Il Novellino/Parte quinta/Novella XLI

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Novella XLI - Dui cavalieri francisi innamorati de doe sorelle con nova intermessa del falso diamante
tornano in Firenza, e ognun gode con la sua

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Novella XLI - Dui cavalieri francisi innamorati de doe sorelle con nova intermessa del falso diamante
tornano in Firenza, e ognun gode con la sua
Parte quinta - Prologo Parte quinta - Novella XLII
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NOVELLA XLI.




ARGOMENTO.


Doi cavalieri francesi se innamorano de doe sorelle fiorentine, son necessitati ritornarsi in Francia. Una de quelle con una sentenziosa intramessa de un falso diamante fa tutti doi ritornare in Fiorenza, e con una strana maniera godono a la fine di loro amore.


A LO MAGNIFICO FRANCESCO GALIOTO1.


ESORDIO.


Etsi de la suave musica d’Anfione furono le dure petre commosse, nobilissimo mio Galioto, quale meraviglia che el tuo Masuccio de l'armonia de toa dolcissima lira sia sforzato a fabricare con ruda mano la seguente novella, e quella a te, che notitia me ne desti, la intitulare? Supplicote dunque che leggendola, el correggere non te sia molesto, a tale che se dilongato della verità, o alcuna ruggine, come non dubito, vi cognoscerai, con amore emendare e racconciare la debbi, sì come tra la nostra non moderna amicizia se recerca. Vale. [p. 426 modifica]


NARRAZIONE.


