I drammi della schiavitù/11. La corrente equatoriale

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11. La corrente equatoriale

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XI.


La corrente equatoriale


Il 24 settembre, cioè quattro giorni dopo che la Guadiana aveva lasciato la baia di Lopez, il vento che fino allora si era mantenuto favorevole, cessò a poco a poco di soffiare, finchè si dileguò completamente.

La nave negriera era giunta allora nei pressi di quella zona chiamata dai naviganti delle calme e che si estende presso l’Equatore, fra le due grandi correnti dei venti costanti od alisei del nord e del sud; zona quanto mai pericolosa, poichè talvolta [p. 84 modifica] passano delle settimane intere senza che soffi la più leggera brezza, senza poi contare che la temperatura si mantiene ardente sia di giorno che di notte, provocando delle epidemie, specialmente sulle navi che trasportano un grosso numero di persone e soprattutto su quelle negriere.

Quasi tutti i negrieri, in questa zona perdono buona parte del loro carico e lo sanno i pescicani, i quali guidati dal loro meraviglioso istinto, seguono le navi con un accanimento straordinario, certi di avere, presto o tardi, delle prede.

Quella zona, che è un vero spauracchio pei naviganti, si chiama anche delle piogge, poichè quasi ogni giorno si scatenano acquazzoni violentissimi con accompagnamento di scariche elettriche furiose ma, cosa strana, non apportano alcuna frescura e il vento cessa bruscamente, quasi venisse assorbito dal grande calore che regna su quella regione.

La sua estensione varia, non avendo forma regolare: è una specie di V immenso, volto verso l’Africa. La sua punta estrema si appoggia alle Guaiane, intorno alla linea equatoriale; le due ali invece toccano, l’una le coste africane del Senegal, l’altra passa l’Equatore e scende verso il sud in direzione della Guinea inferiore, ma non tocca la costa e si perde verso il 7° di longitudine, meridiano di Parigi.

La Guadiana, che seguiva la corrente equatoriale, doveva quindi cadere in quest’ultima punta della zona ed affrontare quelle calme ardenti. Essendo però la stagione estiva appena cominciata1, il capitano era sicuro di sfuggirle presto e di raggiungere l’eliseo settentrionale il quale, al pari di quello meridionale, soffia costantemente su di una zona di 28 e perfino di 30 gradi non diventando variabile che al di là del 32° parallelo.

È bensì vero che la Guadiana avrebbe potuto evitarla lasciandosi trasportare dall’eliseo meridionale, e risalire poi la costa del Brasile fino alla foce dell’Amazzoni, suo punto di arrivo, ma a tutti premeva tenersi lontani da Sant’Elena, nelle cui acque gli inglesi tengono numerosi incrociatori per catturare le navi negriere che si recano a sbarcare i loro schiavi sulle coste meridionali del Brasile.

La Guadiana, adunque, erasi arrestata a sole trecento miglia dalle coste africane. Una calma assoluta regnava sull’immenso oceano, le cui acque erano tranquille come se fossero diventate oleose. [p. 85 modifica]

Le vele pendevano inerti lungo gli alberi ed il calore, che qualche giorno prima era ancora sopportabile, era salito bruscamente a 42° sul ponte ed a 46° nel frapponte, il quale era diventato una vera fornace dove i disgraziati negri fumavano come zolfatare.

L’equipaggio si era affrettato a disertare la coperta. Non vi rimanevano che il timoniere che veniva cambiato di ora in ora e pochi uomini di guardia. Tutti gli altri cercavano un rifugio nella stiva o fra l’umidità della cala.

Anche il secondo non faceva che delle rade comparse sulla coperta, per rilevare il punto a mezzodì e dare la rotta. Il rimanente della giornata se ne stava chiuso nella sua cabina, tutto solo.

