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I puntigli domestici/Appendice

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Appendice

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Atto III Nota storica
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APPENDICE.

Dall’edizione Paperini di Firenze.

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ATTO PRIMO.

SCENA X1.

Il conte Lelio, il Dottore e dette.

Lelio. Ecco qui il signor Dottore. Fate che egli vi dia la risposta del signore zio.

Dottore. Faccio riverenza alla signora Contessa.

Beatrice. Già so che mio cognato è disposto a sodisfarmi, ed io sono contenta della sua buona disposizione.

Lelio. Disposto a sodisfarvi? Ditelo voi, signor Dottore.

Dottore. Io dirò che egli ha detto un mondo d’improperi.

Beatrice. Contro chi?

Lelio. Dite, dite liberamente.

Dottore. Ha detto che egli è il Padrone, e che non vuole mandar via il servitore per contentar la cognata.

Beatrice. Così ha detto?

Corallina. Eh sì, signora, ha tutta la stima, tutto il rispetto.

Lelio. Ma ditele tutto quello che ha detto.

Dottore. Ha detto che ella è puntigliosa.

Lelio. Non ha detto puntigliosa, ha detto ostinata.

Beatrice. A me questo?

Corallina. Via, andatelo a pregare che non licenzi il suo servitore.

Beatrice. Ha detto altro?

Dottore. Ha detto che il signor conte Lelio è un pazzo.

Lelio. Sentite? Che vi pare?

Corallina. Qui non vi è male. Ma la mia padrona è offesa.

Beatrice. Figliuolo mio, siamo offesi, pensiamo a vendicarci.

Lelio. Il signor Dottore mi ha dato un buon consiglio.

Beatrice. Parli, signor Dottore. Che cosa ci consiglierebbe di fare?

Dottore. Io dico che quando tra le famiglie comincia a entrare [p. 398 modifica] il diavolo, non vi è mai più pace, onde l’unico rimedio è separarsi, e fare una divisione.

Beatrice. Facciamola.

Lelio. Io sono dispostissimo.

Beatrice. Ma questa divisione non è una vendetta che basta. Voglio qualche cosa di più.

Dottore. Se poi ella vuole far girar la testa a suo cognato, il modo è facile.

Beatrice. Come?

Lelio. Questo è un uomo di garbo.

Dottore. Non vorrei che dicessero poi, che io sono stato l’autore del consiglio.

Beatrice. Non vi è pericolo.

Lelio. Avete a far con noi. Non dubitate.

Dottore. Il consiglio è di fargli render conto della sua amministrazione, e siccome egli è stato un uomo piuttosto generoso nello spendere, che ha fatto delle fabbriche inutili, e altre cose che non erano necessarie, lo faremo sudare.

Lelio. Dice benissimo. Lo faremo sudare.

Beatrice. La mia dote.

Dottore. Vi s’intende. La dote, il frutto della dote; un rendimento di conti universale; uno spoglio di tutto; una lite terribile.

Lelio. Per bacco, se n’accorgerà.

Dottore. Vi è la dote della Contessina...

Beatrice. A proposito. Vada a monte il contratto col marchesino Florindo.

Lelio. Perchè questo?

Beatrice. Perchè lo ha trattato il conte Ottavio.

Corallina. Sì signore, e Brighella ha detto, che quando vuole il suo Padrone, basta: ch’egli è il capo di casa, e gli altri non contano per niente.

Lelio. Bene, bene, lo vedremo.

Beatrice. Io intendo per ora di vendicarmi così. Rosaura non sarà più del marchesino Florindo. Ripiglierò il trattato col marchese Riccardo. (parte) [p. 399 modifica]

Lelio. Andiamo, signor Dottore, a stendere il primo atto per la divisione. Non vedo l’ora d’esser padrone del mio. (parte)

Corallina. Signor Dottore.

Dottore. Che cosa ci è?

Corallina. Se vi basta l’animo di far andar via Brighella, vi do due paoli.

Dottore. Due paoli? Vi pare che io sia un Dottore da due paoli? Mi maraviglio! Il dottore Balanzoni è un uomo conosciuto; è un uomo sperimentato, stimato, considerato. Due paoli a me? Fraschetta! La sarà la paga che danno a te, per portar le ambasciate che tu sai. (parte)

SCENA XI.

Corallina, poi Arlecchino.

Corallina. Povero asino colla toga. Non mi servirei di te nemmeno per copiare una canzonetta. Ecco qui, per guadagnare ha messo in capo ai padroni di fare una lite. Che cosa importa a me che si dividano? Se non va via Brighella, non guadagno il mio punto.

Arlecchino. O de casa. (di dentro)

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ATTO TERZO.

SCENA II2.

Il Conte Ottavio ed il Dottore.

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Ottavio. Dunque sarò io obbligato a restituire la dote, a dividermi col nipote, e a render conto della mia amministrazione?

Dottore. Oh pensi lei! Nemmeno per ombra. Con tutta la [p. 400 modifica] citazione, con tutti gli atti che potessero fare i suoi avversari, l’assicuro io che facilissimamente ella si può esimere da tutte queste cose.

Ottavio. In qual maniera?

