Il Quadriregio/Libro primo/X

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X. Nel quale l’Amore discorre delle varie impressioni dell’aere con l’autore, a cui da Venere vien promessa la ninfa Ilbina. *1

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
X. Nel quale l’Amore discorre delle varie impressioni dell’aere con l’autore, a cui da Venere vien promessa la ninfa Ilbina. *1
Libro primo - IX Libro primo - XI
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CAPITOLO X

Nel quale l'Amore discorre delle varie impressioni dell'aere con l'autore,
a cui da Venere vien promessa la ninfa Ilbina.

     Oh Speranza vivace e sempre verde!
Se ogni cosa all’uom toglie fortuna,
ella sempre rimane e mai si perde.
     Questa soletto al lume della luna
5mi mise tra li boschi e tra li rovi
con gran fatica e senza posa alcuna.
     Dicea fra me:— Ben converrá ch’io provi
ogni mio ingegno e cerchi ogni paese,
che Lippea bella mia ninfa ritrovi.—
     10E giá cercando er’ito ben un mese
per l’aspro bosco e per la selva amara,
quando Cupido a me si fe’ palese.
     E come quando Febo si rischiara,
perché la nube grossa s’assuttiglia,
15che prima ostava alla sua faccia chiara;
     cosí una luce splendida e vermiglia
mi die’ nel volto; e, mentre l’occhio innalzo,
per veder meglio aguzzando le ciglia,
     io vidi lui, che stava su in un balzo
20e disse a me:— Ricòrdati che tue
giá tante volte m’hai chiamato falzo.
     Però t’ho tolto l’allegrezze tue;
ma io prometto a te di ristorarte,
se falso e traditor non mi di’ piúe.
     25Ma sappi prima che forza né arte
al regno di Iunon giammai perviene:
tant’ello dalla terra si disparte;

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     ché ’l regno, il quale Saturnia mantiene,
è posto in aere su nel freddo loco,
30onde la pioggia e la grandine viene.
     Lí non riscalda la spera del foco,
che non riscalda in giú tanto da cesso,
né anco il sol niente o molto poco;
     ché ’l raggio del gran Febo in giú riflesso
35non riscalda da lungi o molto oblico,
ma ben dappresso è riflesso in se stesso.
     E quando a questo loco, ch’io ti dico,
il vapor di quaggiú salendo giugne,
ratto che sente il freddo a sé nemico,
     40in sé si strigne ed in sé si congiugne
e fassi nube; e, quand’egli è costretto,
si fa la pioggia, perché l’acqua smugne.
     Ma nella state quel vapor, che ho detto,
ha molto in sé del terrestro vapore
45sulfureo e secco e d’ogni umido netto.
     E questo, quando sente l’umidore,
sí come fa all’acqua la calcina,
s’accende, e con gran rabbia n’esce fuore
     quindi il baleno e ’l tuon con gran ruina.
50E di questo vapor Vulcano a Iove
fa tre saette nella sua fucina.
     Che se ben miri quanto è piú forte ove
sta sulfurea fiamma inclusa ed arda,
tanto piú furiosa ella si move,
     55sí come apparir può nella bombarda,
ché poca fiamma accesa tanto vale,
che tuona e rompe ed esce fuor gagliarda;
     perché la state vieppiú alto sale
del chiaro Febo il suo riflesso raggio,
60e risal meno obliquo e piú eguale.
     Però questo vapor, che pria dett’aggio,
conven che ’l sole il lieve in piú altura
a farlo nube in piú alto viaggio.

