I puntigli domestici/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Notte.
Camera del conte Ottavio, con lumi.
Il Conte Ottavio, Brighella, poi il Dottore di dentro.
Ottavio. Hai detto al dottore Balanzoni, che io gli voglio parlare?
Brighella. Lustrissimo sì. Ghe l’ho dito. No gh’era caso che el volesse vegnir; ma finalmente el m’ha dito che el vegnirà.
Ottavio. Perchè non voleva venire?
Brighella. Per causa de quelle citazion. El gh’ha paura che vussustrissima sia in collera.
Ottavio. In fatti meriterebbe che una parte del mio sdegno si sfogasse sopra di lui. Ma voglio condur la cosa diversamente. L’hai tu assicurato che ei sarà accolto placidamente?
Brighella. Me son inzegnà de farlo, e ho superà tutto el so timor.
Ottavio. Quando verrà?
Brighella. Stasera. El sarà qua a momenti.
Ottavio. Mia cognata è in casa?
Brighella. Lustrissimo no, l’è andada in carrozza dalla marchesa Flaminia.
Ottavio. Che sì, che ella è andata a risvegliare il trattato di sua figliuola col marchese Riccardo? Ma non riuscirà certamente. Femmina sciocca, femmina indemoniata!
Brighella. Eh, lustrissimo, so mi da dove vien el mal!
Ottavio. Da dove?
Brighella. Quella pettegola de Corallina l’è causa de tutti sti desordini. Ela l’è quella che mette su la padrona, la la fa far a so modo, e la la conseggia sempre a far mal. (Desgraziada, me vôi vendicar). (da sè)
Ottavio. Bricconcella! Averà quel che merita.
Brighella. (T’imparerà a burlar i omeni della mia sorte).
Dottore. (Di dentro) O di casa.
Brighella. El sior Dottor.
Ottavio. Introducilo.
Brighella. La servo. (Buttar via una scatola e un fazzoletto? Mo son sta un gran matto!) (parte)
SCENA II.
Il Conte Ottavio ed il Dottore.
Ottavio. Farò che mia cognata e mio nipote si distruggano in questa lite. Sottoscriverò volentieri la rovina della mia casa, prima che dare ad essi la menoma soddisfazione.
Dottore. Fo riverenza a V. S. illustrissima.
Ottavio. E così, signor Dottore, voi siete il mio avversario; voi favorite mia cognata e mio nipote, e in nome loro mi avete mossa una lite?
Dottore. Caro signor Conte, confesso la verità, colle lacrime agli occhi; ella sa che il signor conte Lelio è un prepotente; egli mi ha violentato a far questo passo che non voleva fare, perchè io sono servitore antico della casa...1
Ottavio. Dunque sarò io obbligato a render conto della mia amministrazione?
Dottore. Oh, pensi lei! Nemmeno per ombra. Con tutti gli atti che potessero fare i suoi avversari, l’assicuro io che facilissimamente ella si può esimere da questa cosa.
Ottavio. Volete voi l’impegno di difendere le mie ragioni?
Dottore. Il cielo volesse che io lo potessi fare! Ma ella vede bene, avendo per mia disgrazia fatto quella citazione, io farei una cattiva figura a Palazzo.
Ottavio. Bene, mi provvederò di un altro.
Dottore. Se ella comanda, io ho un mio nipote, che è un giovine di esperienza, di gran dottrina e di buona coscienza. Io non dovrei dirlo, ma egli è un uomo che può stare a petto di chi si sia.
Ottavio. E voi proseguirete a difendere i miei avversari?
Dottore. Se ella mi comanda che non lo faccia, non lo farò. Ma ella mi ascolti: se vanno da un altro, si può dare che trovino uno di quelli che fanno eternare le liti, per eternare il guadagno. Io darò mano all’aggiustamento, e l’assicuro che averà un avversario, che le farà poco male.
Ottavio. Basta! ci penserò.
Dottore. Vuole ella che mandi mio nipote? Lo senta solamente parlare.
Ottavio. Mandatelo pure, lo sentirò. Ma zio e nipote difensori avversari, non cammina bene.
Dottore. Ne abbiamo avuti di que’ pochi di questi esempi. La sarebbe bella! L’amicizia e la parentela non hanno che fare coll’esercizio. Ella si lasci servire.
Ottavio. Vi ho detto che ci penserò.
Dottore. Le manderò mio nipote.
Ottavio. Mandatelo.
