Il buon cuore - Anno IX, n. 19 - 7 maggio 1910/Educazione ed Istruzione

Da Wikisource.
Educazione ed Istruzione

../Religione ../Società Amici del bene IncludiIntestazione 23 maggio 2022 100% Da definire

Religione Società Amici del bene

[p. 147 modifica]Educazione ed Istruzione


Il “piccolo padre„

a traverso le impressioni d’un artista

Lo scultore Pietro Canonica ha parlato ad un redattore della Stampa del suo viaggio a Pietroburgo, dove era andato tre mesi fa, ospite d’un amico, intelligente amatore d’arte e dove gli era pur riserbato l’onore altissimo di essere ammesso nella intimità della Famiglia imperiale.

Lo scultore sorride al ricordo degli espedienti a cui doveva ricorrere per abbozzare la testina dell’irrequieto principino, il quale presto si stancava di «posare» e preferiva correre lungo i viali o tra le aiuole del parco, a meno che l’artista non acconsentisse a canterellare la «marcia dei bersaglieri», concedendo i bis come una celebrità canora.

Quasi sempre la Tsarina assisteva all’opera dello scultore; mostrava di conoscere molto bene l’Italia ed anche la nostra lingua. Un giorno, conversando, disse di avere letto alcuni libri del Fogazzaro ed espresse al Canonica il desiderio di avere qualche altro volume di scrittori italiani.

[p. 148 modifica] Canonica parla dei Sovrani di Russia con sincero entusiasmo.

— Meriterebbero — egli dice — di essere meglio conosciuti. La leggenda, spesso sciocca e brutale, ha proiettato come un’ombra sinistra sull’Autocrate russo. Ebbene, l’Imperatore e l’Augusta sua consorte sono le creature più semplici e più buone ch’io m’abbia conosciute; nei loro discorsi, nei loro modi non c’è affettazione alcuna, ma una sincerità ed una schiettezza da far meraviglia.

Quasi si scorda, rimanendo anche per poco nella intimità della loro famiglia, che sono i Sovrani del più vasto impero d’Europa.

La Tsarina, la cui pietà è proverbiale, è tutta intenta come una saggia madre borghese alle cure della sua casa. E’ una dama che conquide con la dolcezza del sorriso e con la delicatezza dei suoi sentimenti. Ama l’arte sinceramente, senza posa alcuna; come ama tutte le cose nobili e belle.

— E lo Tsar?

— Si dirà — risponde — che io parlo ancora sotto l’impressione della sua accoglienza amabilissima, ma quel ricordo non fa velo alla mia franchezza: Nicola II è di una bontà affascinante. E’ un Sovrano di saldo intelletto che ama profondamente il suo popolo. Chi si rivolge direttamente alla Maestà dell’Imperatore è sempre ascoltato, ed io stesso l’ho veduto accogliere con grande affabilità alcune delegazioni di umili contadini e intrattenersi con essi, non come Sovrano tra i sudditi, ma come amico semplice e buono.

A me accadde di discorrere con l’Imperatore degli armamenti che le Potenze tentano di rendere sempre più formidabili, e Sua Maestà non mi nascose la sua profonda, istintiva, invincibile avversione per la guerra, concludendo con queste precise parole: «Eppure bisogna armarsi: armarsi non per attaccare, ma per sapersi difendere».

— L’Imperatore ha parlato del suo viaggio in Italia?

— Certamente! Disse di averne riportata una impressione indimenticabile di bellezza, e mostrava, anzi, un desiderio vivissimo di poter conoscere ogni regione del nostro paese. Mi ricordò la sua gita a Superga, e mi disse della meraviglia provata in cospetto al superbo panorama, che si spiegò d’improvviso al suo sguardo. Anche parlò dei Sovrani nostri, ai quali è legato da vincoli di vivissimo affetto. Lo Tsar apprezza moltissimo Vittorio Emanuele III per l’ingegno e la cultura sua, ma lo ricorda sopratutto come un «buono ed esemplare padre di famiglia». Della Regina Elena, l’Imperatore disse che gli italiani non possono non ammirarla ed amarla, per la sua semplicità grande e per la sua bontà inesauribile.

Nicola II è una natura mite e serena: le ore che le cure di Stato gli lasciano libere, egli le dedica ai suoi figli, e più volte l’ho veduto io stesso trastullarsi come una fanciulla col Granduca ereditario. In quei momenti, credo, egli dimenticava affatto di essere lo Tsar di Russia.

