Il Parlamento del Regno d'Italia/Carlo Laurenti Robaudi

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Carlo Laurenti Robaudi

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Carlo Torrigiani Giustiniano Nicolucci

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deputato.


Percorrendo l’istoria de’ numerosi torbidi e delle infinite rivoluzioni della contea di Nizza, presa e ripresa or dai Romani or dai barbari, poi nel X secolo dalle armate pontificie, dalla casa Angioina e da quella di Savoja, percorrendo, diciam noi, la lunga sterminata sequela di quei rovesci e di quelle guerre intestine, tra i nomi celebri e tanti titoli, il diligente investigatore distinguerà senz’alcun dubbio il nome dei Laurenti Robaudi.

D’età in età si vedranno i portatori di questo nome occupar sempre le più alte posizioni civili e militari.

Un Andrea Robaudi nel principio dell’XI secolo [p. 934 modifica]vedrassi difendere l’assediata città; un conte Laurenti si si troverà più tardi, nel XVI secolo presidente del senato di Torino, e verso la medesima epoca un altro Laurenti si riscontrerà alla testa delle armate fiorentine, e recentemente, quasi ai di nostri, si avrà un Giuseppe Laurenti di Venanzon divenuto l’amico intimo di Bonaparte, il quale, come ognun sa, non era certo prodigo della sua amicizia, gli salvava la vita e contribuiva così a far che i grandiosi destini di quell’uomo provvidenziale potessero compiersi.

Era nel 1794, il quartier generale dell’armata francese era stato trasportato a Nizza, e Bonaparte, che non comandava per anco in capo, si era recato a prendere alloggio presso il proprio amico Laurenti.

Lasciamo raccontare il fatto all’istoria e citiamo la narrazione che dà Federico Lacroix nella sua notevole opera intorno al soggiorno di Bonaparte a Nizza del l’episodio che si riferisce alla famiglia Robaudi Laurenti.

«Il 9 termidoro dà ad un tratto il segnale della reazione. I due Robespierre periscono sul patibolo e tutti i loro aderenti sono perseguitati. Sapevasi che Bonaparte aveva mantenuti dei rapporti col capo della montagna. Ciò bastava ampiamente per designarlo ai furori del partito trionfante. I rappresentanti del popolo presso l’armata d’Italia Abbittes e Saliceti, che alcuni mesi prima avevano contribuito all’avanzamento di Bonaparte, trasmisero a Dumerbion, generale comandante il corpo d’armata, l’ordine di fare arrestare il giovine generale.

«Nelle circostanze d’allora un tal ordine equivaleva ad una condanna a morte; Bonaparte si credette perduto. Un amico occupossi di salvarlo, il conte Laurenti si recò presso i rappresentanti del popolo, offri cauzione per Bonaparte, pregò, supplicò, fece tanto e sì bene che il generale, dispensato dal terribile viaggio a Parigi, fu semplicemente condannato agli arresti in casa del proprio ospite. La più intima amicizia si stabilì per tal modo fra il giovine generale e la famiglia Laurenti...»

Nè la memoria del servizio reso, nè l’illustre [p. 935 modifica]amicizia che ne fu giustissima e meritata ricompensa valsero a far dimenticare alla famiglia Laurenti che la di lei patria era italiana e che all’Italia sola essa doveva la propria simpatia e la sua devozione.

Nel 1815 il conte Vitale Laurenti rifiutò di conservare la naturalizzazione francese, che la forza delle armi aveva imposta al proprio paese. Seguendo l’esempio dato dal padre, esempio che così bene rispondeva ai propri sentimenti, Carlo Laurenti Robaudi, di cui diamo in questa pagina notizia biografica, protestò con tutta la forza del suo patriottismo, quando nel 1860 i trattati e la diplomazia separavano Nizza dalla grande famiglia italiana.

Nato il 10 luglio 1817 il conte Carlo Laurenti Robaudi fu ammesso giovine ancora all’accademia mili tare di Torino, dalla quale escì nel 1836 sottotenente nell’11.º reggimento di fanteria.

La pace era per ogni dove e il giovine ufficiale, stanco bentosto della quieta esistenza della caserma e della monotonia della guarnigione, dette la propria dimissione nel 1841, tornò a Nizza e divenne il più ardente patrocinatore degl’interessi del proprio paese.

Dopo aver seduto ora nei consigli della comunità ora in quelli della provincia, e della divisione, si mise alla politica militante, o con l’aiuto di qualche amico devoto fondò nel 1848 un giornale democratico.

Ma allorchè l’Italia, sollevatasi alla voce del suo magnanimo iniziatore d’indipendenza e di libertà re Carlo Alberto, prese le armi per rivendicare quell’autonomia contrastatale dopo sì lungo tempo dagli stranieri, Carlo Laurenti Robaudi fu uno dei primi a rispondere a quella chiamata.

Rientrato nell’esercito col grado di luogotenente dei granatieri fece tutta la campagna con onore ed ab negazione, quella campagna che terminò con una disfatta, la quale tuttavia fu una gloria piuttosto che un’onta per i vinti.

