I bambini indiani incominciano ad andare a scuola all’età di cinque o sei anni; molti però sono istruiti da maestri, che vanno a casa di uno degli alunni, dove convengono altri due o tre ragazzi indigeni.

Nelle scuole, ogni classe è formata da otto o dieci alunni, i quali stanno seduti sotto un porticato, che serve d’ingresso. Il maestro sta in una estremità del portico con una bacchetta in mano, e i bambini nell’altra, curvi sui libri, e dondolandosi avanti e indietro mentre leggono.

Essi non imparano a scrivere le lettere dell’alfabeto come in Europa. I ragazzi prima tracciano le lettere in terra, nel fango o nella sabbia, con le dita o con un fuscellino, e quando hanno imparato, scrivono su tavolette di legno, chiamate tokkis, con l’inchiostro indiano-rosso. I bambini indù scrivono invece col gesso.

I bambini indiani hanno, in genere, un’attitudine speciale per l’aritmetica. Ordinariamente non sommano sulla lavagna; scrivono invece i numeri sulle foglie di palma con un ferro. [p. 130 modifica]

Le scuole indù sono di due generi, chiamate tols e pathasalas.

Le ultime sono scuole dove s’impartisce soltanto l’insegnamento elementare, e sono dirette da un maestro di villaggio; le prime sono di un grado più elevato, ed in esse s’insegna la grammatica e la logica. Le due scuole non hanno nessun rapporto fra di loro, e non si può passare dalla elementare nell’altra. Spesso le bambine sono istruite da una vecchia, che empie loro soltanto la testa di versetti del Corano, e qualche volta insegna loro l’alfabeto arabo. Ora però questo stato di cose tende a modificarsi, mercè i missionari inglesi, i quali cercano di istruire i piccoli indiani.

Forse sarete curiosi di sapere come si nutriscono i piccoli indiani e le ore dei loro pasti. Queste variano secondo le stagioni e l’orario delle scuole. Se la scuola è aperta dalle sei alle dieci, i bambini hanno un pezzo di pane prima di uscire, e, quando tornano, se sono bambini indù, hanno del dal e chapatis. Quest’ultime sono piccole paste fatte di fior di farina, acqua e spezie. Se sono maomettani, carne. La sera, alle sei, fanno un altro pasto. Fra questi due pasti principali mangiano frutte e dolci.

I maomettani desinano e cenano insieme con la madre e con il padre, seduti intorno alla tovaglia che stendono per terra. Presso gli Indiani, al contrario, il padre mangia con i figli, servito dalla moglie e dalle figlie, le quali, dipoi, mangiano gli avanzi.

Molte persone che non sono state nell’India credono, a torto, che la popolazione di quel paese sia sporca. Invece i maomettani e gli indù si lavano non solo prima e dopo il cibo, cosa indispensabile, visto che mangiano con le mani, ma fanno uso d’acqua più volte al giorno. [p. 131 modifica]

Non saprete forse, bambini, che nell’India vige una strana consuetudine: quella cioè di celebrare i matrimoni nei primi anni dell’infanzia. Presso gli Hundras un bambino prende moglie a cinque o sei anni; i Bramini invece prorogano la cerimonia del matrimonio fino a nove anni, quando un fanciullo ha raggiunto l’età della investitura della corda, e entra nella casta sacra. Spesso i Bramini ritardano il matrimonio fino all’età di quindici o sedici anni, ma la moglie non deve averne più di cinque. Le cerimonie che accompagnano la celebrazione del matrimonio sono molto lunghe e rivestite di una grande pompa.

Tutte le donne maritate portano nell’India, attorno al collo, un ornamento d’oro chiamato talky, che è il distintivo del loro stato. Se restano vedove, devono toglierlo, come tolgono l’anello dal naso detto nutt. Le povere bambine-vedove, che spesso non hanno veduto neppure in faccia il marito che debbono piangere, menano una vita ben triste. Non debbono prender parte a nessun divertimento, debbono mangiar male, vestirsi peggio, ed esser prive di ogni ornamento. Ora che le vedove dei Bramini o suttee non sono più costrette a perire sul rogo, è da sperare che anche l’altro uso dei matrimoni fra bambini sia per cessare, e con esso cessi un causa di tanta infelicità per le bimbe specialmente. È sperabile che col penetrare della civiltà nell’India, quei bambini perdano la tristezza che li fa parer vecchi, e doventino gai come tutti gli altri folletti che rallegrano la terra.