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I naufragatori dell'Oregon/11. Manovre misteriose

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11. Manovre misteriose

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10. Abbandonati sul rottame 12. Una notte angosciosa


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CAPITOLO XI.

Manovre misteriose.


L’isola di Borneo, sulle cui sponde i naufraghi dell'Oregon erano stati spinti dall’uragano, è la più grande, ma nello stesso tempo la meno nota e la più selvaggia terra dell’immenso arcipelago indo-malese.

È situata sotto l’equatore, nel mezzo di quell’ampio semicerchio [p. 88 modifica] formato dalle isole di Giava, Sumatra, Celebes e Filippine e si estende dal 7° di latitudine settentrionale al 4° 12’ di latitudine meridionale e dal 106° 25’ al 117° di longitudine orientale.

La sua massima lunghezza tocca le duecentoquaranta leghe marine e la sua maggior larghezza le centoventi; la sua superficie poi è così immensa, che dicesi eguagli quella di tutte insieme le isole dell’arcipelago della Sonda, cioè sarebbe di circa 36.000 leghe quadrate.

Questa grande isola ha dei grossi fiumi, ma non se ne conoscono ancora le sorgenti. Il Kappuas è il principale, poi vengono il Kotti, che sbocca nello stretto di Macassar, il Banger-Massing, che si scarica nel mar Giavanese, il Varauni, che si scarica nella baia omonima, il Soudakana, il Lava, il Sarawak, il Pagoro, il Ponthianak, il Sambas e parecchi altri, quasi tutti navigabili, ma le cui foci si perdono fra vaste paludi, nelle quali regnano tremende febbri.

Vi sono anche dei laghi: il Danao-Malagon, che è ricchissimo di pesci; ed il Chini-ballou, situato verso il settentrione, che ha quindici leghe di circuito, ma le cui acque biancastre sono pochissimo profonde.

Grandi catene di monti formano l’ossatura del Borneo, staccandosi dal gruppo principale che è formato dai monti Cristallini, i quali percorrono l’isola dal nord al sud. Uno solo però è molto elevato, quello di San Pietro, la cui cima tocca i tremila e cinquecento metri.

Due razze, entrambe selvagge ferocissime, si disputano l’interno dell’isola: i Dayaks, notabili per la loro alta statura, per la loro robustezza e per la tinta della loro pelle che è giallo-chiara con diverse gradazioni, ed i Bigiassi o Kajou, di carnagione fosca, svelti però, ben fatti, con lineamenti fini e regolari e somiglianti ai popoli dell’India.

Questi indigeni si odiano e si fanno una guerra mortale, ma odiano pure tutti gli altri popoli che vanno a stabilirsi sulle loro terre. Sono famosi per tagliare le teste ad ogni nemico che cade nelle loro mani; vivo o morto, viene decapitato.

Le coste invece sono abitate tutte da stranieri: da Malesi, da Giavanesi, da Bughisi, da Cinesi, da Macassaresi, da Indiani e perfino da Arabi. Mentre alcuni si dedicano al commercio ed alla lavorazione delle ricche miniere d’oro e di diamanti, come i Cinesi ed i Giavanesi, gli altri si occupano a corseggiare il mare a dispetto dei numerosi incrociatori che gl’inglesi e gli olandesi mantengono in quei mari.

Gli olandesi fino dal 1643 cominciarono a stabilirsi su quelle spiagge, fondando dapprima un banco a Pontianak, dietro un [p. 89 modifica] [p. 91 modifica] accordo fatto col re di Bantan, ma, discacciati più tardi colla forza, non vi ritornarono che nel 1748.

Da quell’epoca hanno cercato di allargare la loro prima conquista ed oggi la loro bandiera sventola sulla terza parte delle spiagge dell’isola, ma sono ancora numerosi i regni indipendenti.

Il più potente è il Sultanato di Borneo, che dall’estremità settentrionale dell’isola spinge i suoi confini fino agli Stati occidentali vassalli degli Olandesi, per una lunghezza di centosettanta leghe marine; poi vengono il Sultanato di Cotti sulle sponde orientali; quello di Semmeridan, costituito da una numerosa colonia di Bughisi; di Passir ad ostro di quello di Cotti, nido di formidabili pirati, poi di Samba, di Mumpava, di Landac, di Pontianak, di Sintag, di Sagù, di Mataro-Caudavang e di Simpag; ma questi ultimi sono tutti tributari degli Olandesi e sono tenuti in freno da forti difesi da guarnigioni bianche.

In quanto alla popolazione totale dell’isola, non si è potuto mai sapere a quanto ammonti, non essendo gli Europei mai riusciti ad inoltrarsi nell’interno che è abitato dai ferocissimi dayaks. Alcuni credono che tocchi i quattro milioni, ma altri ritengono, e più con ragione, che così vasta contrada abbia il doppio e forse il triplo.

