Il Parlamento del Regno d'Italia/Eugenio Pelosi

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Eugenio Pelosi

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Geminiano Grimelli Carlo Berti Pichat
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


Eugenio Pelosi.

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Nato in Lucca nel 1820, fu educato in quel collegio, e venne poscia laureato in matematiche dopo aver percorso quello studio nel liceo di essa città.

Si mostrò caldo di sentimenti patriotici fin dalla più giovanile età, e non appena ultimato il corso dei suoi studi, si recò a Parigi, ove trascorse due anni, frequentando quella scuola d’applicazione di Ponti e Strade, poscia visitò tutta la Francia, l’Inghilterra, la Svizzera, il Belgio, l’Olanda e la Germania, stringendo in quei paesi relazione con illustri italiani colà esuli e con chiari stranieri.

Tornato in Italia, passò a Roma, nei primi tempi del pontificato di Pio IX, per istudiarvi architettura e pittura, ed ebbe l’onore d’essere la prima vittima della polizia romana.

Nella città eterna si era costituita una società di armi e ginnastica, di cui era stato eletto presidente il Pelosi. Questo fatto era già bastalo a metterlo in sospetto presso la polizia di M.r Grassellini, allora governatore di Roma. Nel medesimo tempo il di lui amico e compagno di studi Morandini era stato arrestato a Venezia e gli si intentava processo sotto l’accusa d’alto tradimento. Ora il nostro protagonista venne pur esso involto in quel processo, ed il governo austriaco ne chiese l’arresto e l’estradizione al governo pontificio, il quale non ardì obbedire, ma esigliò il Pelosi dagli Stati del Santo Padre. Il Pelosi, dal canto suo, rifiutossi ricisamente a partire, e per quaranta giorni rimase in Roma, sfidando le ire della polizia pretesca. La gioventù romana aveva fatta propria la di lui causa, e se la polizia avesse tentato di eseguire l’arresto tante volte minacciato, non eravi a dubitare che non ne fosse resultato una collisione.

Ciò avveniva nel marzo del 1847, mentre sotto la tenebrosa influenza d’un Nardoni, Roma si vedeva inondata d’un’orda di scherani venuti dalle provincie, i [p. 463 modifica]quali stavano ordendo trame contro i patrioti e cercando ogni occasione onde venirne alle mani.

Pelosi, non volendo esser occasione di pubbliche sciagure, si decise a partire, e la gioventù romana, in forma solenne volle accompagnarlo fino fuora di Porta del Popolo, ove lo attendeva Ciceruacchio, che lo arringò alla testa de’ suoi popolani.

Nel successivo agosto il nostro protagonista si trovava esiliato da tutti gli Stati Italiani, eccettuato Lucca e il Piemonte.

Intanto gli avvenimenti incalzavano; Pelosi, alla testa della gioventù lucchese, prese parte ad una manifestazione in cui venne chiesta la costituzione; nella notte dell’ultima domenica d’agosto il figlio del duca, dipoi Carlo III di Parma, invase la casa del nostro protagonista alla testa di trenta gendarmi, onde arrestarlo, ma fortunatamente riusci al Pelosi di mettersi in salvo.

Tre giorni dopo scoppiava in Lucca la rivoluzione: il duca, dopo aver conceduto quanto chiedeva il popolo, fuggiva, lasciando lo Stato alla Toscana. Così crollava il primo troncolo e si compieva la prima annessione, lontana foriera di quelle che dovevano costituire la sognala unità italiana. Il magnanimo Carlo Alberto svelava in questo mezzo i grandi suoi intendimenti nazionali. Pelosi non tardò a conoscere la bandiera di quel principe essere il vero segnacolo del riscatto, e da quel momento, rigettando le utopie giovanili, aderì francamente a quella politica della quale è stato poi sempre attivo fautore.

Scoppiata la guerra, partì per la Lombardia in qualità di comandante del battaglione dei volontari lucchesi, e quando l’indisciplina, cui troppo spesso questa sorta di corpi si abbandonano, ne cagionò lo scioglimento, il Pelosi si arruolò come semplice soldato nelle truppe regolari, non rimanendo tuttavia in quel posto che pochi giorni, giacché il colonnello Giovannetti lo chiamò al comando dei bersaglieri toscani, rimasto vacante per l’elezione a deputato del titolare Malenchini.

Reduce dalla guerra, mentre credeva poter riposarsi dalle onorate fatiche in seno alla propria famiglia, [p. 464 modifica]dovette fuggire i colpi di pugnale di cui lo minacciavano gli antichi birri che avevan tolta la maschera di democrati puri; lo accusavano d’essere un albertista.

Dopo il disastro di Novara, avvicinandosi i tedeschi alla Toscana, il Pelosi ridiè di piglio al fucile, e in compagnia di una mano di animosa gioventù fiorentina s’avviò verso la frontiera; ma scoppiato durante la loro marcia il moto restaurativo in Toscana, quel drappello di giovani si sciolse e posò le armi.

Caduta affatto la fortuna d’Italia, Pelosi non disperò e rivolse gli occhi egli pure verso il Piemonte ove sventolava, sorretta dal valoroso e leale braccio di un giovane re, la nazionale bandiera.

Costituitasi appena la società nazionale, ei fondò in Lucca un comitato. La felice rivoluzione del 27 aprile lo salvò dalle conseguenze d’un processo iniziatosi contro di lui.

Ricompensato dal sovrano colla croce mauriziana per gli eminenti servigi da esso resi alla patria, venne eletto alle due ultime legislature dal collegio di Castelnuovo di Garfagnana.

Non dimenticheremo di mentovare che il Pelosi è autore d’un nuovo sistema di strade ferrate, del quale può vedersi un modello nel gabinetto tecnologico dell’università di Pisa.