Dico adunque che nel tempo che lo Duca Ranieri d’Angioia, emulo della quieta pace, da la potenzia col senno insieme del divo2 principe Re Don Alfonso fu da Napoli e dal Regno cacciato, come gli piacque, per certo tempo in Firenza se raffisse: dove tra li altri francesi che a sì gran perdita e corso naufragio lo accompagnarono, furon doi valorosi e acconci cavalieri, l’uno chiamato Filippo de Lincurto, e l’altro Ciarlo d’Amboia. I quali ancora che pruprudentissimi fossero, e de molte virtù accompagnati, pure essendone giovini e tutti disposti ad amore, lassando l’affanno del perdere coi pensieri insieme a chi l’avesse, el duca, trascorrendo a cavallo quasi ogni dì per Firenza, avvenne che Filippo se innamorò de una liggiadra e bellissima giovene, de nobile parentato, moglie de un notevole cittadino; e travagliandose de continuo a la cominciata impresa accadde che Ciarlo in un altro lato de la città fu preso dal piacere della sorella de l’amorosa de Filippo, la quale in casa del patre non maritata dimorava: el che senza sapere tale parentela si deliberò, ancora che bella oltra modo gli paresse, di temperatamente amarla, poiché come a esperto nelle amorose battaglie cognoscea che le giovene donzelle levemente e con poca fermezza sogliono amare. Filippo trovando che la soa donna discreta e intendente era, con tale subbietto apparecchiato, a summamente amarla se dispose: de che la donna accorgendosene e considerate le molte laudevoli parti del cavaliero, se [p. 427 modifica]deliberò con tutto il cuore lui altresì unicamente amare, e lo cominciò in maniera de la grazia soa a favorire che a lui parea che colei sola al mondo sapesse amare; e certo d’amore li ultimi frutti gli avria con comune piacere fatto gustare, se da lo essere del marito continuo nella città e in casa non gli fosse stato interdetto: e de tale suo fermo proposto avendonelo e per lettere e per imbasciata fatto certo, nulla altra cosa era da loro con summo desiderio aspettata se non el partire che el marito per Fiandra volea fare con le galee che a Pisa da ora in ora doveano già toccare. E in tali piacevoli pensieri stando, a Duca Ranieri fu bisogno in Francia ritornarse: il che da li doi cavalieri fu tale partire agramente tollerato, e molto più da colui che con più passione amava ed era amato; pur da detta necessità astretti, così nelli lazzi d'amore avviluppati se diparterono. Nondimeno Filippo a la soa donna promise che quale si voglia grande affare il retornare non gli avria interdetto, e come liale amante per niuno accidente abbandonarla mai. E con più altre assai affettuose parole confortatala, intrarono al loro camino; e con detto signore in Francia gionti, avvenne che in processo di tempo, o che novello amore, o che altre occupationi de cose grandi ne fossero state cagione, ancora che Filippo de la sua lassata donna se ricordasse, pur le calenti fiamme veneano da passo in passo in maniera ad estinguere, che non solo el promesso retornare gli era uscito de mente, ma a le molte e diverse lettere da lei mandategli rare o non mai risposte ne sequeano. De che la donna cognoscendo dal fervente amante essere quasi del tutto abbandonata, in tanto fiero dolore ne cadde che [p. 428 modifica]era per impazzirne; pur pensando alla intiera virtù del cavaliero non se possea persuadere che tanta inumanità in cuore nobile albergasse; ma tuttavia delle ultime parole e scritte e mandatele a dire per loro fido messo recordandose, pensò con una nuova e sentenziosa intramessa mordere la virtù de l’amante, e con quello vedere l’ultima esperientia del suo amore. E subito da un singolare maestro fatto fare con gran delicatura uno anello d’oro, in quello fè incastrare un contrafatto diamante che ben parea la soa falsità, e intorno a detto anello fè scolpire certe lettere che solo diceano: La ma za batani3; e quello acconciamente fasciato in più viluppi e sottilissima cambraia4, per un fiorentino giovinetto consapevole del fatto, che per altre soe bisogne in Francia passava, al suo Filippo el mandò, e gl’impose che tra sè e lui gliel desse, e non altro gli dicesse se non: Colei che unicamente te ama te manda questo, e supplica che de conveniente risposta la fai degna. Al quale el messo col presente e con la imbasciata gionto e da lui lietamente ricevuto, dopo che la conditione de l’anello col motto insieme ebbe con meraviglia visto, più dì andò sopra tale significato fantasticando, e non possendone el vero costrutto cavare, deliberò al suo Ciarlo e a più altri cavalieri de la Corte del Re di Francia el mostrare, i quali ognuno per sè e tutti insieme gl’intelletti esercitando, niuno al bersaglio se sapea nè possea accostare. Ultimamente dal Duca Joanne, il quale prudentissimo [p. 429 modifica]signore era, e molto più savio in consigliare altri, che fortunato in avere de soe molte imprese finale vittoria, fu subito la soa particolarità intesa, quale in effetto dicea: Diamante falso, perchè me hai abbandonata? La cui sentenzia da Filippo ascoltata, cognobbe che la donna con gran prudenzia lo avea del suo falso amore iustamente rimorso, e deliberò con una medesima operatione a tale ornata proposta respondere, e a tanto debito d’amore satisfare, e senza volere il fatto menare più in lungo strettamente richiese Ciarlo suo caro compagno, e lo scongiurò per l’amicizia tra loro el dovesse per la detta cagione in Fiorenza accompagnare: al quale ancora che duro gli paresse, pur per obtemperare al volere de tanto amico, e oltra ciò pensando che a sé medesimo e alla piaciuta damigella satisfaria, senza altra replica disse contentarsi. I quali intrati al loro viaggio, e a convenevole tempo a Fiorenza gionti, come prima da comodità loro fu concesso, dinanzi le case de loro madonne passiggiando, la loro venuta significaro; e poco appresso Filippo fe' per lo solito messaggiero dire a la soa donna, come lui inteso a bastanza quanto l'anello da lei mandatoli gli avea dimostrato, non sapendo come tale sua non vera opinione reprovare, se non con la testimonianza de la soa presente venuta, e però omai a lei restasse de dargli ora de compita odienza. La gentil donna che de loro venuta avea con la sorella fatta mirabile festa, e tra esse ordinato de quanto fare intendeano, sentendo l’affettuosa e d’amore condita imbasciata, fu de tanta allegrezza ripiena che ad avere invidia de sé medesima parea essere costretta; e per non perdere più tempo che perduto si era, gli [p. 430 modifica]fè brevemente rispondere che la seguente sera col suo compagno dinanzi la porta de soa casa se conducesse. Per el che Filippo lietissimo quando ora gli parve col suo Ciarlo al demonstratoli loco gionti, trovaro la donna che lietamente li aspettava; e fatto loro da una fidata fante aprire e redurre dentro, per quella gli fè dire, che a non possersene fare altro de necessità bisognava che, fin che essa a prendere piacere con Filippo dimorava, Ciarlo avesse andato a giacere ignudo in letto da lato de suo marito, a tale che isvegliandosi sentendolo in letto se avesse la moglie creduta, altramente vi saria corso pericolo e de onore e de persona; e per quello gli supplicava che de tale opportuno remedio per loro fosse provisto, o vero de retornarse indietro avessero el partito preso. Ciarlo odendo tale dimanda, quantunque a l'inferno per servire el compagno serìa andato, nondimeno gli parea che alla soa ottima fama fosse grandissimo mancamento succedendo il caso lui essere ivi ignudo trovato; denegò del tutto in tale modo volervi andare, ma vestito e con la spata in mano offerse d’andarvi molto volentieri. Filippo che de Francia era ritornato per essere da la soa donna raccolto, vedendosi a tali partiti estremi, parendogli che el compagno dicesse bene, e che la donna con colorata ragione se movesse, dopo più e diversi dibatti, cognoscendo pure la donna stare ostinata a tale proposta, a la fine lui più che mai d’amore infiammato quasi lacrymando pregò Ciarlo per gli vincoli de l’amicizia che de tale dimanda, come che inonesta fosse, contentasse il volere de la donna e il suo. El che Ciarlo cognoscendo la qualità della passione de l’amico, e a che [p. 431 modifica]termini era la cosa, deliberò prima, se bisognasse, morire che de contentarlo in alcun modo mancasse. E così la fante presolo per mano al buio el menò dove era la donna, da la quale benignamente raccolto dentro la soa camera il condusse, e fattolo dispogliare ignudo con la spata in mano se ne entrò in letto; e piano confortatolo a patientia che prestissimo torneria a liberarlo, al suo Filippo tutta festeggevole se ne venne, e in un’altra camera andatine diero al loro amore intiero e piacevole compimento. Ciarlo avendo non che dove5 ore ma quattro aspettato, e credendo che se non la donna almeno el compagno prudente avesselo de cavarlo da lì procurato, dove contro ogni suo piacere e pieno de sospetto dimorava, e non sentendogli venire, cognobbe omai il dì avvicinarsi, de che fra sé medesimo consigliato disse: Se costoro d’amore rescaldati non se tormentano averme qui per bestia lasciato, a me conviene de me e del mio onore fare estima. E piano toltosi dal letto, parendogli che il marito de la donna dormesse, con gli panni in spalla andò a fare prova de uscire, e trovata la porta de la camera de forte serraglio da fore provista, se trovò oltra modo dolente, e non sapendo ove finestre fossero nè dove respondessero, con fellone animo pur al letto se tornò; e ancora che sentesse colui destato e per lo letto demenarse, senza accostarlisi nè dire alcuna parola, pure da timore e da maraviglia era stimolato. E in tali travagliati pensieri stando vide per le fessure de le finestre già essere dì chiaro, e dubitando da colui essere raffigurato, li voltò le spalle, e in sé raccolto ammanitasi la spata per averla al bisogno, [p. 432 modifica]posto quello che esser dovea a beneficio di Fortuna, quieto e con grandissimo rencrescimento se stava. E non dopo molto sentì a la casa esservi acceso fuoco, e le brigate con frettolosi passi correre con acqua a reparare, per la cui cagione per ultimo partito già prese de prima come a bono cavaliero morire, che essere ivi ignudo per scambio de femina retrovato; e saltato dal letto con la spata dal fodero tratta, andò verso la porta, e facendo ogni suo sforzo d’aprirla, sentì che de fuora gli era aperto; del che alquanto retenuto, se vide Filippo e la donna per mano con gran festa entrare, e lui che de furore e male talento cognosceano ripieno con gran piacevolezza abbracciaro. E vedendolo ancora tanto abbagliato stare che non sapea ove se fosse, la donna lietamente presolo per mano disse: Signore mio, l’intiero amore quale vi porto con quello insieme che voi ad altre portate me darà prontissima securtà dirve quello che tra tanta amistà dire se conviene. Io non so se a voi cavalieri francesi è dalla natura mancato quello che lei medesima a li bruti animali avea già concesso; e ciò dico che io non cognosco niuna domita o pur silvana fiera, che all’odore il mascolo d’amore trafitto non cognosca la femina. E voi prudente e savio cavaliere, de Francia insino a qui per amore retornato, è stata tanto debile la vostra infreddata natura, che avendo avuta una sì lunga notte da lato colei che tanto mostravate d’amare, e all’odore non l’avete cognosciuta. E al letto menatolo, gli fè vedere e cognoscere la soa sorella che tutta la passata notte con lui era giaciuta: el che il cavaliero non meno scornato remasto, nacque tra loro quattro tanta festa e piacevoli risa che non [p. 433 modifica]se posseano in piedi tenere. Dove parve a tutti che per emenda del commesso errore a coppia se dividessero; e così Ciarlo in letto retornatose, e da tale fertile giardino il novello fiore e primo frutto coltone, trionfando e godendo ognuno con la soa, fin che el marito de ponente ritornò, si dimorarono.