Dottore. Le faccio riverenza. Quanto mi dispiace di non poterla servire io. Ma non si dubiti, che se non la servo direttamente, la servirò indirettamente. Ella mi capisce. Mi raccomando alla sua protezione. (parte)
SCENA III2.
Ottavio, poi Pantalone.
Ottavio. Costui lo conosco. Mi varrò di lui sino ad un certo segno, e non mi fiderò certamente di suo nipote.
Pantalone. Con so bona grazia
Ottavio. Che cosa ci è, signor Pantalone? Venite voi a parlarmi dolcemente per mia cognata?
Pantalone. No, sior Conte, son qua con ela. Fogo al pezzo. Chi la pace non vuol, la guerra s’abbia. I n’ha mosso lite? femo lite. I vol guerra? femo guerra. Mi, per lezze de bona amicizia, son a parte dei torti, dei affronti che ghe vien fatti, e son qua a sostener la so rason, se bisogna. El mio scrigno xe a so disposizion. Vaga tutto, ma sostegnimo el nostro ponto d’onor. (Adesso bisogna secondarlo, a so tempo procurerò raddolcirlo). (da sè)
Ottavio. Ho considerata la materia, e credo avrò tanto in mano da farli disperare.
Pantalone. Sì? Come, cara ela? Con chi s’ala conseggià?
Ottavio. Col dottor Balanzoni.
Pantalone. Mo se el defende siora Contessa e so fio.
Ottavio. Lo fa per forza, e mi ha suggerito un suo nipote.
Pantalone. Sior Conte, mi no digo mal de nissun; ma no posso soffrir sti caratteri indegni. No la se ne fida, la me ascolta mi, l’ascolta un amigo de cuor. Vardemo se se podesse vegnir a un aggiustamento...
Ottavio. Non mi parlate di aggiustamento. (alterato)
Pantalone. Via, via, no digo altro, la gh’ha rason. (Bisogna torlo a poco alla volta). (da sè)
SCENA IV3.
Brighella e detti.
Brighella. Lustrissimo.
Ottavio. Che cosa c’è?
Brighella. La signora contessina Rosaura vorria parlar con vussustrissima.
SCENA V.
Rosaura e detti.
Ottavio. Venite, nipote mia; non abbiate riguardo alcuno. Non vi prendete soggezione del signor Pantalone.
Pantalone. Gnente, zentildona, la sa che son servitor antigo de casa.
Rosaura. Compatitemi, signore zio, se vengo ad importunarvi; sono angustiata, non so che cosa abbia da esser di me. Mia madre, irata non so perchè, sfoga sopra di me la sua collera. Mio fratello dichiarasi mio nemico, e si fa lecito d’insultarmi. Tutti due mi protestano lo scioglimento di ogni trattato col marchesino Florindo, e minacciano di seppellirmi fra quattro mura. Voi colla vostra lettera mi consolate. Voi mi date animo a sperare, a confidare, a risolvere. Eccomi qui, eccomi nelle vostre braccia. Amorosissimo signore zio, abbiate pietà di me; difendetemi da un periglio che può decidere della mia vita; porgetemi quel soccorso che merita l’innocente amor mio, il mio povero cuore, la mia infelice miserabile gioventù, (piange)
Pantalone. Propriamente sento che la me move.
Ottavio. Io, Contessina, son la cagione de’ vostri guai, ma io saprò ancora rimediarvi. Per l’odio che ha meco la vostra genitrice, vuole sciogliere questi sponsali, che io per vostro bene ho trattati; ma non temete, che io medesimo...
SCENA VI.
Corallina e detti.
Corallina. Signora...
Ottavio. Che cosa vuoi?
Corallina. Se torna la padrona...
Ottavio. Vattene, temeraria.
Corallina. A me, signore?
Ottavio. Sì, a te; e se domattina non sarai fuori di questa casa, ti farò dare uno sfregio.
Corallina. A me!
Ottavio. A te, disgraziata; sai chi sono: o vattene, o ti manterrò la parola. La Contessa non ti leverà lo sfregio, quando lo avrai avuto.
Corallina. Io resto di sasso. Ma... signore...
Ottavio. Giuro al cielo! (va poi parlando piano a Rosaura)
Corallina. Vado, vado. (Brighella, che cosa vuol dire?) (piano a Brighella)
Brighella. (Vuol dir, padrona, che così me vendico delle so impertinenze).
Corallina. (Come!)
Brighella. (Arlecchin ghe dirà el resto).
Corallina. (Ho capito). Povera me! Maledetto Arlecchino, me la pagherai. (parte)
Ottavio. Che dite, nipote, siete voi disposta a secondarmi?
