La conversione di santa Maria Maddalena

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Gabriello Chiabrera

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Il Diluvio (Chiabrera) I cinque tiranni di Gabaon
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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V

LA CONVERSIONE

DI SANTA MARIA MADDALENA

     Prendo a cantar siccome a Dio conversa
Versasse Maddalena alto cordoglio:
Ma come fa, che dell’amor terreno
Rompendo i ceppi, al Redentor sen corse
5Forte piangendo, ed impetrò salute?
Dal ciel discendi, e lo ci narra, o Musa.
Ella, come era usata, a par col Sole
Sorse dal letto, e col fidato specchio
Si consigliava un dì di sua beltate;
10Quando ecco Marta, a cui dolor profondo
Ponean nel cor quei suoi lascivi amori,
Le sovraggiunse, e di pietà cospersa
La fronte e gli occhi, a così dirle prende:
Benchè tante fïate, o cara, e dolce,
15Ed a me giocondissima sorella,
T’abbia pregata ad ammendar costume,
Oggi non rimarrò di farti i prieghi
Già tanto uditi, e fin che io duri in vita,
Io pur ti pregherò di questo stesso:
20Che io non posso mirar, che in preda al senso
Sì lungamente te medesma inganni;
Che certo è vero inganno, attender pace
Da questa carne, e per le sue lusinghe
Non prender guardia da’ tormenti eterni.
25Ma le parole mie non han possanza
Verso di te, perchè elle son mortali,
E formate di bocca peccatrice:
Che se per mio consiglio unqua t’adduci
La voce ad ascoltar del Gran Maestro,
30Ben ti veggio pentir di te medesma,
E segnare orme per novel sentiero;
Che il suo parlar non è parlar, ma fiamma,
Che accende l’alme vivamente, e forma,
Siccome a lui più giova, i sensi interni:
35A’ detti suoi vedrai tornar le lingue
Alla perduta lor favella, e gli occhi
Già tenebrosi rimirare il Sole;
Dileguarsi le febbri, e i piedi infermi
Imprimer per la via ratti vestigi:
40Ma che? pur dianzi dalle man di morte
Non tolse il figlio, e più che mai gioconda
Non ne tornò la vedova dolente?
Or cotanta virtù non sei tu vaga
Di rimirarla in parte? e se lontano
45Soggiornasse da noi per lungo spazio,
Breve non ci parrebbe ogni cammino
Per udire, e veder tanto Maestro?
Ed egli è qui; da noi non torce i passi,
Vive con esso noi; la strada insegna
50Della salute: ah teco stessa omai
Prendi a curar di te medesma, e pensa,
Che il tempo velocissimo cammina.
Così le dice, e da pietà commossa
Versava per lo sen fervido pianto.
55A cui rispose Maddalena, e disse:
Io già meco, sorella, avea fermato
Di vedere ed adir le meraviglie,
Onde ragioni: e forse il Sol nell’onde
Oggi non scenderà, che non s’adempia
60Anco per me nostro comun desire:
Or più non lagrimar; troppo severa
Scrivi la legge della fresca etate.
Ella così dicea, qual chi discorda
Col favellar da’ suoi pensieri interni;
65E mirandole il cor Marta sul viso,
Move dogliosa il piè per altra parte.
Ed ella intenta di bellezza a’ pregi
Piega i biondi capelli in varie trecce,
Ed in nastri dorati indi gli chiude;
70Ma per le tempie, ed alla fronte intorno
Innanellati gli dispone in giro;
Poscia ad ambe l’orecchie, onor del Gange,
Con oro appende gemini diamanti;
Ma l’alabastro del bel collo adorna
75Puro tesor dell’Eritree marine:
Indi da’ fianchi infino a’ piè distende
Ricca faldiglia di purpurea seta;
Indi veste su lei candida gonna