Pietro Canonica eseguirà, nella quiete del suo studio di Torino anche i ritratti di due Principesse, figlie della Granduchessa Elena di Grecia, e quello della Granduchessa Maria Paola, zia dello Tsar, un ritratto di Nobel, il proprietario delle grandi miniere di petrolio di Baku, e un monumentino funebre, destinato al Cimitero di Pietroburgo.

L’Esposizione della Moda Femminile a Villa Reale

Il successo dell’Esposizione è oramai assicurato, circa 200 espositori sono accorsi non per nulla sgomenti dall’arditezza d’una idea di indire una vera e propria Esposizione della Moda Femminile.

La Moda era apparsa finora come una cosa che volentieri si subisce e della quale anche a costo di qualche sacrifizio se ne seguono i capricciosi cambiamenti, indire dunque un Concorso della Moda, spingere tutte le primarie Sartorie e Confezioni Italiane, e in special modo le Milanesi a gareggiare tra di loro nella presentazione di figurini e modelli di creazione in parte propria, è un primo ed essenziale punto di evoluzione dell’Italia verso l’ideale d’una vera e propria Moda Italiana.

Interessantissima sarà la Sezione Moda Retrospettiva a traverso i secoli ed i popoli.

Importante l’adesione del Laboratorio della Consolata di Torino, che presenterà in numerosi mannequins le sfumature più recenti della Moda.

Le più rinomate ditte facenti parte dell’Associazione dei Proprietari Sartorie per Signora di Milano, si sono riunite per esporre nel Gran Salone centrale della Villa Reale quanto di migliore e più artistico possano produrre i loro laboratori.

Ditte di gingilli, gioielli, ventagli, parasoli, marocchinerie, profumerie, capigliature, arti seriche, musica e tutto ciò che la moderna industria può produrre per accrescere, modificare, inghirlandare la bellezza della donna, hanno aderito entusiaste.

Notevole poi che tutti gli oggetti saranno chiusi in elegantissime vetrine stile impero, bianche con fregi d’oro.

Una Sezione speciale di Dilettanti alla quale hanno concorso molte tra le aristocratiche e virtuose signore, presenterà una interessantissima Mostra di lavori in seta, ecc.

In un grandioso Padiglione in stile, costruito appositamente, verrà installata nei primi dieci giorni dell’apertura una importantissima Mostra Floreale promossa dalla Società Orticola di Lombardia sotto l’Alto Patronato di S. M. il Re e sotto la Presidenza dei signori conte Ernesto Turati e cav. Augusto Keller.

Per il giorno dell’inaugurazione, che avverrà il 21 maggio corrente, in tutte le sale al lato nord della Villa, vi sarà un concorso dei fiori recisi: addobbi, corbeilles, arredamento mense, è tutti i possibili lavori in fiori freschi.

Nel mese di giugno verrà aggiunta la Mostra del Comfort moderno, Sport, Villeggiatura. Sotto la direzione del nob. Franco Cantarella Cipri, verrà organizzato un programma di attraenti festeggiamenti.

L’Esposizione è a beneficio della «Protezione della Giovane» perchè quest’opera Pia, disponendo di maggior mezzi, possa togliere dal vizio maggior numero di povere anime perdute e senza appoggio.



Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi.




[p. 149 modifica]

Piccolo Eroe?...

Una mattina di maggio del 1880, la rosea palazzina dell’industriale genovese John Whiteman, in via Assarotti, era insolitamente animata. Stava per partire alla volta di Pisa, dove avrebbe passato un tempo indeterminato presso una ricca parente, Edith, la figlia maggiore del signor Whiteman, avvenente e salda vergine sui sedici; ed entrava nello studio, in qualità di scrivano aggiunto, un giovane della città, in sostituzione d’un altro che aveva lasciato quel posto per ragioni delicate.

Era una mattina calma, tutta un folgorio di luce, tutta una festa di suoni, tutta un’ebbrezza di profumi acuti e penetranti, al cospetto dell’infinito mare azzurro che stendevasi placido e maestoso sotto la carezza morbida del sole, sotto il bacio del cielo.