Dopo la scena avvenuta col capitano e col negro Niombo, era diventato d’un umore intrattabile. Non parlava con nessuno, evitava d’incontrarsi col dottore e perfino col mastro, si teneva lontano dalla cabina del capitano e pareva che avesse abbandonato i suoi progetti verso la giovane schiava. Però quando la vedeva comparire in coperta assieme al dottore, per respirare un po’ d’aria della sera, allora un vivo lampo balenava negli occhi di quell’uomo e il suo viso pallido e butterato dal vaiuolo, si coloriva d’un vivo rossore, come se tutto il sangue gli affluisse al capo; quando invece s’incontrava con Niombo, che nella sua qualità d’uomo libero faceva qualche rada comparsa sul ponte, il pallore del bretone diventava più cadaverico ed i suoi sguardi si accendevano d’un cupo lampo che tradiva un odio mortale. Se fosse stato il padrone a bordo, quel re negro forse non sarebbe stato ancora vivo.

Per sette giorni la Guadiana rimase quasi perfettamente immobile sotto quella pioggia di fuoco, ma il due ottobre quella calma si ruppe bruscamente e dopo un violento acquazzone ed un gran numero di scariche elettriche, cominciò a soffiare una leggiera brezza del nord-est, la quale increspò quella vasta distesa di acqua.

Quel cambiamento di tempo portò un poco sollievo ai poveri negri che soffocavano nel frapponte e anche al capitano, che soffriva assai per l’eccessivo calore, costretto come era, a starsene racchiuso nella sua stretta cabina. Quel giorno, per la prima volta si mostrò di buon umore e divenne più loquace del solito, quantunque la sua ferita, che si cicatrizzava lentamente, lo facesse ancora soffrire assai.

– Mi sento più tranquillo, Esteban, – disse al dottore che stava seduto presso il capezzale, con la giovane schiava che non [p. 86 modifica] lasciava quasi mai la cabina. – Quella immobilità mi faceva soffrire e quel caldo mi opprimeva orribilmente.

– Ti credo, Alvaez – disse il dottore. – L’immobilità non è fatta per gli uomini di mare del tuo stampo, quantunque la nostra nave non rimanesse perfettamente immobile, poichè la corrente ci portava sempre.

– Ma è un fiume questa corrente? – chiese Seghira.

– Lo hai detto, un vero fiume che scorre attraverso all’oceano, – disse Esteban. – Un fiume che ha moto proprio e che ha per sponde e per letto le acque dell’Atlantico.

– È un fenomeno strano, dottore.

– Non dico di no, Seghira.

– E ve ne sono molti di questi fiumi?

– Parecchi, ma di queste correnti non ve ne sono che due veramente distinte e che hanno una velocità considerevole. Quella che ora noi percorriamo e che va a formare la grande corrente del Gulf-Stream e l’altra che solca il grande Oceano Pacifico. Le altre si rompono e si disperdono dopo un certo corso, ed hanno un velocità limitata.

– Credi tu, Esteban, che queste correnti abbiano molta influenza sui perturbamenti atmosferici? – chiese il capitano.

– Senza dubbio, Alvaez, come è cosa accertata che hanno molta influenza sui climi di certe regioni.

– Dunque, secondo te, sarebbero anche...

– Dispensatrici di calorico, Alvaez. Sai che senza il calore che dispensa il Gulf-Stream, per esempio l’Inghilterra sarebbe una terra polare o poco meno? Anche le coste di Spagna e della Francia, devono la mitezza del loro clima dalle calde emanazioni di un ramo della grande corrente, che si spiega appunto in quella direzione, lambendo l’Europa occidentale.

– Così, infatti, deve essere, Esteban, poichè l’Inghilterra si trova sui paralleli del Labrador, regione che è oggi quasi inabitabile per la rigidezza del suo clima, mentre invece le coste d’Irlanda godono una temperatura assai mite.

– Se si potesse deviare la grande corrente del Golfo quanti benefici recherebbe all’Europa. Le sue coste occidentali godrebbero un’intera primavera.

– E in qual modo?

– Basterebbe costruire una solida diga sulle coste dell’Africa e costringere la corrente a non ritornare al centro dell’Atlantico.

– La corrente equatoriale?

– No, quel braccio del Gulf-Stream che si ripiega verso [p. 87 modifica] l’Europa. Il grandioso progetto è stato studiato dagli scienziati, e chissà che un tempo non venga realizzato.