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Il sole calava verso il mare tingendo di rosso gli estremi confini dell’orizzonte e nè O’Paddy, nè il suo malese si erano ancora fatti vedere.

Già sotto la foresta le tenebre cominciavano ad addensarsi e gli uccelli a poco a poco cessavano i loro stonati cicalecci. Le piccole lucertole volanti, le draco, come le chiamano i malesi, lunghe venti centimetri, con una coda compressa, e con certe membrane che s’allungano sui loro fianchi e che fanno l’ufficio di vere ali, si affrettavano a raggiungere le cime degli alberi, emettendo i loro ultimi gridi e spiccando delle volate di trenta metri; gli scoiattoli volanti, strani animali, più grossi di quelli comuni, pure forniti di membrane che partono dalle gambe anteriori e che si uniscono alle gambe posteriori, si celavano frettolosamente fra le fronde più folte per mettersi al riparo dai serpenti, mentre in alto cominciavano a volteggiare dei pipistrelli di dimensioni straordinarie, grossi come una gallina faraona, colle ali coperte di peli a riflessi giallastri, schifosi a vedersi, ma la cui carne è assai pregiata da tutti i popoli del Borneo.

Dei vaghi rumori si udivano nella foresta: dei sibili che [p. 92 modifica] annunciavano la presenza di serpenti, delle lievi grida come soffocate, dei sospiri rauchi e in lontananza echeggiavano di tratto in tratto dei clamori che parevano emessi da qualche banda di scimmie.

Il signor Held, il soldato, Amely ed il piccolo Dik, sdraiati ai piedi di un grosso cedro, colle armi a portata della mano, prestavano attento orecchio a tutti quei rumori che potevano annunciare un pericolo imminente, ben più temibile dei pirati malesi.

Non ignoravano che nelle cupe foreste di quella grande isola si celano delle superbe tigri, non meno sanguinarie di quelle del Bengala, quantunque di dimensioni più piccole; degli elefanti selvaggi, dei formidabili rinoceronti, e gli orang-outang, scimmie dotate di una forza erculea, alte più d’un uomo, munite di denti lunghissimi e quanto mai pericolose; come pure non ignoravano che là sotto vivono i Dayaks, i famosi tagliatori di teste, ed i Bagiassi, non meno feroci, anzi antropofagi.

Per tema di attirare l’attenzione di quei selvaggi figli delle foreste, non avevano osato accendere il fuoco, quantunque sapessero che questo li avrebbe protetti almeno contro le fiere.

– Preferirei essere ancora a bordo del rottame – disse il siciliano, che aguzzava gli sguardi sotto la cupa boscaglia. – Quest’isola gode una fama così pessima, che si desidererebbe esserne lontani mille miglia.

– Quella foresta mi fa paura – disse Amely stringendosi al petto Dik. – Mi pare di veder uscire, da un momento all’altro, qualche tigre.

– Abbiamo delle buone carabine, Amely – rispose il signor Held. – Quando si è armati non si deve aver paura, e poi non credere che le fiere osino sempre assalire gli uomini.

– Ma non udite questi rumori, signor Held?

– Sì, ma non m’inquieto. Non è la prima volta che passo una notte in mezzo ai boschi popolati d’animali selvaggi.

– Guardate, signor Held – disse in quell’istante Dik. – Non vedete quei fuochi, quelle fiammelle che si agitano laggiù, nella parte più oscura della foresta?...

– Non sono fiammelle, sono lucciole, specie di lampyrus, splendidissime. Sono così belle e dànno una luce così viva, che le eleganti malesi le racchiudono in globetti di vetro, per puntarsele poi nei capelli con degli spilloni d’argento. [p. 93 modifica]

– E quell’uccellaccio che vola là in alto, descrivendo quei giri tortuosi, cos’è?...

– Un kulong, ossia un pipistrello grosso come un piccolo cane, le cui ali aperte misurano perfino un metro e trenta centimetri. È un brutto volatile, ma affatto inoffensivo quantunque somigli ad un vampiro. Va in cerca di qualche ficus pisocarpa, essendo, quei volatili, assai ghiotti delle frutta di quegli alberi.

– Ma ne vedo un altro più grosso laggiù – disse Amely.

– Quello è invece un kubung, ossia un gatto volante, un mammifero di abitudini notturne, che ha due larghe membrane ai fianchi, le quali si riuniscono alle gambe e gli permettono di spiccare delle volate da cinquanta a sessanta metri. Anche quello è inoffensivo, non vivendo che d’insetti e di...

– Zitto, signore – disse l’ex-pescatore di coralli.

– Cosa avete udito?

– Dei remi sbattere l’acqua dalla parte della baia.

– Che sia O’Paddy che ritorna?...

– Od i pirati che cercano di sorprenderci?... Io sono diffidente, signor Held.