MASUCCIO.


Se la notevole intramessa del falso diamante da una donna composta deve essere e meritamente commendata, non meno con piacere considerare se può la singolare beffa da lei medesima fatta a Ciarlo col travaglio di mente, con li diversi pensieri, e col timore insieme che in sì lunga notte ricevette; ma dopo che la cosa in tanto lieto fine fu terminata, mi pare che solo la conclusione de le donne che mandano a richieder gli uomini prender se ne debbia. Dal quale tema argomento togliendo, seguirò appresso un altro fiero crudele e libidinoso caso de la regina de Polonia pure a lieto fine, non altro che per essa, terminato.

  1. La famiglia Galioto o Galeota era nobile napoletana. Questo Francesco non saprei dire chi fosse stato: ma dalle parole che Masuccio gli scrive, e dal contenuto della novella, mi pare che egli potè essere congionto di quel Giacomo Galeota che parteggiò pel Duca Giovanni d’Angiò, e lo segui in Francia con altri, e salì in tanta reputazione di guerra che fu Generale del re di Francia a la battaglia di S. Albino, dove ebbe una gran vittoria. V. Storia del Costanzo, lib. XX.
  2. divo, perchè morto: alla latina.
  3. Sono le parole di Cristo morente: Heli, Heli, lama sabactani. Deus meus, quid dereliquisti me?
  4. Cambraia tela di Cambrai, oggi detta mussolina. In Calabria la chiamano ancora cambrì, e cambricco.
  5. dove per due, del dialetto Salernitano.