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Il Re della Prateria/Parte prima/13. Un terribile combattimento

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Parte prima - 12. Il cacciatore di prateria Parte seconda


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Capitolo Decimoterzo.

Un terribile combattimento.



Il mastro, come aveva promesso, in quei quattro giorni aveva completato, anzi aveva accresciuto l’equipaggio dell’Albatros, il quale poteva ora affrontare senza tema la goletta inglese, dato il caso che questa li sorprendesse all’uscita del Golfo del Messico.

Oltre aver accresciute le munizioni e le bocche da fuoco, avendo fatto acquisto di sei petrieri, aveva arruolato ventisette uomini, la maggior parte yankee, valenti marinai che non vedono troppo di buon occhio gl’inglesi loro antichi padroni, e i rimanenti spagnoli e messicani, tutti uomini scelti, robusti, rotti alle fatiche, pronti a seguire il loro nuovo capitano anche in capo al mondo, e da negrieri a diventare anche schiumatori del mare.

— Che cosa vi pare? — chiese Mumbai al capitano, che passava in rivista gli arruolati schierati sulla tolda.

— Sono soddisfatto della tua scelta, — rispose lo spagnolo. — Gli hai imbarcati a Galveston?

— Tutti, capitano.

— Durante il viaggio, hai veduto nessuna nave sospetta?

— Non ho incontrato che delle piroghe montate da pescatori indiani.

— Ne sei certo? [p. 106 modifica]

Por la santa Virgen! Non sono mica cieco! Se qualche nave fosse apparsa, l’avrei veduta.

— Fa’ spiegare le vele e partiamo.

— Da quale parte usciremo nell’Atlantico? — chiese di Chivry.

— Rasenteremo la costa americana fino alla Luigiana per gettarmi, nel caso che venissi assalito da forze maggiori, entro qualche laguna o qualche fiume; poi usciremo pel canale della Florida e fileremo verso l’ovest attraverso alle isole Bahama.

Approfitterò innanzi tutto della grande corrente del Gulf-stream e mi terrò lontano dalla Giamaica.

— Temete che la goletta si sia recata in quell’isola per soccorsi?

— Sono certo che, a quest’ora, ha messo in moto tutte le navi da guerra inglesi ancorate a Kingston.

— Che sia già giunta a quel porto?

— Senza dubbio.

— Staremo in guardia, e ci terremo lontani da tutte le navi, sospette o no.

— Sarà mia cura, barone. Spero però di evitare tutte le crociere, — disse Nunez, guardando il cielo. — Avremo un aiuto pericoloso sì, ma potente.

— E quale mai?

— Un uragano. Vedo laggiù certe nubi che non presagiscono nulla di buono.

— E sono nubi tempestose! — disse Mumbai che in quel momento passava accanto a loro, per ordinare di salpare le ancore di posta.

— Non ci mancherebbe altro! — esclamò il barone. — Sono terribili le tempeste del Golfo.

— Non ci coglierà nel golfo, l’uragano, ma nei pressi delle Antille, — rispose Nunez.

— Mi hanno detto che quelle bufere sono terribili.

— Quelle delle Antille? Sono tremende, tanto da mettere paura ai più abili ed audaci marinai; ma il mio brick è solido, e spero di uscirne vittorioso.

— E di passare lo stretto della Florida inosservato? [p. 107 modifica]

— Sì, barone di Chivry.

— Ma perchè sono così tremendi, i perturbamenti atmosferici, nei pressi delle Antille? Forse a causa del Gulf-stream?

— No, a causa dei venti dell’est o dell’ovest che trascinano le acque dell’Atlantico o del golfo verso l’arcipelago delle Antille con forza spesso irresistibile. Le onde, trovando un ostacolo in quella lunga catena d’isole e d’isolotti, rimbalzano con furore e cagionano i così detti flutti di fondo che si alzano in forma di montagne spumeggianti, d’altezza spaventevole.

