I cinque tiranni di Gabaon

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Gabriello Chiabrera

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La conversione di santa Maria Maddalena La pietà di Micole
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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VI

I CINQUE TIRANNI DI GABAON.

     Mentre in riva dell’Arno atti e sembianti
Erato canta, e femminil beltate,
Tu giù dall’alto ciel stellata il manto,
Urania, scendi, e meco altrui racconta
5Dell’ebreo duce in Gabaon i pregi,
I cinque re, ch’ei di sua man trafisse.
Sazio di seguitar l’orme fugaci
Del campo avverso il vincitore ebreo
Tornossi a’ campi di Maceda altero;
10Ed ecco, che dal ciel discesa a gli occhi
Di Giosuè l’alma giustizia apparve.
Ella beata in sulle stelle eterne
Appresso il seggio del gran Dio soggiorna,
Nè discende quaggiù, se non apporta
15Per decreto divin degni supplici,
E degne pene a’ scellerati in terra:
Ed or perchè cinque tiranni a morte,
Empie corone, Giosuè traesse,
Dalla superna regïon si move.
20Lucida spada con la destra impugna,
Ferro di tempra adamantina, e strigne
Con la sinistra mano aurea bilancia:
Il bel corpo di neve ostro le vela,
Che fiammeggiando infino al piè discende;
25E largo cinto di rubin contesto,
E di giacinti le circonda i fianchi,
Lieve stringendo le mammelle, e perla
Colà, dove s’affibbia, ampia riluce,
E di rai candidissimi sfavilla.
30Sì fatta al duce ebreo l’altera donna
Chiuso nel padiglion fassi davante,
E dice: forte, ed al gran Dio diletto
Successor di Mosè, che oltra il Giordano
I suoi seguaci di tua man conduci:
35Già sai tu ben, che nell’orribil pugna
Dianzi mirando il popolo disperso,
I regi per viltà gittaro l’armi,
E dentro una spelonca ognun s’ascose;
Or tu, da quelle tenebre fugaci
40Tratti alla luce, di tua man gli ancidi:
Che? tanto si assicura umano orgoglio,
Che per virtù d’un scettro, egli disprezzi
La spada, che a mia destra il ciel commise?
Siano specchio costor, che da’ più grandi
45Io soglio ricercar più gran vendetta.
Così dicendo, di veloce volo
Entro l’umide nubi si nascose.
Ma il gran guerrier, tutto infiammato i sensi
D’onesto sdegno, e nel real sembiante
50Tutto cosperso di terribile ira,
Esce del padiglion. L’altero busto
Era coperto di lucente usbergo,
Pregio infinito; e dal sinistro fianco