Rosaura. Il signore zio non può che consigliarmi per il meglio.
Pantalone. Uno zio de sta sorte no xe capace de farghe far nissun passo falso. Sior Conte xe pien de prudenza e de bona condotta; el ghe darà delle ottime insinuazion. Me fala degno mi de esser a parte dei so disegni? (a Ottavio)
Ottavio. Sì, giustamente. Vattene. (a Brighella)
Brighella. (Anderò a dir el resto a Corallina; se podesse recuperar almanco la mia scatola). (da sè, parte)
SCENA VII.
Ottavio, Rosaura e Pantalone.
Ottavio. Ho pensato di far così. Condurrò la Contessina dalla marchesa Virginia mia sorella, e sotto la sua custodia, sotto la sua direzione, si concluderanno gli sponsali col marchesino Florindo.
Rosaura. Il signore zio non dice male.
Pantalone. E la vol far sto affronto alla madre? (al Conte)
Ottavio. Lo merita. Una madre crudele, che vuol sacrificare la figlia, non può dolersi che di se stessa, se dalla figlia medesima viene delusa.
Rosaura. Eh! il signore zio sa quello che dice.
Pantalone. Ma i parenti de siora contessa Beatrice cossa dirali?
Ottavio. Dicano ciò che vogliono. Essi non le danno la dote.
Rosaura. Sentite? Io non ho altri parenti, che il signore zio.
Pantalone. La varda, sior Conte, che sta cossa no fazza nasser qualche scena.
Ottavio. Tant’è, in questo, compatitemi, non ascolto consigli. Ho stabilito così. Farò attaccar la carrozza, e anderemo da vostra zia. Starete con lei quindici o venti giorni; indi vi sposerete col Marchesino.
Rosaura. Quindici o venti giorni? Mi rincrescerà darle un incomodo sì lungo.
Pantalone. In fatti no la gh’averà troppo gusto quella dama de aver in casa la suggizion de una novizza.
Ottavio. Mia sorella è compiacentissima; per me lo farà volentieri.
Rosaura. Ma! non si potrebbe minorarle l’incomodo?
Ottavio. Come?
Rosaura. Spicciarsi in tre o quattro giorni?
Pantalone. (El ripiego no xe cattivo). (da sè)
Ottavio. Basta. Circa a questo discorreremo. Permettetemi che io vada a dare alcuni ordini.
Pantalone. Ma! sta putta...
Ottavio. Vi supplico, signor Pantalone, tenetele compagnia fino che io torno.
Pantalone. E se vien so siora madre?...
Ottavio. In queste camere non verrà.
Pantalone. E se la vien a casa, e che no la la trova?
Ottavio. Risponderò io. Prendo la cosa sopra di me. Nipote, non vi perdete di animo. Ora sono da voi. (parte)
SCENA VIII.
Rosaura, Pantalone, poi Florindo di dentro.
Rosaura. (Venga pur la signora madre, qui non mi fa paura), (da sè)
Pantalone. (No vedo l’ora de destrigarme. Ho paura de qualche imbrogio). (da sè)
Rosaura. Caro signor Pantalone, possibile che non abbiate compassione di me?
Pantalone. Siora sì, la me fa peccà. Vorria poderla agiutar, ma con bona maniera, senza che el mondo avesse da rider de nu.
Rosaura. Non vorrei far rider di me, ma non vorrei nemmeno aver io motivo di piangere.
Pantalone. Tutto se comoda. No la gh’abbia paura.
Rosaura. Sono nelle mani del signore zio.
Pantalone. El sior zio xe orbà dalla collera. La gh’abbia prudenza.
Rosaura. Che cosa mi consigliereste di fare?
Pantalone. Tornar in te le so camere.
Rosaura. Obbligatissima del buon consiglio.
Pantalone. No la gh’abbia tanta pressa de maridarse.
Rosaura. Signor Pantalone, che cosa dice di questo caldo?
Pantalone. Digo cussì, che le putte de giudizio no le mette sottosora la casa.
Rosaura. (Se non fosse vecchio, gli risponderei come va), (da sè)
Florindo. (Di dentro) Chi è qui? Non vi è nessuno?
Rosaura. Il Marchesino! (con allegria)
Pantalone. Oh diavolo! Andemo, siora Contessina.
Rosaura. Dove?
SCENA IX.
Florindo e detti.
Florindo. O di casa... Oh! perdonino, (entrando rimane sospeso)
Rosaura. Di che?
Pantalone. Servitor umilissimo.
Florindo. Non vi è nemmeno un servitore nell’anticamera.
Pantalone. Se la vol parlar col sior Conte, el sarà in quelle altre camere; la pol restar servida de là.
Rosaura. Or ora tornerà qui.
Florindo. Come, signora Rosaura, nelle camere di vostro zio?
Rosaura. Sì signore, non vi è mia madre, sono venuta a raccomandarmi.
Florindo. Vi è qualche novità?
Rosaura. Certamente, e non piccola.
Florindo. Deh raccontatemi...
Pantalone. La vaga da sior Conte, che el gh’ha da parlar: el ghe conterà tutto.
Florindo. Non deve egli ritornar qui?
Rosaura. Dà alcuni ordini, e poi ritorna subito.
Florindo. Dunque l’attenderò. Cara signora Rosaura, raccontatemi.
Pantalone. (Adesso son in t’un bell’intrigo). (da sè)
Rosaura. Mia madre non vuole che siate mio.
Florindo. E voi che dite?
Rosaura. Che morirò prima di non esser vostra.
Florindo. Cara Rosaura.
Rosaura. Adorato Florindo.
Pantalone. (Eh poveretto mi!) Sior Marchese, no la perda tempo; avanti che vegna siora Contessa, la vaga a parlar co sior conte Ottavio. (passa vicino a Florindo)
Florindo. Sì, vado...
Rosaura. Il signore zio ha rimediato a tutto.
Florindo. Come?
Rosaura. Mi condurrà dalla Marchesina di lui sorella, mi terrà da essa fintanto che voi sarete mio sposo.
Pantalone. La risoluzion de sior Conte xe bella e bona, ma se se podesse concluder sto matrimonio in casa...
Rosaura. Non vi è pericolo.
Pantalone. Se se podesse piegar siora contessa Beatrice...
Rosaura. Non faremo niente. Mia madre è ostinata, e se le diamo tempo, impedirà che mi possa soccorrere il signore zio; mi caccerà nel ritiro, e morirò disperata.
Florindo. No, cara, non piangete. (passa vicino a Rosaura) Darò mano anch’io a difendervi dalla madre. Sarete mia, ve lo giuro, ve lo protesto; via, idolo mio, non piangete.
Pantalone. (Passa vicino a Rosaura) Via, no la pianza. Tutti semo per ela.
Rosaura. Voi mi tormentate. (a Pantalone)
Pantalone. Quel che fazzo, fazzo per ben.
Rosaura. Il vostro bene non mi accomoda niente affatto.
Pantalone. No so cossa dir. (Sto sior conte non se vede a vegnir). (da sè)
Florindo. Signora Rosaura, siete voi disposta ad una onesta risoluzione?
Rosaura. Dispostissima.
Pantalone. (Oh poveretto mi!) Cossa gh’ali intenzion de far?
Florindo. Null’altro che darci la mano in presenza vostra.
Pantalone. In presenza mia?
Rosaura. Favorirete servirci di testimonio.
Pantalone. La me compatissa... Mi no voi esser presente a ste cosse... Anderò via... (Ma no voi gnanca lassarli soli). Me maraveggio de ela, sior Marchese, che la voggia far sta cossa, senza el consenso de sior conte Ottavio.
Florindo. Caro signor Pantalone, fatemi un piacere.
Pantalone. La comandi.
Florindo. Andate a sollecitare il conte Ottavio.
Pantalone. La me compatissa... Oh, xe qua Brighella.
SCENA X.
Brighella e detti.
Pantalone. Andè subito....
Brighella. Signori, è venuta a casa la siora Contessa.
Rosaura. Oh me infelice!
Pantalone. Chiamè subito sior Conte. (a Brighella)
Brighella. (Volemo sentir delle belle cosse). (da sè, parte)
Rosaura. Mia madre!.. Oimè!...
Florindo. Ah, il conte Ottavio non viene.
Rosaura. Noi abbiamo perduto i più felici momenti per causa vostra, signor Pantalone.
Florindo. Sì, per causa vostra.
Pantalone. Mi son un omo d’onor.
Florindo. Ma saremo ancora a tempo.
Rosaura. Due parole si dicono presto.
Florindo. Porgetemi la mano. (passa da Rosaura)
Pantalone. Patroni. (entra in mezzo) Coss’è sta cossa? Coss’è sto precipizio? Per amor del cielo, no le perda el respetto al sior Conte, alla so casa, al so sangue.
Rosaura. Ecco il signore zio.
