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I puntigli domestici/Nota storica

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Nota storica

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Appendice
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NOTA STORICA


Dalla prefazione della Donna vendicativa (ed. Paperini, VII, 186) si sa che I Puntigli domestici seguirono alla Serva amorosa; e l’edizione Paperini ci avverte che furono recitati per la prima volta a Milano, nell’estate del 1752. Queste date si devono ritenere ben più sicure che non quella posteriore dell’edizione Pasquali, la quale assegna la prima recita al carnovale ’52, a Venezia, o quella delle Memorie ([[Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XV|]]Memorie di Carlo Goldoni), che la trasportano all’apertura della nuova stagione d’autunno, iniziatasi invece, come si sa, col Tutore e con la Serva amorosa (lett. all’Arconati 6 ott. ’52). Ancora, secondo le Memorie, la commedia sarebbe stata scritta durante la primavera, a Bologna: e ciò pare probabile.

L’autore stesso nella prefazione della prima stampa confessò l’esito poco o niente fortunato dei Puntigli domestici (vedi p. 305): benchè più tardi nelle Memorie si contraddicesse. Ne incolpò Goldoni i caratteri mediocri e comuni «per cui la Commedia risalta poco»; e invero qui manca ogni forte passione e manca la caricatura. Ma un’altra ragione dell’insuccesso si può trovare nell’assenza della novità di cui aveva bisogno il pubblico anche nel Settecento. La regolarità, che l’autore vantava presso la classe dei letterati, per rendersi questi ultimi benevoli, era compiacenza troppo magra, nè in buona fede bastava ad appagare il criterio estetico di Carlo Goldoni.

Alle beghe familiari dei due cognati s’intrecciano abilmente invero gli amori dei due servi, che le provocano o le fomentano: ma tutti i personaggi hanno scarso vigore, se si tolgano Brighella e Corallina, i veri signori di questo mondo pettegolo e meschino. Riesce evidente che l’intera commedia poggiava sulla interpretazione artistica di Maddalena e Giuseppe Marliani, per i quali era stata scritta, non senza qualche gelosia da parte dei coniugi Medebach. Corallina con la sua petulanza, con le sue bugie, con tutte le astuzie della donna, trionfa e sorride, conscia ormai del suo potere; e s’avvia pur dopo la fuga e l’arresto finale, mezzucci del teatro moraleggiante, a diventare Mirandolina, la locandiera. Ma somiglia ancora troppo alle altre servette, è ancora troppo senza poesia, per destare l’entusiasmo del pubblico: verrà il cavaliere di Ripafratta, non il povero e solito Brighella, a darle una meravigliosa vittoria.

L’inimicizia dei cognati Ottavio e Beatrice ci è già nota nel Cavaliere di buon gusto, ma qui le due figure si muovono stentate, come due manichini in balia dei servi, e ricordano, male reggendo al confronto, i puntigli e i litigi [p. 406 modifica] di suocera e nuora, le due vipere, nella Famiglia dell’antiquario. Di sussurri poi e di maldicenze ben altro esempio avevano offerto i Pettegolezzi delle donne! Nè l’intervento del Dottor Balanzoni, tipo ormai logoro, sul palcoscenico, dell’avvocato azzeccagarbugli (Rabany, C. G. cit, 176), ravviva l’azione: nè la mania dei processi in famiglia nel Settecento, che si riflette tante volte nel teatro (dai Litiganti di Racine, 1668, a quelli di Alb. Nota, 181 1), e in quello pure di Goldoni, trova qui la sua satira. Il matrimonio di Rosaura e di Florindo, proposto da Ottavio, corre pericolo, come nel Cavaliere di buon gusto, per il puntiglio di Beatrice: ma questa volta la fanciulla ama davvero (degna di nota la sc. 12, A. I) e osa ribellarsi alla madre. Di qui il contrasto di Rosaura col fratello Lelio, il quale serve a compiere il quadro sociale di una casa in dissoluzione. Invano il buon Pantalone corre in pianelle da un appartamento all’altro, come nell’Antiquario, per quietare le tempeste, per ristabilire la concordia, agitando l’ulivo: «Xe giustà tutto, xe fenio tutto. Pase, pase. Sia benedetta la pase (III, 18)». La famiglia aveva provato le prime scosse della Rivoluzione imminente, e il pubblico non badava più ai predicozzi del Vecchio.

