I cacciatori di foche della baia di Baffin/Conclusione

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Conclusione

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15. Gli esquimesi della terra di Baffin


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CONCLUSIONE


D
ue ore dopo, mastro Tyndhall ed i marinai, sbarazzato il terreno dai ghiacci e dalla neve che lo coprivano, entravano nella galleria indicata dalla croce e scoprivano la caverna che serviva di deposito.

Come il mastro aveva preveduto, conteneva ogni sorta di viveri: barili di farina, di pemmican, di porco salato, di biscotti, di pesce secco; casse di zucchero, di thè, di caffè, di cioccolato; barilotti di liquori, di succo di limone per combattere lo scorbuto, di vegetali in aceto, di pomi di terra, pacchi di tabacco, ecc. Vi erano inoltre delle vesti, delle coperte, delle lampade ad alcool, delle scuri, dei coltelli, dei ramponi e perfino delle armi da fuoco con abbondanti munizioni, e un’ampia provvista di carbone con relativa stufa.

Con simili provviste, che i marinai nella loro qualità di naufraghi potevano liberamente saccheggiare, vi era da passare comodamente l’inverno polare.

Mastro Tyndhall, che aveva già deciso di svernare nella grande caverna, fece trasportare colà una parte di quelle provviste, delle coperte e soprattutto la stufa e una grossa provvista di carbone. [p. 250 modifica]

Il tempo che si era mantenuto buono, permise loro di effettuare quei viaggi senza difficoltà, ma pochi giorni dopo l’inverno polare piombava su quelle regioni colle sue bufere, coi suoi nebbioni e colle sue furiose nevicate. Ormai però i naufraghi della Shannon e gli esquimesi se ne ridevano dei geli e passavano le giornate accanto alla stufa fumando il forte tabacco dei balenieri danesi.

La notte polare durò centosessanta giorni, rischiarata solamente dalla pallida luce della luna e dagli astri polari, o da qualche splendida aurora boreale, ma poi il sole fece la sua comparsa, illuminando per qualche ora l’orizzonte.

Durante quel lungo periodo di tenebre e di freddi intensi, i marinai e gli esquimesi non si annoiarono però. Avevano raccolti i denti delle morse che formavano, in un angolo della caverna, una catasta colossale, avevano conciato le pelli degli animali e fuso il grasso che avevano fatto colare entro una buca profonda scavata nella viva roccia.

Avevano inoltre esplorato dei lunghi tratti di costa, sperando sempre di trovare od i naufraghi od i rottami del Polaris, ma senza alcun frutto. Nemmeno gli esquimesi, più volte interrogati, mai avevano udito a raccontare che su quella terra avessero approdato degli uomini bianchi o che una nave si fosse fracassata su quelle sponde.

Ormai il mastro ed i suoi compagni non aspettavano che la comparsa di una nave baleniera, per imbarcarsi colle loro ricchezze.

La buona stagione finalmente ritornò sciogliendo i grandi banchi, che avevano invasa quasi tutta la baia di Baffin, e le nevi ed i ghiacci che si erano ammonticchiati per cinque lunghi mesi sulle coste. [p. 251 modifica]

Le foche e le morse ricomparivano lungo le spiagge, gli uccelli marini ritornavano in grandi bande per nidificare fra le rupi, e nei luoghi meglio riparati dai freddi venti del polo, cominciavano a spuntare timidamente i muschi, i licheni, le sassifraghe gialle, bianche e rosse, le betulle nane e le belle andromade che tengono posto delle eriche.

L’ora della liberazione non doveva essere lontana: ormai la baia era accessibile alle navi baleniere ed a quelle dei cacciatori di foche.

Fu il 28 maggio che la prima nave comparve sulle coste della baia di Home. Era un brick baleniere di Discko, montato da un amico di mastro Tyndhall.

Straordinaria fu la gioia dei naufraghi nel ritrovarsi sul ponte di una nave, e anche quella del baleniere nel rivedere il suo vecchio camerata, mentre lo credeva già morto di fame e di freddo sulle sponde della Terra di Baffin o fra i ghiacci del polo.

I denti, le pelli e l’olio delle morse furono imbarcati, ma mastro Tyndhall ne lasciò una parte ai bravi esquimesi, regalando per di più a loro i ramponi, il fucile, alcune pistole e abbondanti munizioni.

Il 29 maggio, dopo commoventi addii agli esquimesi, la nave baleniera salpava e tre mesi più tardi, terminata la stagione di pesca, il mastro ed i suoi compagni sbarcavano a Disko, la più importante e la più numerosa colonia danese della Groenlandia.

La prima domanda che fece Tyndhall sbarcando, fu di chiedere notizie del Polaris, credendo che qualche altro cacciatore di foche, più fortunato, fosse riuscito a raccogliere i naufraghi, ma ebbe il dispiacere d’apprendere che più nulla erasi saputo nè della nave, nè degli uomini che la montavano. Ormai erano tutti convinti [p. 252 modifica] che i disgraziati compagni del tenente Tyson fossero periti fra le onde del mar polare.

Il mastro non indugiò a vendere i denti, le pelli ed il grasso dei trichechi, realizzando una somma superiore alle sue previsioni, circa venticinque mila dollari, ossia centoventicinquemila lire. Si tenne la terza parte come gli spettava in qualità di comandante della spedizione, e divise le altre due fra i compagni di viaggio.

Il governo danese poi, in unione a quello degli Stati Uniti, non tardò a indennizzarlo della perdita della Shannon.

Oggi mastro Tyndhall è uno dei più ricchi negozianti di pellicce della Groenlandia e dal 1892 è borgomastro di Disko.