Pantalone. Manco mal.
Florindo. Facciamoci animo.
SCENA XI.
Ottavio e detti.
Pantalone. Ghe renunzio el posto. Servitor umilissimo.
Ottavio. Dove andate?
Pantalone. A muarme de camisa per la fadiga che ho fatto, (parte)
Ottavio. Io non lo capisco.
Rosaura. Ah, signore zio, è venuta la signora madre!
Ottavio. Non temete. Andiamo.
Florindo. Dove la volete condurre?
Ottavio. Seguitemi, Marchesino.
Rosaura. Ci volete condurre insieme?
Ottavio. Seguitemi, e non pensate altro. (parte)
Rosaura. (Fin che sono con voi, non ho paura di niente).4 (piano al Marchese, e partono)
SCENA XII.
Sala oscura senza lumi, con varie porte.
Brighella, poi Corallina.
Brighella. Non ho possudo ancora sfogarme a me modo con quella desgraziada de Corallina. No gh’ho gnancora possudo parlar. Ma la troverò, ghe dirò le belle parolette turchine. Adess la sarà drio a despoiar la padrona, da resto vorria farme sentir, e poderia darse che la vegnisse in sala, per veder se ghe fusse da tor su qualche spazzadura. Voi provarme. Chi sa? Eh, ehm. Ehm. (si spurga)
Corallina. (Apre la porta di una camera.)
Brighella. I averze una porta; vôi retirarme, e osservar chi è.
Corallina. Parmi aver sentito Brighella. Zi, zi.
Brighella. L’è Corallina... Ma sento zente a vegnir su dalla scala; chi diavol sarà? (si ritira)
Corallina. Zi, zi, Brighella. Non ci è più. Mi dispiace. Voleva sincerarlo. Ora che la padrona sta discorrendo coll’avvocato, e non sa niente ancora della figliuola, aveva comodo di parlargli e accomodarla. Se l’aggiusto con lui, l’aggiusterò anche col suo padrone. Noi, per quel che vedo, facciamo fare i padroni a nostro modo. Maledetto Arlecchino! Ha detto a Brighella che io voleva essere vendicata? Se mi capita colui fra le ugne, vuole star fresco. Sento gente. Dovrebbe esser Brighella.
SCENA XIII.
Arlecchino, Corallina e Brighella nascosto.
Arlecchino. L’è miracol, che no me romp el collo. El me padron nol vien mai. Vôi veder se trovass Corallina.
Brighella. Questo l’è Arlecchin. El vegnirà a trovar quella desgraziada. Ma el giusterò mi. (si ritira)
Arlecchino. Mi no so dove diavolo che vaga. Vardè che casa! Gnanca un lume in sala.
Corallina. Ehi! zi, zi.
Arlecchino. Zi, zi. (sempre sotto voce)
Corallina. Siete voi?
Arlecchino. Son mi.
Corallina. Venite qui, caro, voglio sincerarvi.
Brighella. (Maledetta!) (da sè)
Arlecchino. Son qua.
Corallina. Desiderava tanto di parlarvi.
Arlecchino. Anca mi.
Corallina. Io vi voglio tanto bene, e voi mi trattate così?
Arlecchino. No ve tratto ben? La vendetta l’è fatta.
Brighella. (Adessadesso i coppo tutti do).
Corallina. Perchè mi volete far scacciare di questa casa?
Arlecchino. Mi?
Brighella. (Zitto). (si pone in maggiore attenzione)
Corallina. Non credeva mai che Brighella avesse questo cuore.
Brighella. (Olà!)
Arlecchino. Cossa t’alo fatto?
Corallina. Bella carità! Farmi cacciar via come una briccona! Caro il mio caro Brighella.
Arlecchino. Caro Brighella!
Brighella. (Ho inteso, gh’è dell’equivoco).
Corallina. Sì, sei il mio caro. Ti voglio bene.
Arlecchino. Mo se ti me vol ben, perchè parlistu...
Brighella. (Si accosta, trova Arlecchino, gli dà una spinta e lo caccia via.)
Corallina. Che cosa è stato?
Brighella. Gnente; un can che m’ha dà in te le gambe.
Arlecchino. Vento cattivo. (parte, cercando la porta)
SCENA XIV.
Brighella e Corallina.
Brighella. Seguite mo el vostro descorso.
Corallina. Voi dunque siete quello che ha messo male di me col padrone, per farmi scacciar di casa?
Brighella. E vu sè quella che ha messo su Arlecchin, che el vegna a farme delle impertinenze?