Noi ritroviamo in questa commedia, nel quinto anno, diremo così, della riforma, pochi mesi avanti il distacco del Goldoni dal Medebach, le quattro maschere tradizionali coi veri e propri nomi: e nomi fissi restano pur quelli degli altri personaggi, dei quali riconosciamo facilmente gli interpreti, e parecchie scene ci richiamano al teatro dell’arte, per es. le ultime, che succedono al buio (cfr. Uomo prudente ed Erede fortunata). Tuttavia l’autore cercò di avvicinarsi quanto mai alla commedia semplice e regolare (v. l’avvertenza), e non tralasciò l’insegnamento morale: solo riuscì freddo. Per questo i Puntigli domestici scomparvero subito dal teatro, nè si ha notizia di recite posteriori a Venezia o altrove: mentre invece una commediaccia dell’ab. Chiari, pure di questo tempo, che dalle birberie dei due servi (Arlecchino e Brighella) s’intitolava i Nemici del pane che mangiano, trovò grandissimo favore e continuò a recitarsi a soggetto fino al cadere della Repubblica. Gli stessi critici mostrarono quasi di non accorgersi di questa commedia, malaugurata certamente se un po’ di fortuna non avesse incontrato al di là delle Alpi: in Germania, dove fu tradotta dal Saal (t. IV, 1769) e ridotta da Lod. Enr. Nicolay (Königsberg, 1808 e 1811), e in Russia, dove si compiacque di uscire in veste slava (Pietroburgo, 1773). V. schedario ms. di Edg. Maddalena.

Il giovane patrizio Giulio Antonio Contarini, a cui furono dedicati i Puntigli, era nato ai 10 febbraio 1723 da Simone della contrada di S. Stin (poi a S. Stae) e da Maria Zustinian: fu Senatore, fu dei X, e andò Podestà a Padova. Del padre si leggono ampie lodi nelle storie (v. dedica). La lettera del Goldoni stampata dall’Urbani (Lettere di C. G., Ven., Ongania, 1880, p. 33), in data 17 apr. 1750, dove si parla di 5 volumi di commedie già «usciti in luce» e si ringrazia S. E. «tanto tanto», è senza dubbio apocrifa. Giac. Ant. Contarini, capitanio a Verona nel 1763, a cui fu dedicata l’ed. veronese della Buona figliuola, nella lontananza dell’autore, appartiene a un altro ramo della famiglia, che abitava nella contrada di S. Polo. Sul conte O. Arrighi Landini (n. a Firenze nel 1718), poeta estemporaneo e avventuriere, nominato nella lettera di dedica, oltre gli Scrittori d’It. del Mazzuchelli, [p. 407 modifica] si vedano le note del Mazzoni ai Mém.es di Goldoni (Fir., Barbera, 1907, pp. 378-9, 384), Più che le Poesie liriche (Lucca?, 1753), o i poemetti sulle stagioni (Ven., 1756), o le tragedie (fra cui un Conte di Essex, Ven. 1764), ricorderemo i molti suoi canti in onore del commediografo, che si trovano sparsi nel famoso cod. Cicogna (già Swajer) 2395 del Museo Civico Correr. Carlo Gozzi lo derise nella Tartana e nella Marfisa, ma l’ebbe a giudicare «niente censurabile sull’ottimo suo carattere e costume» (Magrini, I tempi ecc. di C. Gozzi., Benevento, 1883, p. 290).

G. O.


Questa commedia uscì la prima volta nel 1754, nel t. VI dell’ed. Paperini di Firenze; e l’anno stesso fu ristampata a Bologna (Pisarri, IX e Corciolani, IX) e a Pesaro (Gavelli, VI), e nel ’56 a Torino (Fantino - Olzati, VIII). Corretta dall’autore ricomparve nel t. X (1768?) dell’ed. Pasquali di Venezia; e si ritrova ancora nelle edd. Savioli (X, ’73) e Zatta (ci. 2a, VIII, ’91) di Venezia, Guibert - Orgeas (X, ’73) di Torino, Bonsignori (XIII, ’89) di Lucca, Masi (XXV, ’92) di Livorno e in altre del Settecento. - La presente ristampa ebbe a modello il testo più curato del Pasquali, ma reca in nota a piè di pagina le varianti e in Appendice le scene modificate delle edizioni precedenti. Le note segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo.