Il Quadriregio/Libro secondo/XVII

Da Wikisource.
XVII. Come l’autore vede il tempio di Plutone

../XVI ../XVIII IncludiIntestazione 1 aprile 2021 25% Da definire

Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XVII. Come l’autore vede il tempio di Plutone
Libro secondo - XVI Libro secondo - XVIII
[p. 178 modifica]

CAPITOLO XVII

Come l'autore vede il tempio di Plutone.

     Continuando per la gran foresta
io vidi il tempio di Pluton da cesso,
presso ad un’acqua, che avea gran tempesta.
     E, quando giunto fui insino ad esso,
5vidi ch’era fundato in sulla rena
di quel gran fiume, che li corre appresso.
     Io forte ammiraria che non sel mena
quel gran torrente: tanto forte corre,
quando tra’ vento e quando egli è ’n gran piena,
     10non fusse che quel tempio ha una torre,
che su la pietra viva sta fundata:
però quell’acqua non la pò via tôrre.
     Quando Minerva fu in sull’intrata,
mi die’ la mano; e, quando dentro fummo,
15ratto dal portinar fu domandata:
     — O voi ch’entrate qui, adorate il Nummo?—
La dea rispose:— Certo adoro Deo;
ché fuor di lui ogni altra cosa è fummo.—
     Similemente anche risposi eo,
20perché mi ricordai della risposta,
che fe’ san Paulo dentro al Coliseo.
     Io vidi su in una sede posta
seder Plutone e poscia Radamanto,
Minos ed Eaco star dall’altra costa.
     25Ben mille poi sedíen dall’altro canto
nel crudel tempio, formato al contrario
a quel che fece Cristo umile e santo;
     ché in quel di Cristo il pover volontario
era il piú ricco, ed umiltá fa grande,
30sí come apparve in Pietro, suo vicario.

[p. 179 modifica]

     In questo, in cui avarizia si spande,
quell’è maggior che piú aver possede,
e quel si fa che regga e che comande.
     Iustizia, caritá e ferma fede
35fundâr quest’altro, e ’l sangue e dura morte,
che die’ ’l martirio dietro al primo erede.
     Però sta fermo ed anco è tanto forte,
che nol vincon Satán e tutti i suoi,
né posson contro lui l’infernal porte.
     40In mezzo a quel collegio venne poi
un mostro armato in forma tanto brutta,
che, pur pensando, ancor par che mi nòi.
     La faccia umana avea di mala putta
e tutto il busto in forma serpentina;
45ed ella d’oro era coperta tutta.
     Sotto suoi piè teneva una regina
tanto formosa, che la sua beltade
non parea cosa umana, ma divina.
     E colla coda armata di tre spade
50la percoteva tanto asperamente,
che ogni gran crudel n’aría piatade.
     — Quel c’ha la faccia umana ed è serpente
— disse Minerva,— della belva nacque,
che diede ad Eva il cibo fraudulente.—
     55Poi, rimirando, sí come a lei piacque,
io vidi l’idol Nummo del talento,
che stava presso alle tempestose acque.
     E credi a me, lettor, ché non ti mento,
che da Pluto e da’ suoi era onorato
60vieppiú che Dio assai per ognun cento.
     Plutone in prima a lui inginocchiato,
poi tutti gli altri gli offersero un core,
il don che al sommo Dio saría piú grato.
     E come Ignazio «Iesú Salvatore»,
65cosí tra quelli cori io vidi scritto
«denar», «denar», «denar» dentro e di fuore.

[p. 180 modifica]

     La vergine, a cu’ il petto avea trafitto
colla sua coda armata il mostro fello,
menata fu all’idol quivi ritto.
     70E come Pirro innanzi al tristo avello
del padre Achille uccise Polisena,
stando ella mansueta come agnello;
     cosí la fèra con dispregio e pena
sacrificò la verginetta pura,
75spargendo quivi il sangue d’ogni vena.
     Ed ella intorno intorno ponea cura
a’ circumstanti per aver difese,
e nullo la subvenne in tanta iniura.
     Un angel venne ed in braccio la prese,
80dicendo:— La donzella ch’è qui morta,
è viva in ciel, onde prima discese.—
     E poscia verso la celeste porta
con lei in braccio mosse il santo volo,
come falcon che ’nsú la preda porta.
     85Il mostro, che del drago fu figliuolo,
inver’ la gente, ch’era quivi, corse,
blando leccando alcun come cagnolo.
     Ed alcun altro crudelmente morse
prima col dente acuto e venenoso,
90poi con la coda, che come uncin torse.
     Nel tempio, a quel di Dio fatto a ritroso,
Proserpina era reina infernale,
adulterata spesso dal suo sposo;
     ché, non guardando chi, come, né quale,
95purch’al marito suo si dica:— Io pago,—
la ’spone ad adulterio e ad ogni male.
     E presso al fiume su in un gran drago,
che diece colli avea e diece teste,
stava a seder coll’occhio putto e vago.
     100Il vestimento suo, il qual ei veste,
di purpura era, e teneva il piè manco
dentro nell’acqua di sí gran tempeste.