Tornato ch’ei fu in seno alla nativa città si dedicò intieramente di bel nuovo alla sua prosperità, occupandosi con amore e cura indefessa, di promuovere gl’interessi dei suoi concittadini.

[p. 936 modifica]Creato colonnello deila guardia nazionale egli si applicò con la maggiore sollecitudine possibile all’istruzione di questo sceltissimo corpo, alla cui testa rimase per ben cinque anni.

Nel 1856 i suoi concittadini, riconoscenti per tante cure da esso prodigate alla nobile città che gli aveva dato la nascita, lo elessero deputato al Parlamento nazionale, ove fu per tre legislature consecutive, rieletto e dove apportò tutta quella indefessa sollecitudine che egli suole recar sempre in quelle imprese o in quelle occupazioni che riguardano i patri interessi.

Nominato membro di moltissime commissioni e relatore di varie di esse, ebbe anche il vanto di presentare alla Camera e di pervenire a fare approvare da essa un progetti di legge relativo alla costruzione della ferrovia delle due riviere, e ciò malgrado la vivissima opposizione sollevata nel Parlamento contro questo progetto.

La brillante e gloriosa campagna di Lombardia che pervenne a fare libera finalmente e fidente nei suoi alti destini l’Italia, valse a recare gravi cimenti e interni lutti all’anima commossa del nostro protagonista.

Nizza, che per ben due volte servì d’asilo ai suoi sovrani spossessati; Nizza, la fedele, le cui armi parlanti, a memoria dell’assedio del 1554, portano una donna armata coll’elmo in testa, ed il petto scoperto mostra sul suo cuore la croce di casa Savoia; Nizza la culla di Garibaldi, italiana pel suo passato e pel suo bel cielo se non l’era per la situazione geografica e per l’idioma; Nizza infine doveva passare nelle mani dei Francesi, pel trionfo di quel gran principio, che agl’Italiani importa tanto diveder vittorioso, quello diciam noi, di concedere alle nazioni i propri confini naturali.

Noi non possiamo certo far carico al conte Laurenti Robaudi se egli si sentì preso da profondo sgomento quando gli fu noto il patto, mediante il quale la sua città nativa cessava d’appartenere all’Italia per divenire francese.

[p. 937 modifica]Al momento delle elezioni egli annunziò ai propri concittadini, che ove egli fosse stato eletto rappresentante italiano come era di cuore e di sangue, sarebbesi in Parlamento, opposto a tutto suo potere all’annessione, protestando in proprio nome ed in nome dei proprî concittadini contro le conclusioni del trattato del 24 marzo. Eletto di fatto deputato insieme a Garibaldi, egli prese la parola con tutta l’energia e l’eloquenza immaginabili per combattere il progetto ili legge proposto dal conte di Cavour.

Ma malgrado tutta la simpatia che i Nizzardi potevano inspirare, e l’influenza del Garibaldi e del Laurenti, alte ragioni politiche consigliarono l’adozione della cessione, tosto avvenuta la quale, i due deputati Nizzardi dettero le loro dimissioni.

Rimase per alcun tempo il Laurenti, dopo quel fatto per esso così doloroso, lontano dai pubblici affari, e non fu che nel 1861, che, presentato da Garibaldi ai suffragi degli elettori di Palermo, ebbe confidato da essi il mandato di rappresentante al Parlamento nazionale.

Abbiamo sott’occhio un indirizzo di ringraziamento del Laurenti ai suoi elettori, del quale ci pare utile di citare le seguenti parole:

«Questo voto del secondo collegio di Palermo, dic’egli, proclama solennemente, e una volta di più, in faccia al mondo intiero, che Nizza fa parte della terra italiana. Si, Nizza è italiana! Amico di Garibaldi, di già noto nel Parlamento subalpino, io non ho duopo far promesse, o proteste, io voglio l’Italia una e libera. So qual sono i vostri desideri, mi è pervenuto all’orecchio l’energico grido col quale avete indicato la meta verso cui volete che il vostro capitano vi conduca, cioè a Roma e a Venezia. Roma e Venezia mi stanno sempre fisse in mente, e vi giuro, che il vostro volere troverà in me, un fedelissimo, un ardentissimo interprete. E se la fortuna può essermi tanto favore vole da permettermi di vedere la nostra bandiera sventolare sul Campidoglio e in cima al palazzo dei Dogi allora io vi dirò: Palermitani, Nizza è ancora separata dalla sua gran madre, l’Italia, andiamo a ritorre agli stranieri il paese nativo del vostro liberatore».

[p. 938 modifica]Ci è impossibile di condannare questo entusiasmo, il quale ha un origine troppo pura e generosa per non dover essere rispettato. — In quanto a noi, se dobbiamo credere che Nizza sia ormai irrevocabilmente perduta per l’Italia, non possiamo d’altronde non rallegrarci di aver conservato all’Italia un ottimo e caldo cittadino qual si è il conte Laurenti-Robaudi.