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Pendea la spada: il fiero acciar lucente
55Era rinchiuso in candido elefante,
Merce dell’India; e quello avorio intorno
Avea gran fregi d’ametisti e d’oro;
Ma l’else avean fra l’ôr vivi Smeraldi,
Ed aurea testa di leone Ircano,
60Forte crinita, era del pomo in vece;
Tra l’auree labbra di piropo i denti
Vibra feroci, e nelle ciglia irsute
Vivace di rubin foco fiammeggia.
Cotale usci fuor delle tende; poscia
65A se chiamato Otoniel, gli disse:
Arma tua squadra, indi colà t’invia,
Dove in chiusa caverna stan nascosti
Gli empi tiranni delle turbe oppresse,
E qui gli mena. Otoniele inchina
70Il sommo Duce, e per la via commessa
Alla chiusa spelonca affretta l’orme.
Ma Giosuè de’ cavalieri aduna
Le schiere armate, e con celesti note
Verso lor taciturni alto ragiona:
75Quel che a’ vostri avi, al dipartir d’Egitto
Per bocca di Mosè, l’Onnipotente
Avea promesso, o fortunati Ebrei,
Ecco adempiuto, e stabilito in parte:
I vostri piedi oltra il Giordan son fermi;
80Per voi stampansi l’orme in quella terra,
Che di latte e di mel terra può dirsi;
Dunque d’amore, e d’umiltate ardenti
Il Dio lodate d’Abraamo, e ferma
Tenete verso lui vostra speranza:
85Con che valor la sempiterna destra
A vostro scampo ei commovesse, aperta
Prova farà di Gericonte il pianto;
E voi pur dianzi rimiraste in campo
Ohamo il re d’Ebrone, e’l re Giaffia,
90Che signoreggia in Lachi, e’l fier Feramo,
Signor di Gerimoto; e’l rio Dabira,
Rettor d’Eglone, e l’orrido Adoniso,
Ch’è di Gerasalemme empio tiranno:
Di costor l’arme, ed i guerrieri uccisi
95Per vostra mano, ha Dio lasciati in terra
Esca di cani e di rapaci augelli,
Or di loro tiranni il vostro sguardo
Vedrà tronca la vita, e voi securi
De’ regni lor rimanerete eredi,
100Siccome ha l’alto Dio fermato in cielo.
Cosi dicea, quando co’fier tiranni,
Di guardia cinti, Otoniele apparve:
Mesti lo sguardo, e pallidi il sembiante
Venian pensosi; e Giosuè comanda,
105Che ciascun Duce Ebreo (lungo tormento)
Col piè calpesti a que’ superbi il tergo,
Indi verso gli eserciti favella:
Chi dianzi in arme servitute e morte
Vi minacciava, eccogli stesi in terra
110Sotto il piè vostro, or confermate il core;
Cotal sempre non meno ogni tiranno
Daravvi in forza il regnator celeste.
Come in tal modo ha favellato, impone,
Che tratti i prigionier gli sian davanti;
115Poi come gli ha d’appresso il guardo affisa
Ne’ lor sembianti, dalla fronte al piede
Gli va spiando tacito e pensoso;
Al fin sospinto da furor celeste
La spada impugna fulminoso, e fere
120Al fiero re di Gerimoto il petto:
Frange l’acuto acciar la carne, e frange
L’ossa, e s’immerge nel polmon ventoso;
Subito crolla, e le ginocchia ei piega
Impallidito, e palpitando a terra
125Va sulla piaga; ivi di sangue un rivo,
Mentre che fra singhiozzi ampio diffonde,
Sonno di ferro a lui volò ne gli occhi,
E di tenebra eterna il ricoperse.
Quando del rege Ebreo l’ira riguarda
130Dabira, allor di sè medesmo in forse
S’atterra lagrimoso, e giunge insieme
Le palme, e forte sospirando il prega:
O caro al Cielo, ed al gran Dio diletto,
Guerrier sublime, omai ciascun sel vede,
135Che sei solo Signor di nostra vita:
Or perchè dunque vincitore in guerra
Le tue vittorie, e le tue palme eccelse
Vuoi col sangue macchiar degl’infelici?
Noi non armammo nostre genti, in campo
140Noi non uscimmo d’alcuno odio accesi
Contra di te, poseci il ferro in mano
Comun disio di conservarci il regno,
Del quale or privi ti preghiamo almeno,
Per tua pietate, non ci trarre a morte:
145Rammenta il mondo instabile, rimira
Il corso incerto di fortuna; dianzi
Noi regnavamo, ed al girar d’un ciglio
Ci s’inchinava popolo infinito;
Or fatti servi ti piagniamo a’ piedi:
150È forse ver, ch’hai teco il padre antico,
Che ’l lango affanno dell’età consola
Con la tua gloria: or per la sua salute,
Per gli anni suoi canuti io ti scongiuro,
Per l’amor della nobile consorte;
155Se’l Ciel benigno il suo favor presente
Alla famiglia tua conservi intero;
Se fortunati, e del tuo regno eredi
In pace i figli tuoi serrino gli occhi
A te già stanco di regnar, ti caglia
160Di questi preghi. Ei si dicea piangendo,
A cui rispose il vincitore Ebreo:
Rammento il corso di fortuna incerto;
Rimiro il mondo instabile, ma quando
Usurpator delle provincie altrui
165Regnavate terribili ed ingiusti,
Non avea corso di fortuna incerto,
Non avea mondo instabile, non Dio
Era nel ciel che giudicasse altrui:
Ora egli vuol mostrar come è caduca
170Sotto il suo braccio ogni real possanza.
Cosi dicea: con la sinistra in tanto
Il crin gli afferra, e gli ripiega il collo,
E con la destra gli sospinge il ferro
Giù per entro la gola infino all’else.
175Allor scannato la cervice ei piega,
Sicché la nuca gli percuote il tergo;
Indi trabocca in sulla polve, e sgorga
Tepido sangue; e fra gelato orrore
L’anima se n’andò per l’ampia piaga,
180Non però di pallor tinto i sembianti.
Ma contro il grave risco il re di Lachi
Con saldissima voce a parlar prese:
Ne lagrimarmi, nè caderti a’ piedi
Tu mi vedrai, nè spargerò sospiri,
185Che l’esser nato re nol mi consente;