– Andiamo a vedere.

– Rimanete presso i ragazzi: andrò io.

Il soldato si passò una scure alla cintola, afferrò una carabina e s’inoltrò verso le rupi che difendevano l’alta spiaggia.

Il sole era già scomparso da un quarto d’ora ed una profonda oscurità avvolgeva la costa ed il mare, però l’acqua, rompendosi contro le scogliere, mandava dei bagliori come se fosse impregnata di molluschi fosforescenti, forse di nottilughe.

Il siciliano raggiunse un’alta rocca, dalla cui cima poteva dominare la profonda baia e spinse gli sguardi ai piedi delle scogliere. Non potè frenare un moto di sorpresa, scorgendo un’imbarcazione radere con mille precauzioni la sponda, procurando di mantenersi celata dietro alle rocce.

Era montata da tre uomini, ma le tenebre non permettevano di distinguerli con precisione e tutti remavano nel più profondo silenzio. Pareva però che mirassero più a spingersi verso il vascello, la cui mole gigantesca spiccava nettamente a fianco della grande rupe, che a prendere terra. [p. 94 modifica]

– Hum!... – fe’ il soldato, aggrottando la fronte. – Cosa cercano quegli uomini?... Dannate tenebre!... Sarei così curioso di vedere in viso quei misteriosi individui e... — Si interruppe bruscamente e sporse il capo in avanti, pur tenendosi celato fra le rupi.

– La scialuppa dell’Oregon!... – esclamò. – Cosa significa ciò?... Che sia O’Paddy che ritorna?... Ma no!... La scialuppa va al largo!...

Ed infatti era vero. L’imbarcazione si era staccata dalla sponda che aveva fino allora costeggiata e si dirigeva verso l’Oregon, ma colle medesime precauzioni di prima.

L’ex-pescatore di coralli, che non la perdeva di vista, la vide cacciarsi fra le scogliere, poi la vide riapparire più lontana e quindi avvicinarsi lemme lemme all’Oregon ed arrestarsi sotto la poppa.

Gli parve di scorgere qualcuno salire sullo steamer, poi ridiscendere in capo ad alcuni minuti, indi la scialuppa riprese il largo dirigendosi nuovamente verso la baia.

– Non comprendo lo scopo di questa manovra – borbottò il siciliano. – Non vedo chiaro in questa gita misteriosa.

Rimase sulla rupe sperando di poter distinguere quegli uomini nel momento che passavano sotto, ma invano, poichè si tennero al largo. Però udì un fischio modulato che pareva un segnale, e poco dopo una voce che diceva in malese:

– Nulla!

Il soldato, che aveva frequentato parecchi anni le isole malesi, aveva una certa conoscenza con quella lingua e comprese perfettamente quella parola.

Poco dopo vide un canotto, che fino allora doveva essersi tenuto nascosto in qualche seno, avanzarsi verso la scialuppa. Lo montavano sei o sette persone, e parevano tutte armate.

– Nulla? – chiese un’altra voce partita dal canotto.

– La nave è deserta.

– Che siano a terra?...

– Lo credo.

– Ritorniamo.

La scialuppa e il canotto virarono di bordo e s’allontanarono inoltrandosi nella profonda baia.

Il soldato ne sapeva abbastanza. Raccolse la carabina e raggiunse il signor Held narrandogli ciò che aveva veduto e udito. [p. 95 modifica]

– Che alludessero a noi? – si chiese l’olandese con inquietudine.

– Non può ingannarsi, signore – disse il siciliano. – Cercavano di sorprenderci, credendoci ancora a bordo dell’Oregon.

– Ma erano i pirati?...

– Lo temo.

– Che abbiano fatto prigioniero O’Paddy?...

– È probabile.

– Allora cercheranno di sorprenderci anche qui.

– Senza dubbio, signor Held.

– Cosa mi consigliate di fare?...

– Abbandonare prontamente questa sponda e rifugiarci nella foresta.

– Con questa oscurità?... E le fiere?... E poi come inoltrarci fra quei vegetali che non hanno passaggi?...

– Signor Held – disse Amely. – Risaliamo la costa verso il nord. Domani mattina ci ripareremo nella foresta.

– Credo che sia il consiglio migliore. Vi sono molte scogliere e potremo celarci in qualche luogo.

– Ed anche delle caverne – disse il soldato. – Dove vi sono le rondini salangane, se ne trovano sempre.

– Allora mettiamoci in marcia senza perdere tempo.

– Siamo pronti – risposero Amely e Dik.

– Voi aprite la marcia, signor Held – disse il siciliano. – Io rimarrò ultimo per proteggere la ritirata, e guai al primo pirata che giunge a portata della mia carabina.

Raccolsero le armi ed i viveri e si misero in cammino, seguendo le alti rupi della spiaggia.