— La rotta? — chiese Mumbai avvicinandosi, mentre il brick cominciava a muoversi sotto l’azione del vento e della corrente che rade le coste del Messico.

— La prua al nord-est, — rispose Nunez. — Dalla foce del Mississippi attraverseremo la baia d’Appalache in rotta per la punta delle Sabbie.

— Avanti allora, e che Dio ci protegga! — disse il mastro.

L’Albatros, che pareva impaziente di lasciare quei paraggi, si slanciò sulle onde del gran golfo, tenendosi però in vista della costa messicana, la cui massa oscura si disegnava confusamente verso l’ovest.

Il capitano Nunez e il signor di Chivry rimasero in coperta fino alla mezzanotte; ma vedendo che nessuna nave appariva e che il vento, quantunque tendesse a crescere, accumulando negli immensi spazi del cielo enormi nuvoloni che correvano verso l’est, scesero nelle loro cabine per prendere un po’ di sonno di cui avevano tanto bisogno.

Il giorno dopo, cioè il 12 maggio, il golfo cominciò ad agitarsi. Larghe ondate percorrevano la corrente del Gulf-stream, rovesciandosi con furore contro l’acqua mobile che le imprigionavano, e provocando delle contr’ondate spesso pericolose.

L'Albatros però, quantunque venisse ad ogni istante investito e furiosamente scosso, balzava agile sopra gli spumanti cavalloni o gli spezzava col suo acuto tagliamare.

Il 13, lo stato del golfo peggiorò. Il vento fischiava e strideva attraverso il sartiame, il tuono rullava fra le tempestose nubi, e le ondate si rovesciavano quasi senza posa sulla coperta del [p. 108 modifica]negriero, spazzandolo da prua a poppa, e atterrando gli uomini di quarto.

Il capitano Nunez però non s’inquietava, anzi benediceva in cuor suo quell’uragano, sperando sempre di uscire, non visto, dal golfo messicano o che le navi inglesi, che forse si erano messe in crociera, poggiassero sui porti delle Lucaie o delle grandi Antille, lasciandogli libero il passo.

Il 14 l’Albatros avvistava le bocche del Mississippi, il cui delta si protende per molte leghe nel golfo del Messico. Questo fiume, chiamato dagli indiani Mesciascebè, che significa vecchio padre delle acque, ha un corso di cinquemilacinquanta chilometri, e nasce sotto il 74° parallelo, nel seno di quel vasto tratto paludoso e sparso di bacini, che si estende presso i grandi laghi del Canadà.

Alla foce la sua larghezza tocca i centoquaranta chilometri, e la massa delle sue acque è tale, che l’acqua dolce si può raccogliere a quindici chilometri dalla costa.

Quantunque il tempo fosse sempre minaccioso e sul golfo non si scorgesse alcuna nave, indizio certo che si erano affrettati a ripararsi nei porti della Luigiana, Nunez mise la prua del suo legno verso il sud per attraversare la vasta baia d’Appalache, che si addentra verso l’Alabama e la Georgia, e raggiungere il capo delle Sabbie, situato sull’estrema punta della Florida, presso il canale dello stesso nome.

Verso il sud, ammassi di nubi nerissime s’accavallavano sulle coste di Cuba, e da quella parte venivano su ondate mostruose, le quali s’ingolfavano, muggendo, nella spaziosa baia, infrangendosi verso la costa americana; e pur da quella direzione venivano soffi impetuosi, i quali facevano piegare gli alberi e crepitare le vele della nave negriera.

In quel momento le grandi Antille dovevano subire dei gravi danni, e le loro ricche piantagioni forse venivano devastate da un tremendo uragano.

Il 15 il tempo non migliorò. Il mare, spinto furiosamente contro le coste della Florida da un vento irresistibile, rimbalzava con estrema violenza, provocando terribili flutti di fondo. Fin dove [p. 109 modifica]giungeva lo sguardo non si vedeva che una immensa distesa di spuma bianca, la quale si sollevava burrascosa, come se sotto di essa si dibattessero milioni di enormi mostri.