Corallina. Vi dirò. Voglio confessarvi la verità. Io sono un poco puntigliosa. Voi mi avete strapazzata, mi avete detto delle insolenze, ed io arrabbiata mi sono sfogata con Arlecchino; non gli ho però detto che vi faccia verun insulto, ma egli, credendo di farsi merito, ha preteso forse di vendicarmi. Caro Brighella, compatitemi, sentirsi strapazzare da una persona che si ama, è un dolor troppo grande. Voi mi avete fatto piangere tre ore d’orologio, e da ieri sera in qua nella mia gola non è entrato un gocciolo di acqua.
Brighella. Perchè avere bevudo del vin.
Corallina. No, Brighella mio, perchè dalla passione non ho potuto nè mangiare, nè bere.
Brighella. Se me volessi ben, no me tratteressi cussì.
Corallina. E voi, se mi voleste bene, non cerchereste che fossi scacciata da questa casa.
Brighella. Certo che quel che v’ha dito el patron, el ve l’ha dito per causa mia. Nol move una paia senza de mi.
Corallina. Se anch’io avessi detto alla mia padrona che non vi voglio in casa, non ci stareste. Non vi ricordate che cosa ho fatto per voi? Se non era io, povero voi! Vi avrebbero mandato al reggimento in ferri. E dite che non vi voglio bene? Povero disgraziato!
Brighella. Basta... Vedremo... Vien zente, zitto.
Corallina. Stiamo fermi, già allo scuro non ci vedono.
SCENA XV.
Pantalone e detti.
Pantalone. E pur no posso far de manco. Bisogna che vaga dalla contessa Beatrice. (s’incammina verso la porta della Contessa)
Corallina. Alle pianelle mi pare il signor Pantalone. (a Brighella)
Brighella. Quel vecchio sempre el zira. (a Corallina)
Pantalone. Me par de sentir zente. Vôi ascoltar. (si ferma sulla porta)
Corallina. È andato via.
Brighella. El sarà a far qualche altro manizzo.
Corallina. Già non farà niente.
Brighella. Val più una delle nostre parole, che tutti i so conseggi.
Corallina. Noi facciamo fare i padroni a nostro modo.
Brighella. Sti nostri patroni i fa i furbi, e i è i più gran allocchi del mondo.
Corallina. La mia padrona poi si lascia menare per il naso come una bambina.
Pantalone. (Se son a tempo, la fazzo bella). (parte per l’istessa porta)
Brighella. Ma in sostanza, Corallina, me vulì ben?
Corallina. Mi fate torto a domandarmelo.
Brighella. Per Arlecchin aveu nissuna premura?
Corallina. Pare a voi, che io mi volessi perdere con quello scimunito?
Brighella. Se me podesse fidar...
Corallina. Vi posso dare una sicurezza.
Brighella. Come?
Corallina. Col farmi vostra consorte.
Brighella. E dopo che sarì mia consorte, chi me fa la sigurtà, che no me tornè a burlar?
Corallina. Se tutti dicessero così, non si farebbero matrimoni.
Brighella. Orsù, sposemose, e andemo via de sta casa. Qua no se pol più viver. Sempre i cria, sempre in lite, no i la vol finir in ben.
Corallina. Io ne sono stufa, che non ne posso più. E quando la padrona saprà della figliuola, allora vuole sbuffar davvero!
SCENA XVI.
Pantalone e Beatrice sulla porta, e detti.
Pantalone. La staga qua, se la vuol aver gusto. (piano a Beatrice)
Brighella. Mi credo per altro, Corallina, che nu semo causa de tutti sti disordini.
Corallina. È vero, e per questo è meglio che ce ne andiamo.
Brighella. Vardè! da quella nostra poca de collera de stamattina, che boccon de fogo che s’ha impizzà.
Corallina. Certamente: io per rabbia sono andata dalla padrona, e ho detto quello che mi è venuto alla bocca di voi e del vostro padrone.
Pantalone. (Fa cenno alla Contessa che stia zitta; poi si cava le pianelle e corre all’appartamento del conte Ottavio).
Brighella. E mi ho fatto l’istesso col me patron. Ho dito roba de vu e della vostra patrona.
Corallina. Tanto è vero, che ella subito ha mandato suo figlio a chiedere al signor Conte che vi licenziasse.
Brighella. Tanto è vero, che el gh’ha resposto con sussiego, i se son taccadi de parole, e i s’ha quasi strapazzà.
SCENA XVII.
Pantalone ed Ottavio sulla porta, e detti.