– Verrebbe a costare delle cifre enormi.

– Meno di quello che si crede, Alvaez. Affermano che basterebbe costruire una diga di sei chilometri, un po’ al di sotto dell’ultima isola del Capo Verde, per spostare la corrente e obbligarla a rasentare le coste dell’Europa, invece di passare al largo come fa ora.

– Ma dove si lascerebbe lo sfogo?

– Fra l’isola sopraccennata e la diga, la quale impedirebbe alla corrente di ritornare verso l’Atlantico centrale. Il calorico che essa spanderebbe sulle coste occidentali dell’Europa basterebbe per trasformare l’Inghilterra, la Francia e la Spagna in un paradiso terrestre, poichè godrebbero un vero clima tropicale. Questo non sarebbe poi tutto, poichè gli scienziati affermano che con un’altra diga si potrebbe avere in Europa pioggia o bel tempo a volontà.

– Permettimi di dubitare, Esteban.

– E perchè, Alvaez? Chi è che produce in Europa i rigidi inverni o le piogge disastrose? Sempre la corrente del Gulf-Stream.

– Ma in qual modo?

– Tu sai che il braccio principale della corrente, dopo di aver rasentato il banco di Terranuova e le coste della Norvegia, si perde nell’Oceano Artico. Colà le sue acque, che sono ancora tiepide, staccano le montagne di ghiaccio; queste scendono verso il sud, verso le coste inglesi e nel mare del nord o verso le coste norvegesi, si fondono, ma nello sciogliersi si appropriano gran parte del calore che trovano nell’atmosfera e nell’acqua e queste a loro volta si raffreddano. La condensazione dei vapori di acqua, che in parte ne risulta, è una delle cause principali delle piogge, che si rovesciano sull’Europa, in quantità maggiori o minori secondo la quantità dei ghiacci, che la corrente ha staccato dagli immensi banchi polari.

– Ti comprendo: basterebbe impedire quella discesa di ghiacci per eliminare le piogge, ma si correrebbe il pericolo di avere una siccità più disastrosa delle piogge torrenziali e del freddo apportato da quegli ice-bergs.

– Ma non si tratterebbe di costruire una diga, ma bensì un’immensa barriera mobile, solidamente ancorata, delle enormi zattere, per esempio. Sono abbondanti le pioggie? La barriera rimane chiusa e trattiene i ghiacci. Sono scarse? Si lascia il passo libero, [p. 88 modifica] e affermano gli scienziati, che dopo pochi giorni non vi sarebbe più siccità. Il progetto grandioso sarebbe degno di questo secolo.

– I tuoi scienziati, Esteban, sono pazzi.

– Io li chiamo invece grandi benefattori dell’umanità. I più grandi ingegni furono sempre trattati da pazzi, Alvaez, e non lo erano punto.

– È vero, – disse il negriero, – ma questo progetto mi sembra così grandioso da crederlo irrealizzabile. Chissà, forse le difficoltà non sono così grandi come sembrano e potrebbe darsi che i nostri nipoti lo vedano effettuato. Tutto è possibile, in questo secolo dei grandi ardimenti e delle grandi opere.

Il 3 ottobre, la Guadiana che filava con una velocità media di cinque nodi all’ora, essendo le brezze sempre deboli, tagliava l’Equatore a 20° 15’ di longitudine Est del meridiano dell’isola del Ferro, ed entrava nell’emisfero settentrionale per approfittare dell’eliseo e contemporaneamente della corrente che dovevano spingerla direttamente verso la foce dell’Amazzoni. Aveva percorso in quei dodici giorni un tratto relativamente assai breve in causa delle calme, ma ormai l’equipaggio si teneva sicuro di avvistare le coste brasiliane prima che il mese terminasse, non essendovi da superare che una distanza di poco più di duemilacinquecento miglia marine.

L’oceano si manteneva tranquillo ed era solamente solcato da larghe ondate, che correvano nel senso della corrente equatoriale. Malgrado quel perturbamento, le sue acque conservavano una trasparenza strana e si potevano discernere perfettamente i pesci a nuotare ad una profondità di oltre cento metri.

