Il Parlamento del Regno d'Italia/Francesco Paolo Catucci

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Francesco Paolo Catucci

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Giovanni Battista Sella Luigi Lechi

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deputato.


Ci si comunicano le seguenti notizie:

Il Catucci nasceva in Bitonto (Terra di Bari) nel 1820 da Gaetano ed Agnese De-Marinis.

Fu educato ai buoni studi nel seminario di Bitonto ove ebbe a precettore di eloquenza l’egregio letterato Luigi Della-Noce, che poi nel 1849 fu deputato al Parlamento subalpino.

Ancora giovanissimo il Catucci, compito il corso di studi fino alla filosofia, si diede ad apparare le scienze fisiche, desideroso di apprendere la medicina; ma dopo diversi anni abbandonando questa via si mise allo studio delle scienze legali, al quale si dedicò intera mente.

Nel 1840, recatosi in Napoli, completò il corso di legge presso il celebre professore Roberto Savarese. Nel 1844 fu con regio decreto autorizzato all’insegnamento del diritto positivo diviso nelle cinque parti secondo la legislazione dell’ex-regno delle Due Sicilie e continuò in tale esercizio sino al 1849 con numerosissimo concorso di studenti, quando per la rivoluzione del 1848, al divieto dell’insegnamento, si aggiunse la crudele persecuzione degli sgherri borbonici.

[p. 950 modifica]Nel 1848 non potè sedere nel Parlamento napole tano per la mancanza di un solo voto, essendo allora venuto in ballottaggio con Petrucelli e Saliceti nel circondario di Muro -Lucano secondo quella legge elettorale. Catucci ebbe 511 voti, Saliceti 506 e Petru celli 512.

Durante la rivoluzione del 1848 Catucci dirigeva il giornale La Patria e veniva nominato giudice da Saliceti.

Nel 1850 per sospetti di liberalismo veniva arrestato dalla polizia di Ferdinando II, e dopo un duro imprigionamento di nove mesi era rilasciato per mancanza di prove.

Nel 1853 veniva di nuovo chiuso in carcere, ove rimaneva per altri due mesi. Nel 1856 poi, essendosi egli recato a Gaeta per motivi di sua professione, fu fatto arrestare in Molo di Gaeta per opera di quel l’ispettore di polizia Nunziata, cui delle spie molto bene informate, come lo si può giudicare, avevano fatto credere che il Catucci a Gaeta si recasse non per altro fine che per assassinare Ferdinando II. Fortuna volle che il Catucci avesse buone conoscenze che risposero di lui e dettero tutte le garanzie immaginabili, altrimenti chi sa quanto tempo ancora avrebbe dovuto languire in una carcere.

Nel 1857 nuova accusa contro il Catucci; lo si dice detentore di armi e di polvere da guerra e lo si arresta di nuovo, si traduce in commissariato di polizia, ove lo si sorveglia attentissimamente. Intanto si rovista, anzi si mette addirittura sossopra la di lui abitazione ma non si rinviene niente di quanto si cercava; tuttavia lo si sarebbe di nuovo chiuso in un carcere se una signora inglese non si fosse intromessa, e influente per relazioni che aveva con un generale svizzero, non fosse sorvenuta a farlo riporre in libertà.

Le persecuzioni della polizia borbonica erano così ingegnose che ove si volesse in queste pagine accennare soltanto alle sue manovre moltiplicate tanto quante variate ne avremmo di che riempire metà del nostro libro. Il Catucci non aveva un momento di [p. 951 modifica]tregua e non riusciva a sottrarsi ad una che per rimaner vittima dell’altra. Lo si accusava di essere in corrispondenza col De-Dominicis emigrato in Egitto e col De -Branchi refugiato nelle città anseatiche perchè si sapeva ch’entrambi erano suoi amici, e ad ogni istante gli si facevano visite domiciliarie minutissime, insopportabilissime.

Ma ciò non bastava, il Catucci ispirava un vero terrore agli sgherri di re Ferdinando, sui quali la falsa accusa ch’egli avesse risoluto di attentare alla vita del Borbone, accusa che condusse l’ispettore di Molo di Gaeta a farlo arrestare, aveva fatto gran senso.

Si crederebbe che costoro costringevano il Catucci a recarsi in questura (allora dicevasi prefettura) e ve lo tenevano consegnato nelle occasioni solenni nelle quali re Ferdinando degnava mostrarsi al suo buon popolo di Napoli.

Nè questo basta. I vescovi pure s’ingegnarono di tormentarlo, ed ecco in qual modo. Una nuova accusa si rovesciò un giorno sul capo dell’infelice quanto, bisogna pur riconoscerlo, incrollabile Catucci, e quest’accusa consisteva nell’asserire ch’egli insegnava il diritto in ispregio del divieto. Un ufficio di polizia formulava l’accusa nei seguenti termini: il signor avvocato Catucci sotto il pravo disegno d’insegnare il diritto e di avere al suo studio dei patrocinatori, asserisce di fare l’avvocato; glielo avverto perchè prenda conto ecc.

Fu in quell’occasione che al Catucci convenne comparire dinanzi monsignore Apuzzo, il quale ebbe ad apostrofarlo nei seguenti termini:

«Il liberale non è cristiano, e noi non possiamo permettere ch’ella senza licenza insegni ai giovani delle apparenti dottrine legali, mediante le quali alla perfine vengono educati a finire in galera»

Nel momento stesso in cui Ferdinando di Borbone era attaccato di un crudelissimo morbo che lo condusse fra i tormenti più strazianti che lo numerose sue vittime potessero mai augurargli, alla tomba, quando Francesco II saliva su quel trono macchiato [p. 952 modifica]di tanto sangue, uno dei primi suoi atti fu quello di ordinare o almeno di approvare la carceratura del Catucci, accusato per la millesima volta di esser capo d’un complotto tendente a rovesciare la monarchia. Accusa vaga ma terribile che popolò di tanti nobili martiri le prigioni e le galere del Napoletano.

I giornali francesi parlarono di quell’arresto ed augurarono a ragione malissimo di un regno che cominciava con tali auspici. Tuttavia anche questa volta il Catucci fu tratto fuora di carcere, e lo fu mediante le cure del cavaliere Cesare Gallotti, reggente allora il portafoglio di grazia e giustizia.

Finalmente i Borboni furono cacciati da Napoli Catucci, subito, nel 1860, veniva nominato a giudice della gran corte criminale, ed ebbe missione di presidente del tribunale di Avellino. Ma egli rinunciava alla magistratura ed era dal collegio di Atripalda eletto deputato al Parlamento nazionale in cui prendeva posto alla sinistra per meglio dimostrare la propria indipendenza, ed agli importanti lavori del quale prende moltissima parte.

Il Catucci ha pubblicato buon numero di scritti, tra i quali non possiamo tralasciare di citare: Il commentario teorico-pratico dell’intero titolo settimo delle leggi civili; - Commento e traduzione dell’enciclopedia giuridica di Folk; - Introduzione allo studio del diritto; lavoro scientifico legale sulle opere di Vico e Montesquieu.

Alla Camera il Catucci ha fatto varie proposte di legge, tra i quali noteremo quelli relativi alla confisca dei beni a danno di coloro che abbandonando le provincie napoletane partirono con Francesco II per Roma, alla colletta dell’obolo di San Pietro, all’abolizione dei conservatori delle oblate, e alla riforma delle leggi di registro e bollo.