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D’oro contesta, e per Dedalea mano
80D’argentei scherzi varïata il lembo;
Poscia d’aurei legami ella s’annoda
Ceruleo vel sull’omero sinistro,
Cui deggia l’aura dispiegar per via:
Di leve legno, che di seta e d’ostro
85Tutto è coperto, ella guernisce il piede;
E la man poscia di rubini ingemma,
I cui vivi splendor miri la gente
Fiammeggiar sulla neve delle dita.
Al fin dell’acque e degli odor Sabei
90Tutta s’asperge, ed in maggior cristallo
La procurata sua beltà vagheggia,
Ed ivi i suoi lavor spesso corregge.
Sì dal vetro fedel preso commiato,
Esce dalla magion tutta pomposa,
95Tutta odorosa ad infiammare amanti:
Leggiadrissima i piè, lasciva il guardo,
Fassi veder ne’ Templi; indi partendo
Per ogni strada la città trascorre.
Come da rio digiun Delfin sospinto
100Per l’ampio seno dell’Egeo si gira,
Intento a depredare i pesci incauti,
Così la Donna ad involare i cori,
Pronta con gli occhi la città circonda.
Ma dentro i Tempj, e per le vie non ode
105Altro che ragionar del Gran Maestro:
Ch’egli a’ primi suoi detti al corpo estinto
Diede la vita, e nelle fredde membra
Ratto fece alloggiar l’alma partita;
Ode dirsi felice, ode beata
110Chiamarsi appien la vedovella madre,
Che cotanta dal cielo impetrò grazia:
Da sì fatta favella ella rammenta
Ciò che a lei Marta favellò pur dianzi:
Onde nel petto, già fallace albergo
115Di vani amori, ella venir s’accorge,
E non sa contrastar, nuovi pensieri;
Quinci va taciturna a’ proprj tetti,
Ivi s’asside, e l’agitata mente
Negli studj d’amor non si trastulla,
120Ma nuovo affanno, e non sa qual, l’ingombra.
Sì fattamente trapassò la luce
Del chiaro giorno, e poichè il Sol nell’onde
Tutto nascose il luminoso carro,
Non trova pace in sulle molli piume;
125Ma quando gli augelletti in caro nido
Stanchi fanno posar l’ali dipinte,
E li squamosi pesci in mezzo il mare,
E ciascuno animal sopra la terra
Sonno raccoglie, e per le selve ombrose
130Dietro le fere il cacciator non suda,
E lascia lasso il villanel l’aratro,
Ella più duri i suoi pensier volgea:
Sente nel cor profondo alta vergogna
Degli anni spesi vaneggiando, e brama
135L’anima ornar di via miglior costume.
Ma d’altra parte abbandonar non osa
I cotanti domestici diletti:
In così dura pugna ella non chiude
Gli occhi giammai, se non che presso l’Alba
140Pure il sonno l’entrò sotto le ciglia:
Ed allor di pietà vér lei sospinto
L’Angel, di lei fatto custode in prima,
Le s’appresenta, e tra gli aerei nembi
Forma si prende, che a mirarlo in volto
145La propria genitrice le rassembra;
E poi con voce di pietate, e d’ira
Così le parla: In veritate io debbo
Grazie alla morte, che mirare al mondo
Non mi lasciò di te tante vergogne,
150O non tanto per sangue, e per fortuna,
Quanto per ozio, e per lascivia illustre:
Dimmi per Dio, dove Mosè descrive
La legge, che per te così s’adempie?
Far forse l’orme immonde, che calpesti,
155Segnate da Giuditta? o pur l’esempio
Dell’antica Rachel così t’informa?
Per certo i loro amor son forte scusa
Di tua lussuria; Ah, Maddalena, omai
Pensa, che oltra la vita, che disperdi,
160Altra vita è per voi non più caduca,
Ma sempiterna: se giammai fu tempo
Da fermarsi nel cor cotal pensiero,
Oggi esser dee, poi sulla terra splende
La stagion di pietate, e di salute:
165Questa lieta stagion, questo bel giorno,
Quanto il buono Abraam, quanto bramolla
Il buon David? e a te di lei non cale,
Se non via men, che di volubil gioja?
Non così Marta; i cui consigli, o pronta
170Seguir tu devi, o reputar che indarno
Ne piangerai fra le miserie eterne.
Così forte le disse: e in grembo a’ venti
L’aeree membra egli depose, e sparve.
Ma palpitando dall’affanno interno
175La peccatrice rapida disgombra
Il sonno, e verso il ciel tende le palme,
Alto gridando: O di pietate immensa,
Divino abisso, anco dal ciel non sdegni
Invïar verso me santi messaggi?
180Così gridando ella rivolge in mente
Gli anni trascorsi, e le cotante colpe
Commesse amando, e le tessute frodi,
Onde fe’ guerra all’innocenza altrui:
Rapida allor dalle notturne piume
185Esce dispersa il crin, nuda le piante,
E grida errando nel rinchiuso albergo:
Mossa dal mondo a contrastar la legge
Da Dio formata, ebbi possanza, e forza,
Nè mai fui stanca ne’ miei proprj oltraggi;
190Dunque se contra il mondo ora mi accingo,
Da Dio commossa, anco possente e forte
Per mia propria salute esser dovrei;
Ma se l’uomo è quaggiù polvere ed ombra,
Invan di mia virtù prendo speranza,
195Padre del ciel; pur la tua destra eterna
A me fia larga di pietosa aíta,
Se a ben pregarla, ed impetrarla imparo.
Cotal dicendo il così caro innanzi
Tenero avorio de’ ginocchi piega
200Sul terren duro; e sospirando giunge
Le palme, e verso Dio prieghi rinnova:
Quanti dì, quante notti al viver mio,
Signor, donasti, io tutte in tuo dispregio
Con lungo studio a tuo malgrado ho speso:
205Ora non trasse il Sol, che a te nemica
Ogni mio senso io non mettessi in opra:
Lo sguardo, che dovea l’alte bellezze
Mirar del cielo, io sempre a terra il tenni;
Le labbra, che dovean preghiere e lodi
210Alla tua gran bontà, furo maestre

