Il Quadriregio/Libro primo/XVII

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XVII. Dove si tratta dell’inganno, che fu fatto all’autore dalla ninfa Ionia

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XVII. Dove si tratta dell’inganno, che fu fatto all’autore dalla ninfa Ionia
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CAPITOLO XVII

Dove si tratta dell'inganno, che fu fatto all'autore dalla ninfa Ionia.

     E giá il chiaro sol sí calato era,
che nell’altro emisperio a quello opposto
faceva aurora e quivi prima sera.
     E, per meglio vedere, io m’era posto
5alto in un sasso e lí cogli occhi attenti
stava sperando che venisse tosto.
     Intanto fûn del sole i raggi spenti;
e giá ’l cielo mostrava ogni sua stella,
e non sentéa se no’ ’l soffiar de’ venti.
     10— Quando verrai, o Ionia ninfa bella?
— dicea fra me;— perché tanta dimora?
Qual sará la cagion che sí tarda ella?—
     Qual va cercando l’angosciosa tora,
a cui il figlio o la figliola è tolta,
15che soffia e cerca e mugghia ad ora ad ora,
     e poi si folce e coll’orecchie ascolta;
tal facea io, ed alquanto la spene
dalla sua gran fermezza s’era vòlta.
     Queste son le saette e dure pene,
20che balestra agli amanti il folle Amore;
ché se speranza o tarda o in fallo viene,
     quanto sperava, tanto ha poi dolore;
ché sempre volontá s’affligge tanto,
quanto a quel che gli è tolto avea fervore.
     25Io cercai per quel bosco in ogni canto
insino al primo sonno e chiamai forte,
aggirando quel loco tutto quanto,

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     come fe’ Enea alla suprema sorte
cercando della misera Creusa,
30rimasa in Troia dentro delle porte.
     Eco tapina, che vive rinchiusa
tra le spelonche, mi dava risposta
al fin della parol, come far usa.
     Per ritrovarla scesi poi la costa,
35e driada trovai su nel sentiero,
che a guardar le ninfe ivi era posta.
     — Deh dimmi, driada, prego, e dimmi il vero,
se delle ninfe ve ne manca alcuna,
o se ’l numero loro è tutto intero.
     40— Quando la notte ieri si fe’ bruna
— rispose quella,— Ionia n’andò via,
e non era levata ancor la luna.—
     E disse a me che cenno fatto avía
la dea Ciprigna, acciò ch’andasse a lei
45cosí soletta senza compagnia.
     — Ma io, o giovin, volentier saprei
perché tu ne domandi ed a quest’otta
come vai quinci, e dimmi che far déi.—
     Risposi:— Iersera, quando il dí s’annotta,
50io vidi lei; ond’io maravigliai
che sí soletta andar s’era condotta;
     ch’i’ so che in questo loco stanno assai
centauri e fauni, e so che qui ed altrove
sono alle ninfe infesti sempremai.
     55Io temo, o driada, che alcun non la trove
e, sol da questo mosso, quaggiú vegno:
questo a venir di notte qui mi move.
     — Se Citarea, la dea di questo regno
— rispose quella— volle ch’ella gisse
60ed acciò ch’ella andasse gli fe’ segno,
     nullo saría centauro che ardisse,
né che potesse impedirgli l’andata,
la qual i fati e la dea gli prescrisse.

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     Ma, se questo non è e fie trovata,
65null’altra cosa, credo, la ripara
che non sia presa e che non sia sforzata.—
     Ahi, quanto esta risposta mi fu amara,
credendo fermamente fosse presa!
E questa opinion mi parea chiara;
     70ond’io risalsi insú tutta la scesa,
che avíe fatta, e giunsi su nel piano,
ove aspettato avíe con spene accesa.
     Io dicea meco:— O ninfa, alla cui mano
or se’ venuta? O vaga giovinetta,
75qual fauno t’ha scontrata o qual silvano?
     Questa è, Cupido, tua crudel saetta,
e grave pena è la tua fiamma dura,
se tardi o togli quel che spene aspetta.
     E l’altra è gelosia e la paura,
80che, perché la bellezza troppo s’ama,
però in nulla parte è mai secura.—
     Cosí andai chiamando quella dama,
come colui che una persona sola
vuol che lo ’ntenda e timoroso chiama,
     85che dice ratto e parla nella gola;
e tal i’ la chiamai ben mille volte,
qual Eco rende ’l suon della parola.
     Tant’eran giá del ciel le rote vòlte,
che Aurora giá mostrava sua quadriga,
90e giá Titon gli avea le trecce sciolte,
     quando pel pianto e per la gran fatiga
convenne che giú in terra io mi colcasse,
e piú per lei cercar non mi diei briga.
     In questo parve a me che in me entrasse
95il sonno, che ristora e che riposa
a’ mortali le membra stanche e lasse.
     Mentr’io dorméa, apparve a me, amorosa
e piena di splendor, la bella Ilbina,
in apparenza piú che umana cosa.

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     Lévate su,— mi disse,— ch’è mattina:
Cupido tante volte t’ha tradito,
egli e la madre sua, che è qui reina.
     Sappi che a Ionia il petto egli ha ferito
d’un dardo oscuro ed impiombato e smorto,
105che ’l venir suo a te ha impedito.
     L’amor, che avea a te, in lei è morto;
e ad un fauno vile, rozzo e negro
l’han data per amante e per conforto:
     colui del suo bel viso ora sta allegro.
110E perché queste cose, c’ho racconte,
le sappi appieno e tutto il fatto intègro,
     quand’ella a te venía quassú nel monte,
perché piacesse a te piú la sua vista,
di rose s’adornò il capo e il fronte.
     115Cupido allor d’una saetta trista
ed impiombata dentro al cor gli diede,
colla qual fa ch’all’amor si resista:
     questa ogni amor gli tolse ed ogni fede
a te promessa. E poi con l’altro astile,
120il quale è d’òr, da cui amor procede,
     sí come l’ésca el foco del focile,
cosí accese lei; e poi mostrògli
un fauno bovin, cornuto e vile.
     Però ti prego che seguir non vogli
125questo Cupido e che non vogli ire
piú tra le selve e tra li duri scogli.
     Se al regno di Minerva vuo’ venire,
lassú l’animo tuo sará contento,
lassú trova la voglia ogni desire.—
     130Poscia sparí; e ’l sonno mio fu spento,
e giú di terra mi levai sú erto,
ché ’l letto mio fu ’l duro pavimento.
     E per voler di questo esser ben certo,
sí come il bracco va cercando a caccia,
135cosí cercando andava io quel diserto;

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     e trovai Ionia stare intra le braccia
del fauno duro ed abbracciargli il seno.
Ond’io con grande voce e gran minaccia
     corsi ver’ lor, di furia e d’ira pieno;
140ond’elli, spaventati, fuggîr presti.
Ma, perché Ionia potea correr meno,
     rimase addietro; ond’io:— Ché non t’arresti?
perché fuggi cosí, o mala putta?
Son queste tue parole ed atti onesti?
     145Tu m’hai fatto aspettar la notte tutta
ed hai lasciato me sol per restarte
con un mostro cornuto e fèra brutta.—
     E, perché del fuggir le ninfe han l’arte
e son veloci, sen fuggí sí ratto,
150che non la giunsi mai in nulla parte.
     Allor meco pensai ch’io era matto
seguitar piú Cupido, ch’è fallace
nelle promesse ed infedel nel fatto.
     Con voce irata ed animo audace
155queste parole contra Amor profersi,
volendo seco guerra e mai piú pace,
     sí come si contiene in questi versi.