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Il Parlamento del Regno d'Italia/Giuseppe Pastore

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Giuseppe Pastore

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Giovanni Nicotera Eugenio Del Giudice

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senatore.


Ognuno che abbia abitato Torino nei primi anni del secolo deve ricordare quanto distinto avvocato fosse il cavalier Vincenzo Pastore, autore di pregiate opere legali, tra cui giova ricordare i commenti al codice Albertino che soli basterebbero a dar fama di valente a chi gli ha messi alla luce.

Figlio a cotesto chiaro personaggio è il generale Pastore di cui ci conviene ora tener parola. Egli è nato in Cuneo il 3 aprile del 1800, e all’età di 15 anni si è messo nella carriera militare entrando come cadetto allievo nelle scuole di artiglieria e genio.

La sua attitudine a severi studî da esso intrapresi ed un’applicazione indefessa e poco comune in un età si giovanile lo fecero uscire di là a due anni dal liceo, col grado di luogotenente d’artiglieria.

In quei tempi, la carriera scelta dal giovane Pastore non era così brillante e spicciativa come lo è oggi; e perchè il Piemonte d’allora, malgrado che pei suoi 3 milioni di abitanti avesse un’armata assai grossa, tuttavia era lungi dal potersi paragonare al Piemonte del 1848 in poi, e molto meno al regno d’Italia in cui s’è trasfuso oggidì; e perchè dopo le grandi e lunghe guerre della repubblica francese e dell’impero, l’Europa stanca di battagliare sembrava disposta a diminuire talmente il numero delle proprie soldatesche da far supporre che appena volesse lasciare in piedi piccoli nuclei di eserciti stanziali.

Ciò non ostante il Pastore a 26 anni era capitano, a 36 maggiore; avanzamento dei più rapidi e dovuto ai meriti speciali del giovine ufficiale superiore.

Nel 1847, quando l’Italia destatasi alfine dal lungo sonno in cui era rimasta immersa accennava ad [p. 973 modifica]esser pronta a far sacrificio del generoso sangue dei propri figli, purchè gli fosse concesso di riprendere il posto che gli spettava fra le civili nazioni, re Carlo Alberto, giudicando che il momento fosse alfine venuto di dar corpo ai nobili disegni da si lungo tempo vagheggiati, e mettendosi alla testa del movimento rigenatore italiano, crebbe la fila del suo compatto e ben disciplinato esercito, tanto che in quell’occasione il maggiore Pastore otteneva le spalline di colonnello.

Tre anni dopo soltanto, egli era promosso al grado di maggior generale, essendogli affidato l’importantissimo comando del personale d’artiglieria fino dal 1848, comando da esso conservato fino al 1858, epoca in cui fu chiamato alla direzione del materiale.

Quando l’ora della seconda e definitiva riscossa ebbe suonato pel Piemonte, nel 1859, il generale Pastore fu avanzato a luogotenente generale, e si ebbe il comando superiore dell’artiglieria dell’esercito, nella quale altissima posizione rese i più efficaci servigi al paese, e contribui massimamente al felice esito di quella imperitura campagna cui l’Italia deve la propria esistenza.

Dopo quella sosta fatale, ma appunto come la fatalità inevitabile, che fu la pace di Villafranca, il generale Dabormida, essendo stato chiamato dalla fiducia del Re a prendere il portafogli degli affari esteri, lasciò vacante il comando generale dell’artiglieria, che venne rimesso nelle abili mani del nostro protagonista.

Quando avemmo a parlare dell’operoso generale Dabormida dicemmo, come egli subito dopo avvenuta la morte dell’illustre conte di Cavour, ammalasse di morbo gravissimo e che sembrava avere i più grandi rapporti con quello sotto gli attacchi del quale aveva dovuto soccombere il gran ministro. Anche in quell’occasione il generale Pastore fu chiamato a surrogarlo nelle importantissime funzioni di presidente del comitato centrale d’artiglieria.

Nell’anno successivo (1862) altre incombenze ugualmente onorifiche e di rilievo erangli confidate, mentre lo si nominava presidente del supremo tribunale di guerra. Si fu pure in quello stesso anno, che il [p. 974 modifica]distintissimo generale veniva creato senatore del regno.

Il gran cordone dell’ordine Mauriziano e il nastro di commendatore della Legione d’onore fregiano il petto del generale Pastore, cui furono affidati nel corso della sua splendida carriera, varî altri incarichi di minor conto, dei quali la brevità cui siamo costretti c’impedisce di tener discorso, sebbene anche in quelli gli sia stato concesso di rendere all’armata e al paese servigi di non poco merito e rilievo.