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Di lusingar con amorosi accenti;
Parte non è di me, salvo che rea
Di pena eterna; e ben leggier tormento
Fia, se tu miri al mio peccar, lo ’nferno;
215Ma se non è laggiù chi si rivolga
Verso il tuo nome, oggi risplenda un giorno,
Che sia giorno per me di tue mercedi.
In mezzo questi voci ella rammenta
Le numerose squadre degli amanti:
220Allor più caldo il lagrimare sgorga,
E singhiozzando incontra lor favella:
Alme, che liete correvate il tempo
Di vostra vita, ed io crudel per via,
Lassa! v’ancisi, unqua per voi consiglio
225Si prenderà di procacciar salute?
Ah, che se mar di vano amore in fondo
Vi riterrà, questi miei crin, questi occhi
Colpa n’avran, che tenebrosi e spenti
Stati fessero allor, che ve gli offersi.
230Cosi diceva, e disperdeva intanto
L’or della chioma, e con le proprie palme
Battea le ciglia, e di percosse alterne
Faceva il volto risonare e’l petto,
Ivi tingendo di livor la neve,
235Che tanta a gli occhi altrui diè meraviglia.
E già per l’Orïente il Sol spargeva
Candidi raggi, e Maddalena intenta
A sua salute, entro suo cor favella:
Ecco la luce che risveglia il mondo,
240Tempo è da gir, siccome Marta impose,
Al buon Maestro: ei che del figlio estinto
Seppe allegrar la vedova dolente,
Forse mi degnerà d’alcun conforto.
Così dicendo ella s’avvolse intorno
245Negletto manto, e rimirando i fregi
D’oro e di gemme, e le superbe pompe,
Onde soleva ornar la sua bellezza,
Le straccia, le disperde e le calpesta:
Non prende rete, onde i capei rinchiuda,
250Non ricca fascia, di che il sen succinga,
Non fior d’Arabia, onde per l’aura odori;
Ma gli irti crin su gli omeri disciolta
Vassene scalza, e sulla bella guancia
Appariva dipinto il gran cordoglio.
255Le turbe in rimirar chiedean dubbiose
S’ella pur fosse Maddalena, e quale
La percotesse repentino affanno;
Ed ella fissa ne’ pensier celesti
Cercando andava il Galileo Maestro;
260Poi dove intese, che Simone a mensa
Seco l’accoglie, di pregiato unguento
Vasel procura, ed a’ beati alberghi
Con frettoloso passo ella s’invia,
E ratto varca alla bramata stanza;
265Nè prima scorge il gran Signor, ch’umíle
Gli s’avvicina, e tacita l’adora,
E sul diletto piè versa gli odori,
Con gli occhi suoi tutto lavando intorno.
Qual suole in bel giardin correr fresca onda
270Per netta doccia, s’ortolano a sera
Ne brama ricrear pianta di cedro,
Cotal correa di Maddalena il pianto
Ch’ella spargea del Redentore a’ piedi;
Cui poscia del bel crin mesta tergea,
275Baci figendo alle beate piante.
Di meno angoscia vedovella geme
Se rimira morir l’unico erede,
Di quella, onde Maria s’afflisse e pianse:
Nè pianse in van; che da pietà commosso
280Sulle sue colpe il gran Signore eterno
Un largo fiume di mercè diffuse;
E contra i biasmi altrui le fece scudo
Con la sua voce, e le donò la pace,
Che mai poscia da lei non si disgiunse.