Attraverso alle raffiche, travolti disordinatamente, si vedevano stormi di rincopi, i quali mandavano strida di terrore, e si vedevano lottare penosamente perfino gli alcioni e le rapide fregate dalle ali robuste, impotenti a far fronte alla furia del turbine.

Il 16, verso le due del mattino, mentre l’Albatros si trovava a poche miglia dal capo delle Sabbie, che forma la punta estrema della Florida, il capitano Nunez segnalava una nave che pareva perlustrasse quelle coste, malgrado l’uragano che sempre infuriava.

Quantunque la notte fosse oscura, il negriero s’accorse che era una nave da guerra. Un sospetto gli balenò nella mente.

— Che sia la goletta? — si chiese con ansietà.

— No, capitano; è un brigantino, — disse Mumbai che gli stava accanto.

— Mi pare che cerchi di tagliarci la via.

— È vero, capitano. Qui gatta ci cova.

— Ma non mi ha ancora preso, quel legno da guerra. Fa’ snodare i terzaruoli e lanciamoci verso la costa a tutta velocità, fingendo di cercare un ricovero fra le isole, e fa’ preparare i cannoni. —

Mumbai fece eseguire l’ardita manovra. L’Albatros a tutte vele sciolte, malgrado il vento furioso che poteva spezzargli gli alberi e subissarlo, filò lungo la costa come se volesse poggiare sulle isole che circondano l’estremità della penisola; ma appena ebbe oltrepassata la nave sospetta, virò prontamente di bordo fuggendo verso l’est.

Poco dopo un razzo s’alzava su quel legno che eseguiva delle misteriose manovre, perdendosi fra le tempestose nubi ed in lontananza, verso l’uscita del golfo, rombava un colpo di cannone.

Una sorda imprecazione uscì dalle labbra del capitano Nunez.

— Siamo attesi! — esclamò. — La goletta è dinanzi a noi; sono certo di non ingannarmi, e forse non è sola. Ah! Inglesi miei cari, Nunez ha la pelle dura! [p. 110 modifica]

— Che cosa contate di fare? — chiese il barone.

— Forzare il passaggio e fuggire nell’Atlantico. La notte è oscura, la tempesta continua, e forse potrò speronare quel dannato legno e cacciarlo a fondo per sempre.

— Non ci darà addosso, la nave che ci spiava?

— Non la scorgo più; noi camminiamo più rapidi e sarà rimasta indietro.

Poi volgendosi verso Mumbai:

— Fa’ poggiare la nave sotto la costa e spegnere i fanali. Forse possiamo uscire dal golfo inosservati ed evitare un inutile combattimento.

— Ma i banchi? Con questa oscurità potremo scorgerli? — chiese il gigante.

— Il fragore delle onde che vi si rompono, ce li indicherà. Affrettiamoci, e per non lasciarci sorprendere impreparati, fa’ portare sul ponte le armi e caricare le artiglierie.

L’Albatros per la seconda volta poggiò verso la costa, sperando di poter passare, non visto, dinanzi alla goletta che doveva incrociare all’uscita del golfo, e che doveva tenersi in guardia, dopo quel razzo.

L’equipaggio, trasportate le armi in coperta, si era disposto lungo le murate, ai bracci di manovra, pronto a virare. Gli occhi di tutti si fissavano ansiosamente sulle cupe onde, credendo di scorgere improvvisamente le navi nemiche. Sentivano tutti, per istinto, che un tremendo pericolo li minacciava e che stavano per giuocare una partita disperata.

Erano già trascorse due ore, e l’Albatros stava per raggiungere i banchi che si estendono fra la costa e le isole, quando dinanzi alla prua, a sole cinque gomene di distanza, apparve una massa nera e subito dopo si videro due punti luminosi.

Quasi nel medesimo istante, un gran lampo illuminava la notte.

Un urlo di furore irruppe dai petti dei negrieri.

— La goletta!...

