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Il Verno

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Gabriello Chiabrera

XVII secolo Indice:Opere (Chiabrera).djvu Poemetti Letteratura Il Verno Intestazione 7 settembre 2023 75% Da definire

Il Tesoro Le grotte di Fassolo
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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XVII

IL VERNO

AL SIGNOR BARDO CORSI

SIGNOR DI CAJAZZO.

     Tempo già fu che dimorava il Verno
Presso un bel fuoco di cipresso allora,
Che via più lunghe rivolgean le notti,
Ed era a vegghia la Pigrizia seco,
5Donna canuta, e che rugosa il volto
Mai di buon grado non suol movere orma:
Ella posando in ampia sede eburna
S’abbandonava, e sulla manca coscia
Adagiava la destra, e sopra il petto
10Incrocicchiava l’ozïose braccia;
Ma perchè gli occhi dall’oscuro Sonno
Lor non fossero chiusi, a parlar prese
Verso l’orrido Verno, e gli dicea
Di bellissima Ninfa, al cui sembiante
15Si allegrava la terra, e venìa chiara
La campagna dell’onde: a questi detti
Sollevava dal sen l’orrida barba
L’ispido Verno, e le chiedea qual fosse
La bellissima Ninfa, e per qual modo
20Ei potesse mirar l’alma sembianza,
E lentamente la Pigrizia disse:
Febo, correndo per gli eterei campi,
Giunto là, dove fra diciotto stelle
Fiammeggia il lucidissimo Ariete,
25Scorse una pargoletta, e si dispose

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L’orfanella raccor siccome figlia;
Quinci la diede a Berecintia, ed ella,
Poichè crebbe in bellezza ed in etade,
Usò chiamarla Primavera a nome;
30E se mai Febo il fiammeggiante carro
Troppo allontana, Berecintia invia
Costei, che da vicin lo riconduca;
Però se vegghi, e se tu poni agguati,
Esser non può giammai, che non la miri.
35Più non parlò la neghittosa donna:
Allora il Verno di vederla ardendo,
La beltà celebrata attese al varco;
Ed ella un giorno indi passò: splendeva
Sua gioventute, ed era bianca il petto,
40E bruna gli occhi, e sulla guancia neve
Fioría di rose, e biondeggiava il crine:
Ma col labbro perdeano ostri di Tiro:
Lieve volgeasi, e di color contesta
Varj la gonna: e sulle terse chiome
45Spargeva odor vaga di fior ghirlanda;
E di fior nembi seminava intorno
La man leggiadra: ove fermava il piede
Verdeggiava la piaggia, e mormorando
Battevano le piume aure serene,
50E facean crespi, e via più freschi i rivi.
A tanta vista di bellezze il Verno
Meraviglioso riscaldò le vene,
E dolcemente le facea lusinga:
O bellissima Ninfa, in cui rimiro
55Pregi sì grandi, che mirarli altrove
Fia vana la speranza, ove t’invii?
Arresta il corso, che passando innanzi
Troverai campi polverosi, ed ore
Cocenti sì, che struggeransi i fregi,
60Di che t’infiori. Odo narrar, che ’l Sole
Quinci oltra alberga col Leon Nemeo,
E spande fiamme: ah non ti tinga il viso,
Ed al puro candor non faccia oltraggio:
Vientene alla mia reggia, ove mai Febo
65Non vibra i raggi suoi, che non sian cari;
Ne cosa verrà men, ch’a tua beltate
Quivi si deggia, e che di te fia degna.
Non son Principe vil: Là sotto l’Orse
Ho largo Impero, e su per l’aria regno
70Ben largamente; uso frenare i fiumi
Gelando i loro corsi; eccito i venti,
E fo svelte cader l’alte foreste,
E posso sollevar l’onde marine
Infino al cielo. Ei si gridava, ed ella
75Ratta fuggia, nè pur mirollo in viso;
Ed ei sprezzato, di sè stesso in bando
Fermossi alquanto, indi rivolse il piede
Al chiuso luogo delle sue dimore.
Ivi pensoso, e da’ desiri oppresso
80Gli occhi rinchiuse, ed ecco a lui Morfeo,
Figlio del sonno, se ne vien volando.
Costui per l’ombre delle notti oscure
Ama di dileggiar le menti altrui
Con varj scherzi, ed or sembianza prese
85Dell’alato figliuol di Citerea,
Ed al Verno dicea queste parole:
Che fai tu fra le piume? i miei fedeli
Deono come guerrieri esser ben desti:
Sorgi, sorgi oggimai; la bella Ninfa
90È governata per le man dell’Anno
Come sei tu: vattene a lui volando
E fa tuoi preghi; egli è Signor cortese,
Nè lascerà gir vôti i tuoi desiri.
Così gli disse, e dispiegò le piume
95Fortemente ridendo, e quei si scosse,
E ripensando alle parole udite
Fece Borea chiamare, ed ei sen venne;
Allora gli diceva: Voglia mi stringe
Di pervenire alla magion dell’Anno,
100Ma per calle sì lungo i piedi ho lenti:
Portami tu colà, che sei fornito
Di molte penne: immantenente il prese
Borea sul tergo, ed assai tosto il pose
Dell’altiero palagio in sulla soglia:
105Era tondo il palagio; immensa mole:
Partito in quattro alberghi, ed ogni albergo
Avea tre stanze; il primo era smeraldo,
Il secondo piropo, il terzo splende
Insieme d’oro, e di smeraldo, il quarto
110Parea candida perla, e bel zaffiro.
In questi almi soggiorni, ampia famiglia,
Più che trecento trascorrean sergenti,
Come di snella cerva il piè veloci;
Ed ognuno, a contarsi alto stupore!
115Mezzo biancheggia quasi neve, e mezzo
È quasi pelle d’Etiopo oscuro:
Fra costor passa il Verno, e trova l’Anno,
E gli s’inchina, indi così favella:
Se maggiori di me non fosser presi
120Nella rete d’Amore, io sarei lento
A teco raccontar gl’incendj miei:
Ma chi non sa di Dafne, e di Siringa?
Chi non d’Europa? e di costoro alcuna
A Primavera non s’adegua in pregio;
125Non certamente, io se di lei m’accendo,
Di biasmo no, ma di pietà son degno,
Però degna miei preghi; e tu, che puoi
Fa, che giocondo nelle fiamme io viva;
E dammela consorte. Ei si diceva,
130E con sospiri interrompeva i detti.
A cui l’Anno pensoso diè risposta
Posatamente: è verità, ch’io reggo
Non men che te la Primavera, o Verno;
Ma regger vi degg’io con quella legge
135Che ’l Creator dell’Universo impose:
Che vai cercando tu? vostri desiri
Foran sempre diversi; e vostri parti
Forano mostri: hassi a guastare il mondo
Per condurre ad effetto un tuo pensiero?
140Pensa più saggiamente. Ei più non disse,
E quasi dispregiando il tergo volse;
Ma verso i regni suoi fece ritorno
Afflitto il Verno: ivi sdegnoso il petto
Altro non sa trattar salvo baleni,
145Salvo tempeste, e le sue rabbie sfoga
Infurïato con procelle orrende.
Deh chi schermo ne fa da’ suoi furori
Quando imperversa? oh per miei carmi, o Corsi,
Alla salute tua non fosse acerbo,
150Corsi, fra i nomi del mio cor diletti,
Antico nome; ed onde mai non sento
Invecchiar nel mio cor la rimembranza.