Pantalone. Voi che godemo una bella scena. (piano ad Ottavio)
Corallina. Guardate! chi l’avesse mai detto, che per causa nostra i padroni avessero da diventar nemici?
Brighella. Mi ho raccontà al padron quel che avi dit vu che dise de lu la patrona, e l’è andà in bestia.
Corallina. E sì, se vi ho da dire la verità, la padrona non ha detto tutto quello che ho detto io.
Brighella. Gnanca el me padron nol parla mal della siora Contessa. Ma quel che ho dito, l’ho dito per farve rabbia a vu, che defendevi la vostra padrona.
Corallina. E quando ho trovata l’invenzione dei vasi dei garofani?
Brighella. Vardè, andarghe a dir che el padron li aveva rotti per dispetto!
Corallina. Io sono stata, che le ha suggerito di portare il quadro in camera.
Brighella. E mi ho suggerì al padron de sfondarlo.
Corallina. Oh, questa è da ridere! Fanno tutto quello che vogliamo noi.
Brighella. Ma no bisogna tirar avanti. Se ne i scoverze, poveretti nu!
Pantalone. (Senza pianelle va via per la porta di mezzo, correndo.)
Corallina. E il matrimonio della Contessina? Io l’ho fatto fare e l’ho fatto disfare.
Brighella. E adesso mo cossa sarà?
Corallina. Sia quello che esser si voglia, non me ne importa.
Brighella. Volì pur tanto ben alla vostra padrona.
Corallina. Oh, noi altri5 servitori e serve amiamo i nostri padroni per interesse.
Brighella. E sì in sta casa gh’è poco da far ben.
Corallina. È vero. Tutte spilorcie.
Brighella. Zente rabbiosa.
Corallina. Fastidiosissima.
SCENA XVIII.
Pantalone e un Servo con lumi, e detti.
Ottavio e Beatrice si avanzano per sorprendere i servi; ma vedendosi fra di loro, per non aver occasione di parlare insieme, fanno de passi indietro. Brighella e Corallina ammutiscono.
Pantalone. Bravi, siori, bravi! V’avè scoverto da vostra posta. I patroni ha sentio tutto; e aspetteve la bona man.
Brighella. Sia maledetto quando ho parlà! (parte)
Ottavio. Scellerato! me la pagherai.
Corallina. (Ecco qui: la prima volta che ho detto la verità, mi ha pregiudicato). (da sè, parte)
Beatrice. Indegna! aspettami.
Pantalone. Furbazzi! L’ho sempre dito, che costori giera causa de tutto. Xe un pezzo che ghe fazzo la ronda. I ho chiappai da galantomo. Ma tolè: i patroni illuminai della verità, in vece de rimproverar quei baroni, i se retira, e per pontiglio no i parla. Mo quando finirali sti maledetti pontigli?
Ottavio. Signor6 Pantalone, sono fuori di me stesso.
Pantalone. Anzi la doveria consolarse. L’ha sentio in fatto quel che mi tante volte gh’ho dito. Sta zentildonna xe de bone vissere, no la xe capace de perder el respetto a nessun, e molto meno a un cugnà de sta sorte, al qual tutta la casa ghe protesta infinite obbligazion.
Ottavio. Sa il cielo il buon cuore che io ho per tutti. Amo questa famiglia come se fosse mia propria, e mi rincresce di non esser corrisposto.
Pantalone. Sentela, siora contessa?
Beatrice. Io non sono una donna irragionevole. Conosco il merito, e so esser grata. Ma se mi sento poi strapazzare...
Pantalone. Ala sentio chi l’ha strapazzada? I servitori.
Beatrice. Perfidi! anderanno impuniti?
Ottavio. No certamente. Va subito (al servitore) dal bargello, e di’ che per ordine mio si catturino Corallina e Brighella.
Servo. (Maledetti! l’ho caro. Parevano essi i padroni di questa casa). (da sè, parte)
Beatrice. Sicchè dunque quanto prima ci converrà andar via di questo palazzo.
Ottavio. Ciò non succederà, se non proseguisce la lite che mi è stata mossa.
Pantalone. Che lite? che andar via? Xe giusta tutto; xe fenio tutto. Pase, pase. Sia benedetta la pase.
Ottavio. E il matrimonio della Contessina si concluderà?
Beatrice. Io non ho niente in contrario.
Ottavio. Quando è così, signora....
SCENA XIX.
Lelio e detti.
Lelio. Signora madre, dov’è Rosaura?
Beatrice. Sarà nelle sue camere.