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     Ov’ei trova adunata piú freddura,
65ivi si stringe, e l’acqua da lui scossa
grandine fassi: sí ’l ghiaccio la ’ndura.
     Ma, perché nell’inverno non ha possa
il sol, che tanto insú il vapor lieve,
’nanti ch’assai insú faccia sua mossa,
     70ancor non fatto nube si fa neve;
e raro e sperso fatto ghiaccio cade,
come bambace in terra, lieve lieve.
     A cosí alte e sí fredde contrade
da che salir non puoi, qui a te venni,
75ché di tanta fatica io t’ho pietade.—
     E, detto questo, con parole e cenni
mi fece scender giú per una scheggia;
e, quando in un bel prato giú pervenni,
     io vidi ninfe; e ciò, ch’occhio vagheggia
80mai di bellezza, risplendeva in loro:
tanto ognuna era bella e tanto egreggia.
     Parean venute dal superno coro
quaggiú nel mondo, creatur celeste
use con Iove in l’alto concistoro.
     85Quando mi viddon, fuggîr ratte e preste
alquanto a lungi e poi voltôn lor volti,
me risguardando tacite e modeste.
     — Io prego— dissi— che da voi si ascolti
di questa mia venuta la cagione,
90che m’ha condutto in questi boschi incolti.
     Cercando vo il regno di Iunone:
da che fortuna m’ha condutto a voi,
prego vostra pietá non m’abbandone.
     — Al regno di Iunone andar non puoi
95— mi rispose una,— ché sí in alto è posto,
che montar non potresti insino a loi.—
     E quando questo a me ebbon risposto,
passâro un monte e sí ratto fuggîro,
che appena il vento si movea sí tosto.

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     100Ed io dirieto a lor, con gran suspiro,
presi la costa e salsi il monte ratto;
e quando giú nell’altra valle miro,
     io vidi l’arco di Iunon lí fatto
ed alto in aere, il qual per segno diede
105Dio a Noè, con lui facendo il Patto.
     E come re ovver regina siede
nell’alto tron, cosí su quel si pose
Venus vestita d’òr da capo a piede,
     con la corona di mirto e di rose,
110con lieta faccia ed aspetto sí bello,
piú che mai dèe ovver novelle spose.
     Cupido allor volar come un uccello
vidi per l’aere; e credo sí veloce
Cillen non corse mai, né tanto snello.
     115Venus mi disse in questo ad alta voce:
— O giovin, c’hai montata insú la costa,
spronato dall’amor caldo e feroce,
     la bella ninfa, che a te fe’ risposta,
da me e dal mio figlio a te è sortita,
120che l’abbi a tuo voler ed a tua posta.
     Fa’ che tu passi qua, dov’è fuggita
nell’altra valle, e tanto lí rimagne,
che da Cupido per te sia ferita.—
     Per questo io trapassai l’aspre montagne,
125tanto ch’io la trovai nell’altro piano,
che stava a coglier fior con le compagne.
     Cupido lí non molto da lontano
di quella bella ninfa mi ferío
d’una saetta d’oro, ch’avea in mano.
     130Però io con ingegno e con desio
m’appressa’ a loro e dissi:— O ninfe belle,
in questo loco sí silvestre e rio
     per consigliarmi alcuna mi favelle:
deh! non v’incresca che alquanto qui stia,
135stancato tra le selve amare e felle.—

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     La ninfa, che risposto m’avea pria:
— O giovin— disse,— non abbiam temenza,
né anco incresce a noi tua compagnia.
     Ma noi Minerva, dea di sapienza,
140aspettiam qui; e da noi qui s’aspetta
con lo gran carro della sua eccellenza;
     ché qui tra noi è una giovinetta,
che vuoi menare al suo regno felice,
la qual tra le sue ninfe ha per sé eletta;
     145e non sappiam di qual di noi si dice.
Noi non voramo, quando ella discende,
che alcun uomo con noi trovasse quice.
     Per quella cortesia, che ’n te risplende,
ti prego che di qui ti parti alquanto,
150ché tua presenza sospette ne rende.
     — O ninfa, veder te m’è grato tanto
— risposi a lei— e tanto a te mi lego,
che io non posso andar in alcun canto.
     Ma io a me stesso la mia voglia niego
155contra mia voglia ed al partire assento,
da che ti piace: tanto può ’l tuo priego.
     E, da che io mi parto con tormento,
dimmi chi se’; e quando qui ritorno,
prego, del tuo parlar fammi contento.—
     160Per la vergogna arrosciò il viso adorno,
e ch’io non fossi udito ella temea:
però ella mirava intorno intorno.
     Poscia rispose:— Io nacqui giá ’n Alfea,
Ilbina ho nome e tra li duri scogli
165vo seguitando la selvaggia dea.
     Piú non ti dico: omai partir ti vogli.—