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Ma se tuo cor d’umanità sdegnoso
Non schifa ragionevole preghiera,
Io reputo d’avere, onde parlarti
Per nostro scampo, che con tal possanza
190N’hai combattuti, che a niun rimane
Cosa onde racquistar speri suo regno;
Non città forte, non tesor, non gente:
Or da che parte dei temer la vita
D’uomini di fortuna si deserti?
195Aggiungi poi, che per la nostra morte,
Disperati a ragion di lor salute,
Ti faran gli altri re via più contrasto;
Ma, se fidando in tuo valor, non curi
Al mondo forza di nemico, almeno
200Onora Dio, ch’ha titolo di pio.
Così diceva, e Giosuè risponde:
Perchè s’onori il sommo Dio, convengo
Dar vostro sangue alla Giustizia eterna:
Ei me lo ’mpone; e si dicendo ei vibra
205La sanguinosa punta in mezzo il ventre:
Ivi squarcia lo stomaco nervoso
Impetuosa, e tra le reni impiaga
Con largo foro, e quei supin trabocca.
Tal bella pioppo, che dell’Arno in riva
210All’anno caldo le fresche erbe adombra,
Che trapassando il villanel destina
Suoi forti tronchi a ristorar le rote
Del vecchio carro, onde recisa a terra
Traggela al fin la rusticana scure,
215Ed ella nel cader forte rimbomba;
Tal ruinando rimbombò sul piano
L’afflitto re, che sul fuggir dell’alma
Gemendo sospirò l’antico regno.
Ma per lo strazio altrui scorta d’appresso
220Omai ana morte, il re Giaffia sospinto
D’alto furore a Giosuè ragiona
Gridando: ab can d’inestinguibil rabbia,
Ora è si fatto il guerreggiar co’ regi?
Così s’adopra la vittoria? i prieghi
225Schernir de’ vinti? e confondendo il sangue,
L’un sopra l’altro dissipargli? e poscia
Osi chiamarti esecutor del Cielo?
Che tuoni Dio: che un fulmine ti spenga,
E t’innabissi, orrido mostro. Or quivi
230In se più queto il grande Ebreo rispose:
Chi serve, e teme d’Israelle il Dio,
Per sé non teme o fulmini od abissi;
Ma tu pur mori, e col tuo sangue insegna,
Come l’ira di Dio fulmina e tuoni:
235Non avrà sposa, che ti lavi, o madre,
Che di sua man gli occhi ti chiuda: i frutti
Son questi al fin della malizia altrui.
Al fin delle parole alza la destra,
E colà fere, ove si lega il collo
240Con duri nervi alla sinistra spalla;
Scende il ferro feroce in mezzo il petto;
E quei fatto di gel trabocca a terra,
E la chioma real per entro il sangue
Atro si macchia; in cotal forma alquanto
245Solleva gli occhi ricercando il Sole,
Poi scotendo le gambe, esce di vita.
Sopra lui morto Giosuè non posa,
Che di Gerusalem spegne il tiranno:
Egli presto al morir non fe’ parola,
250Ma con esso le man gli occhi s’ascose,
Forte aspettando la crudel percossa;
E Giosuè su per la testa il fere,
E spezza l’osso, e la cotenna, e parte
Il crudo ferro le cervella, e scende
255Giù per la gola, e gli disperde i denti,
Che lunge ei vomitò per entro il sangue.
Quale alta quercia, che divelse un nembo
Al ventoso apparir del crudo Arturo,
Cade sul prato, e fa sonar la valle;
260Tal cadde quegli, e fe’ sonar la terra.
E come allor, che alle belle onde intorno
Stansi le mandre de’ bifolchi Eoi,
Se Gangetica tigre assal gli armenti,
Spandesi un lago sanguinoso, e stesi
265Stanvi per entro lacerati i tori,
Che dianzi di muggiti empiean le selve:
Cosi dall’alta man ciascun percosso
Giacean tra il sangue i principi Amorrei.
Ma Giosuè dalla foresta impone
270Trar cinque piante a’ suoi guerrieri, e porle
Parte sotterra, e sollevarle al cielo;
Indi a quei tronchi immensi il busto appende
De’regi ancisi, e finchè il Sol trascorse
Stetter per l’aria, miserabil vista;
275Poi quando scorse l’umid’ombra oscura
A ricoprire il volto della terra,
Furo sepolti entro quell’antro istesso,
In cui dianzi fuggendo, ebber speranza
Di porre indugio all’odiata morte.