[p. 181 modifica]

     Poi in un cifo ben pulito e bianco
vidi ch’e’ bebbe sangue e inebriosse
105piú che briaco, ch’io vedesse unquanco.
     In questo il mostro inver’ di noi si mosse;
e diece teste mison sette corni;
e fieramente l’un l’altro percosse.
     Quando será, o putta, che tu torni
110al primo stato, alla tua madre antica,
nel prato, ove coglievi i fiori adorni?
     Tu giá vivesti nel mondo pudica,
e Luna in cielo e ne’ boschi Diana
innanzi ch’a Pluton tu fussi amica,
     115allora quando in ogni cosa vana
davi del calcio, e quando eri tenuta
come regina e non come puttana.
     Poscia che quella donna ebbi veduta,
Minerva di quel tempio rio mi trasse
120per quella porta, ond’ella era venuta.
     E su per una via volle che andasse,
ove demòni stavan con uncini,
con reti e lacci, ch’alcun ve cascasse.
     — O dea— diss’io,— qual via vuoi che cammini?
125Or chi será colui, che quinci vada,
che in alcun d’esti lacci non ruini?—
     Ed ella a me:— Per mezzo della strada
chi va e non declina a nulla parte,
securo va che ne’ lacci non cada.
     130E, perché qui bisogna senno e arte,
il fren ti metterò; e, s’io ti meno,
non temer mai che possi illaquearte.—
     Cosí dicendo, ella mi mise un freno;
poscia mi mise nell’aspro viaggio,
135ch’era d’uncini e lacci e reti pieno.
     Quando io vi penso, ancor paura n’aggio
di que’ dimòni e di que’ lacci tesi,
ne’ quai cade ciascun che non è saggio.

[p. 182 modifica]

     Da ogni parte io vidi molti presi,
140fra’ quai conobbi messer Gualterotto;
e vennemi piatá quando lo ’ntesi.
     E’ disse a me:— Perché da me fu rotto
nel mondo ogni statuto e li decreti,
però tra questi uncini io son condotto.
     145Leggi iustiniane e que’ de’ preti
non usa il mondo se non per guadagno:
però lassú son fatte come reti.
     Come rompe il moscon la tela al ragno,
e non la mosca, cosí gli uomin grandi
150straccian le leggi e danvi del calcagno.—
     Poi disse:— Or satisfa’ a’ miei domandi:
dimmi s’è ver che li pisan sian schiavi,
e de’ Lanfranchi miei, mentre tu andi.—
     Ed io a lui:— Le signorie soavi
155non si conoscon mai dalli subietti,
se non poscia ch’e’ provan le piú gravi.
     Sappi ch’i tuoi pisan son sí costretti
sotto quel giogo, che ’l dinar lor mise,
che i Gambacorti sono or benedetti.
     160Poscia che ’l traditor d’Appiano uccise
messer Pier Gambacorti e i figlioli anchi
a tradimento e piangendo ne rise
     ed uccise anche i primi de’ Lanfranchi,
egli vendette la cittá d’Alfea,
165sí che li tuoi pisani or non son franchi.—
     Tanto m’avea menato oltre la dea
continuando per l’aspero calle,
che, se piú detto avesse, io non l’odea.
     Quando noi fummo in una lunga valle,
170la dea Minerva allor mi trasse il camo,
che m’avea posto in bocca e sulle spalle.
     E, quando un altro monte salivamo,
vidi color che dietro son cavalli,
e son dinanzi nepoti di Adamo,
     175avvolti di serpenti verdi e gialli.