— E ci viene addosso! — esclamò Mumbai. — Siamo stati scoperti. [p. 111 modifica]

— Ma il canale è profondo e lo sperone del mio Albatros è solido, — disse Nunez.

— Volete speronarla? — chiese di Chivry.

— Sì, barone: sono deciso. —

Salì sul ponte di comando e gridò:

— Ognuno a posto di combattimento: alla barra, Mumbai, e sperona dritto!...

— Buono! — esclamò il gigante. — Faremo una marmellata di quei furfanti! —

L’Albatros cambiò bruscamente la rotta e si slanciò verso la goletta, la quale non distava che quattrocento metri.

I marinai avevano impugnato le carabine, le sciabole d’abbordaggio e le scuri, pronti a slanciarsi sul ponte della nave nemica; Mumbai teneva presso di sè la sua terribile sbarra di ferro.

La goletta, vedendo che la nave negriera le correva addosso, aprì un fuoco d’inferno coi suoi sei pezzi di babordo. Il suo equipaggio ormai aveva compreso che si stava per tentare un colpo disperato, e che lo sperone stava per entrare in campo.

Essendo la nave da guerra quattro volte più piccola della nave avversaria, tirava furiosamente contro questa, ben sapendo che se veniva investita, non avrebbe resistito all’urto.

Le palle e le granate fischiavano attraverso l’alberatura del negriero, la mitraglia sibilava sulla tolda schiantando le murate, lacerando le vele, troncando le sartie e abbattendo gli uomini, ma l’Albatros continuava la sua corsa salendo e scendendo le onde.

Il capitano inglese, che non voleva fuggire, non si perdeva d’animo. Comprendendo ormai il disegno audace e pericoloso del negriero, virò di bordo e presentò all’Albatros la sua prua.

Nunez, che non perdeva d’occhio la goletta, comandò pure di virare di bordo, ma comprese subito che non sarebbe mai venuto a capo d’investirla, poichè la manovra delle sue vele era più difficile e richiedeva un tempo maggiore.

— Ah! È così! — esclamò coi denti stretti. — Ebbene, si monti all’abbordaggio! —

L’Albatros non era che a pochi passi dal legno da guerra e stava per avventarsi alla prua di lui, a rischio di ricevere la [p. 112 modifica]speronata invece di darla. Bisognava fare imbrogliare prontamente le vele.

— Braccia a babordo, imbroglia la maistra, alla scotta della randa, cazza! — gridò il negriero.

Mumbai, con un colpo di barra, gettò l’Albatros addosso alla goletta, cacciandole il bompresso fra le sartie e le griselle dell’albero di maistra.

Un urto formidabile avvenne fra i due legni che le onde scuotevano. Si udì uno schianto, un crepitare di legnami, uno sfracellarsi di corbetti, di pennoni e di murate e si vide la goletta rovesciarsi su di un fianco con un’enorme spaccatura sul suo tribordo.

— All’abbordaggio! Su, marinai, all’abbordaggio! — si udì tuonare il negriero.

L’equipaggio, che era stramazzato sul ponte in seguito a quell’urto che aveva sfondato i fianchi a tutt’e due i legni, si riversò come un torrente sulle murate al babordo per saltare sulla coperta della goletta; ma anche gl’inglesi si erano slanciati all’abbordaggio mandando urla tremende e scaricando le loro armi a bruciapelo.

In mezzo a quella profonda oscurità, fra i fischi del vento, fra [p. 113 modifica]le onde che balzavano muggendo sul ponte delle due navi, fra lo sfracellarsi delle murate e dei legnami, s’impegnò una lotta furiosa, terribile.

I due equipaggi, risoluti a sterminarsi piuttosto che arrendersi, si battevano col furore della disperazione, sciabolandosi, massacrandosi a colpi di scure, di sbarre di ferro, di manovelle, coi calci delle carabine e colle punte delle baionette.