Lelio. L’ho cercata per tutto; sicuramente non vi è.
Beatrice. O cielo! Misera me! presto... (vuol partire)
Ottavio. Fermatevi, signora cognata.
Beatrice. Mia figlia...
Pantalone. La se ferma, la troveremo.
Beatrice. Come?...
Lelio. Giuro al cielo! Dov’è mia sorella?
Ottavio. Vostra sorella è da me custodita.
Lelio. Ecco l’accettazione del ritiro. Domattina anderà a rinserrarsi.
Ottavio. Vostra sorella è maritata.
Pantalone. E no la se serra più. (a Lelio)
Lelio. Come! Senza di me? Giuro al cielo!7
Ottavio. Fermatevi8. Venite, Rosaura, col vostro sposo.
SCENA ULTIMA9.
Rosaura, Florindo e detti; poi un Servitore.
Lelio. Quali soverchierie sono queste?
Ottavio. Nelle mie camere, mi maraviglio che abbiate tanto ardire. (a Lelio)
Lelio. Mi maraviglio di voi, che vi usurpiate il diritto sovra una mia sorella.
Beatrice. Figlio, acchetatevi, ed ascoltatemi. Il signor conte Ottavio non è nostro nemico....
Servitore. Illustrissimo.
Ottavio. Che cosa c’è?
Servitore. Brighella e Corallina sono fuggiti di casa.
Ottavio. Ah, mi dispiace...
Servitore. Ma il bargello da me avvisato li ha ritrovati, e son condotti in carcere.
Ottavio. Saranno castigati.
Servitore. (Imparerò anch’io a non dir male dei padroni, a non metter male nelle famiglie). (da sè, parte)
Beatrice. Ecco, figlio mio, lo scandalo di casa nostra. Quelli scellerati hanno seminate le discordie della nostra famiglia. Con queste orecchie ho sentita io stessa la verità. Io sono stata da Corallina irritata contro il conte Ottavio; egli fu da Brighella irritato contro di noi. Siamo sincerati, siamo tornati amici; non vogliate voi solo distruggere un’opera così bella, di cui il maggior merito lo ha il signor Pantalone.
Pantalone. Siori sì; mi ho fatto tanto per stabilir sta pase, e grazie al cielo, ghe ne son riussìo con onor. Caro sior Conte, la prego, la me fazza anca ela parer bon.
Rosaura. Signora madre, vi domando perdono
Beatrice. Non ne parliamo più. Son pronta a scordarmi di tutto.
Florindo. Signora, se vi contentate, le darò in vostra presenza la mano.
Beatrice. Sono contentissima.
Servitore. Illustrissimo, è il signor Balanzoni con suo nipote.
Lelio. Il dottor Balanzoni da voi? (ad Ottavio)
Ottavio. Sì. Quel buon uomo voleva mettersi in mezzo. Digli che se ne vada, e in casa mia non ardisca più mettere il piede.
Lelio. Diglielo anche da mia parte. (servitore parte)
Pantalone. Bravi, i fa benissimo. In sta maniera spero che i goderà la so pase, e mi averò la consolazion d’averla promossa e stabilida. I pontigli domestici i xe i più fieri, i più crudeli che se daga a sto mondo. Per el più i nasse de cause liziere, da principi deboli, da cosse de gnente, e ordenariamente la servitù xe quella che ghe dà eccitamento. I adulatori10 fomenta, e i boni amici li accomoda e li destruzze. Brighella e Corallina i ha promossi, el dottor Balanzoni i ha fomentai, Pantalon de’ Bisognosi li ha accomodai. Scazzadi i nemici de casa, no ghe sarà più pontigli, regnerà la pase, e la so fameggia sarà benedia dal cielo e respettada dal mondo.
Fine della Commedia.
Note
- ↑ Come segua la scena nell’ediz. Paperini, vedasi in Appendice.
- ↑ Questa scena, com’è nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.
- ↑ Questa scena, com’è nell’ed. Paperini, vedasi in Appendice.
- ↑ Pap.: «Flor. (Amore, tu sei una gran bestia!) parte».
- ↑ Pap.: Oh, le voglio bene; ma noi altri ecc.
- ↑ Pap.: Ah signor ecc.
- ↑ Pap. aggiunge: l’ammazzerò.
- ↑ Questa scena è divisa in due nell’ed. Paperini, come si vede nell’Appendice.
- ↑ Le parole che qui seguono, non si leggono nell’ed. Paperini.
- ↑ Pap.: xe quelli che li ecc.