Questa estrema trasparenza dell’acqua non è solamente visibile nelle regioni equatoriali e tropicali; si osserva, anche nelle alte latitudini. Anzi nei mari boreali ed australi è maggiore, poichè i pesci sono visibili perfino a centotrenta metri sotto la superficie.

L’indomani vi fu un brusco cambiamento di tempo, che costrinse il giovane Vasco, a cui il bretone ormai affidava la direzione della nave, a far prendere terzaruoli alle vele basse per diminuire la superficie della tela.

Dei neri nuvoloni, gravidi di tempesta, s’alzavano verso il sud e s’avanzavano come cavalli sbrigliati, minacciando d’invadere tutta la volta celeste, mentre la brezza aumentava di minuto in minuto, prendendo le proporzioni di un vero uragano. A mezzodì la sua velocità era già di venti metri per minuto secondo, rapidità che acquista nei venti impetuosi.

L’oceano fino allora tranquillo, montò a vista d’occhio, scuotendo vivamente la Guadiana, la quale rollava e beccheggiava [p. 89 modifica] disordinatamente, rovesciando i poveri negri gli uni addosso agli altri. Quei disgraziati, che non avevano mai affrontato le collere dell’oceano, udendo i profondi muggiti delle onde, lo scricchiolìo del fasciame, dei corbetti e dei puntali del frapponte ed i sibili acuti del vento, che sferzava il sartiame della nave e sentendo quelle scosse disordinate, che li atterravano, emettevano sordi lamenti credendo che fossero per sommergersi.

Le madri, atterrite, si stringevano angosciosamente al seno i loro piccini i quali strillavano disperatamente ogni qualvolta che un’onda, più alta delle altre, riusciva a superare le murate, lanciando attraverso agli spiragli e ai sabordi del frapponte e delle batterie dei grossi spruzzi d’acqua.

Anche il capitano soffriva assai per quelle brusche scosse, che lo facevano trabbalzare sul letto, quantunque il dottore avesse avuto la precauzione di fasciarlo al materasso per attenuarle e perchè non si scomponessero le compresse della ferita. Si crucciava poi e assai per non poter lasciare la cabina, mentre al di fuori ruggiva la possente voce della tempesta, lui uomo d’azione che sfidava intrepidamente i furori tremendi degli oceani.

Seghira e il dottore faticavano assai a calmarlo ed a trattenerlo, perchè malgrado la ferita fosse ancora aperta, voleva farsi trasportare sul ponte e comandare lui la manovra.

– Il mio posto non è qui – ripeteva egli agitandosi come il diavolo nella pila dell’acqua benedetta, a rischio di scomporre le fasciature e di riaprire la ferita. – Udire i muggiti delle onde ed i sibili del vento e starmene su questo dannato letto, mentre la mia presenza è necessaria sul ponte e la Guadiana corre forse un pericolo, è cosa che fa impazzire.

– Mastro Hurtado è un vecchio lupo di mare, che sa il suo conto – rispondeva il dottore. – Lascia fare a lui e a Kardec, il quale, malgrado tutto, tu sai che è un valente marinaio.

– Kardec! – diceva il capitano coi denti stretti. – Io non mi fido più di lui!...

Tutta la notte la Guadiana, trasportata dal turbine, rollò e beccheggiò disperatamente come se fosse un fuscello di paglia od un tappo di sughero ed imbarcò acqua in grande quantità, essendo le onde talmente alte, da irrompere sopra le murate.

I lamenti degli schiavi non cessarono un solo istante malgrado le minacce e le imprecazioni delle sentinelle e le parole tranquillanti di Niombo, il quale aveva conservata la sua libertà. Le strida dei ragazzi erano così acute, da impedire, sopra coperta, di udire [p. 90 modifica] i comandi di Kardec, che aveva, in quel pericoloso momento, ripreso il comando della nave e quelli di mastro Hurtado.

Verso l’alba però la furia del vento scemò e la possente voce dell’uragano cessò, permettendo al capitano ed ai negri ammucchiati nel frapponte, di gustare un poco di sonno.



Note

  1. Nell’emisfero australe l’estate comincia in dicembre.