Dottore. Quanto alla divisione, ella ha da dire e da far costare al Giudice, che suo nipote è un giovine senza condotta e senza economia, come tutti sanno; che egli giuoca, che spende a rotta di collo, e che, seguita la divisione, bisognerebbe assegnargli un economo; e siccome per economo certamente sarebbe eletto il zio, così è superflua e ingiusta la domanda della divisione. Che cosa le pare?

Ottavio. Non dite male.

Dottore. Colla stessa ragione si risolve l’articolo del rendimento de’ conti. Si ha da render conto a un prodigo? Signor no. Che cosa ne dice?

Ottavio. E per la dote?

Dottore. E per la dote? Rispondo che vi sono i figliuoli, che la madre non l’ha da consumare, che vi vuole una sicurezza; e si tira innanzi un pezzo, tanto che la donna si stracca, e si contenta di quello che ha.

Ottavio. Volete voi l’impegno di difendere le mie ragioni?

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SCENA III.

Ottavio, poi Pantalone.

Ottavio. Costui lo conosco. Mi varrò di lui fino ad un certo segno, e non mi fiderò certamente di suo nipote. Piacemi bensì ciò che mi ha egli maliziosamente suggerito per mia difesa. Me ne varrò opportunamente.

Pantalone. Con so bona grazia.

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Pantalone. Sì? Come, cara ela?

Ottavio. Se Beatrice vorrà la dote, doverà dare una sicurtà in [p. 401 modifica] favor dei figliuoli, e sopra un tale articolo si potrà defatigare assaissimo. Circa la divisione e il rendimento de’ conti, si fa passar per prodigo mio nipote, e cade ogni sua pretensione.

Pantalone. La diga, cara ela, chi xe sta che gh’ha dà su’ conseggi?

Ottavio. Il dottor Balanzoni.

Pantalone. Mo se el difende siora Contessa e so fio.

Ottavio. Lo fa per forza, e mi ha suggerito un suo nipote.

Pantalone. Sior Conte, mi no digo mal de nissun; ma no posso soffrir sti caratteri indegni. No la se ne fida, e basta cussì.

Ottavio. Non dubitate, che già non me ne fidavo.

Pantalone. La me ascolta mi, l’ascolta un amigo de cuor. Vardemo se se podesse vegnir a un aggiustamento...

Ottavio. Non mi parlate di aggiustamento. (alterato)

Pantalone. Via, via, no digo altro. La gh’ha rason. (Bisogna torlo a poco alla volta).

SCENA IV.

Brighella e detti.

Brighella. Lustrissimo.

Ottavio. Che cosa ci è?

Brighella. La signora contessina Rosaura vorria parlar con vussustrissima.

Ottavio. Attendetemi, signor Pantalone. (parte)

Pantalone. Povera putta! La compatisso. Se pol ben dir, che de ela i zoga al ballon. Chi ghe dà una brazzalada de qua, chi una brazzalada de là; xe miracolo se el ballon no crepa.

Brighella. Sior Pantalon, ela che al patron ghe parla con confidenza, e la ghe vol ben, la suggerissa una cosa bona.

Pantalone. Che xè?

Brighella. Che el fazza mandar via Corallina. Culìa l’è causa de tanti pettegolezzi.

Pantalone. Ho paura anca mi. Lassè che, se posso, me voggio [p. 402 modifica] chiarir. No vôi farghe mal, se la xe innocente. Ma scoverzierò terren, e se sarà vero, la farò cazzar via.

Brighella. (El va ben col piè de piombo sto sior Pantalon).

SCENA XX.3

Florindo colla spada alla mano, detti, poi un Servitore.

Florindo. La difenderò io.

Lelio. Quali soverchierie sono queste?

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Pantalone. Siori sì; mi ho fatto tanto per stabilir sta pase, e grazie al cielo, ghe ne son riussìo con onor. Caro sior Conte, la prego, la me fazza anca ela parer bon.

Lelio. E mia sorella si mariterà col marchese Florindo?

Ottavio. Che obbietto avete in contrario?

Lelio. (Mi dispiace per la dote).

Florindo. Non sono io cavaliere vostro pari? Non me l’avete promessa?

Pantalone. L’ho vista, l’ho vista. Che la vegna avanti, patroncina, che no la fazza babao.

SCENA ULTIMA.

Rosaura, detti, poi un Servitore.

Rosaura. Signora madre, vi domando perdono...

Beatrice. Non ne parliamo più. Son pronta a scordarmi di tutto.

Florindo. Signora, se vi contentate, le darò in vostra presenza la mano.

Beatrice. Sono contentissima.

Lelio. Signora sorella, sarete contenta.

Rosaura. Contentissima.

Lelio. Io non parlo, ricordatevi anche voi di tacere. [p. 403 modifica]

Rosaura. Avete parlato fino che avete potuto; e parlerò anche io, se mai con qualche viltà mi obbligaste a parlare.

Lelio. Non vi è pericolo.

Beatrice. Che discorsi son questi?

Lelio. Uno scherzetto di mia sorella.

Servitore. Illustrissimo, è il signor dottor Balanzoni con suo nipote.

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  1. Vedasi a pag. 325.
  2. Vedasi a pag. 365.
  3. Vedasi a pag. 391.