Nunez fin dal primo urto era scomparso fra l’onda dei combattenti e più non si udiva la sua voce, come non si udiva più quella del capitano inglese. Il signor di Chivry però era ancora vivo e si batteva come un leone nel più folto della mischia.

Ad un tratto però fu veduto uscire da quel gruppo d’uomini e trascinarsi penosamente da un lato, comprimendosi il petto con una mano.

Facendo uno sforzo violento, tentò di rialzare la sciabola insanguinata fino all’elsa e di ritornare alla pugna; ma le forze gli vennero improvvisamente meno e stramazzò pesantemente sul ponte dell’Albatros, mentre si udiva ancora la tuonante voce di Mumbai che gridava:

— Su, marinai! Addosso a questi furfanti! Viva l’Albatros! —

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Quando il barone tornò in sè, spuntava l’alba.

Stupito di non udire più lo scoppio dei fucili e delle pistole, le urla feroci dei combattenti, i gemiti dei feriti, i rantoli dei moribondi e la voce tuonante del gigantesco Mumbai, si sollevò penosamente, girando lo sguardo semispento sul ponte della nave.

La goletta era scomparsa, e in sua vece galleggiavano sulle onde spumanti pezzi di fasciame, imbarcazioni rovesciate, pennoni, vele e rottami di ogni specie, e la coperta dell’Albatros era coperta di morti orrendamente mutilati, ancora strettamente abbracciati come se nelle ultime convulsioni dell’agonia avessero cercato di strangolarsi o di lacerarsi coi denti.

Rivi di sangue correvano in tutte le direzioni, sfuggendo attraverso agli ombrinali e le spaccature delle murate. [p. 114 modifica]

Smarrito, spaventato, s’alzò sulle ginocchia chiamando con voce fioca:

— Nunez!... Mumbai!...

Nessuno rispose: tutta quella gente che giaceva sulla coperta della nave negriera era morta, e forse da parecchie ore.

— Quale distruzione! — mormorò. — E la goletta è affondata?... Ed io vivo ancora?... Vivo!... Sono un morto, o un moribondo? —

Si scoprì il petto. Da una ferita usciva un filo di sangue nero.

— La palla... è qui... m’ucciderà... fra breve... e... morrò così... e Almeida?... —

A quel nome un fugace rossore colorì le smorte gote dell’agonizzante.

Facendo uno sforzo disperato si alzò sulle ginocchia. Allora solo s’accorse che anche per l’Albatros era suonata l'ultima ora.

La nave, sfondata sul tribordo dall’urto colla goletta, affondava lentamente col suo carico di cadaveri. Nella stiva si udiva l’acqua entrare con cupi muggiti.

Un pallido sorriso sfiorò le labbra del barone.

— Il presentimento... era... vero!... — mormorò. — A me... mie forze!... —

Si rizzò penosamente in piedi, e sostenendosi alla murata di babordo, attraversò la tolda dirigendosi a poppa.

Nel passare dinanzi a quell’ammasso di cadaveri, gettò su di loro uno sguardo.

In mezzo, colla fronte spaccata, vide Mumbai, il quale stringeva ancora, fra le mani rattrappite, la sua terribile [p. 115 modifica]sbarra di ferro, e più oltre scorse Nunez, il quale aveva il viso imbrattato di sangue. Anche morto, il giovane negriero, conservava i suoi energici lineamenti.

— Addio... capitano!... — mormorò di Chivry.

Poi aggrappandosi alla branca della scala scese nel quadro, vi rimase parecchi minuti; indi risalì in coperta, portando con sè una scatola di latta, che pareva fosse chiusa ermeticamente.

Si trascinò presso la murata e guardò l’acqua che montava con furia.

Prese la cassetta e la gettò in mare balbettando:

— Almeida... forse... non tor...nerà... più... al Brasile... possa... almeno... saper...lo... il... march... —

Non finì. Le forze gli vennero meno e cadde sul ponte, mentre l’Albatros affondava rapidamente, inabissandosi sotto le onde dell’Atlantico.