Il contrasto non poteva essere più stridente colla scena che svolgevasi in casa; dove, sotto l’apparenza di disinvoltura, di spensieratezza, di gioia chiassosa, impertinente anche, qualunque fine osservatore avrebbe sospettato una brutta realtà di disprezzo superbo, di dolore cupo, di vergogna cocente, per qualche disappunto avvenuto in famiglia. La graziosa artistica figurina di Edith scossa a volta a volta in tutta la persona, non certo per brividi di freddo, con una tristezza indefinibile nella languida pupilla, e con tremiti convulsi alle labbra contraentesi in una espressione amara, che non sempre sapeva prevenire o dominare, era quella che si tradiva di più.

Tuttavia Gustavo Ricci, il nuovo impiegato assunto, o nulla ebbe a notare, o credette di dover lasciar scorgere d’aver notato nulla. Entrò nello studio dove parecchi contabili attendevano alacremente al lavoro; entrò subito anche il padrone che gli assegnò la sua parte di collaborazione nella complicata gestione in cui egli si era fatto una fortuna e un nome rispettato e temuto. Di già che possedeva a perfezione la lingua inglese, avrebbe collaborato col primo contabile nella corrispondenza in quella lingua per gli affari pendenti coll’America del Nord e coll’Inghilterra. Intanto veniva messo a giorno del meccanismo commerciale — ramo esportazione seta lavorata — che era quella della Casa Whiteman, di cui non avea che ben vaga e superficiale idea. E in questo noviziato passò qualche mese. Intuiva facilmente, afferrava, riteneva; e in più d’un caso fece stupire i colleghi che concordemente riconobbero in lui la stoffa d’uomo d’affari.

Ma ciò che colpiva di più, ed era inesplicabile come un enigma, era la serietà, più d’uomo maturo che d’un giovane di vent’anni, la correttezza della condotta senza affettazioni o calcolo, ma spontanea come una felice seconda natura. Tutto l’opposto del suo predecessore, frivolo, galante, gaudente, senza troppi scrupoli quando si trattava di divertirsi. Del quale però non si sarebbe mai interessato, mai avrebbe fatto inchieste sulle prodezze ultime che gli valsero il licenziamento della Casa Whiteman, se altri, e dopo molto tempo, non lo avesse confidenzialmente informato. Una cosa semplicissima. Quel miserabile, con un istinto prepotente di cacciatore d’avventure, infatuato delle sue qualità esteriori e d’una presunta irresistibilità, non aveva dubitato di sollevare l’innamorato pensiero sino alla figlia del suo padrone, di esprimerglielo, con cento arti e galanterie tutte proprie di tal gente. Miss Edith sulle prime non credette di dovergli dare troppa importanza, poi scherzò con molta leggerezza alle spese del suo Romeo, divertendosi a umiliarlo, vederlo soffrire. E fu solo quando le cose giunsero ad un punto compromettente, che invocò l’intervento del padre. Il quale rudemente e in modo molto spiccio mise alla porta l’impiegato, e suggerì alla figlia di andare a distrarsi e dimenticare l’affronto presso una parente a Pisa.

Intanto Gustavo Ricci confermava sempre più la stima che i colleghi e il signor Whiteman avevano di lui, lavorando assiduamente, sempre esatto all’orario, sempre zelante, sempre serio e corretto. Un giorno il padrone lo fa chiamare nel suo gabinetto da lavoro e gli dice di saperlo iscritto ai corsi universitarii, con molta meraviglia sua, per non potersene spiegare il perchè e il modo di attendere a studii incompatibili colla sua presente occupazione.

Qui, sotto l’occhio curioso e indagatore del padrone, che mostrava di non accontentarsi di una risposta qualunque, dovette sbottonarsi e rivelare una storia pietosa e sublime di sacrificio e amor filiale.

Mortogli il padre da poco tempo, dovette assumersi tutto per sè, di provvedere alla vecchia madre, malaticcia, un tantino bisbetica ed esigente, però molto buona e tenera verso l’unico suo figlio. Vivente il padre e con una relativa agiatezza, Gustavo aveva potuto venir allevato quasi signorilmente; era stato mandato agli studii, che compi con esito brillante fino alla licenza liceale; e inscritto ai corsi universitarii per prendersi la laurea in belle lettere, li avea frequentati alla men peggio, intermittentemente, causa la morte del padre e la necessità di darsi ad un impiego lucrativo per far fronte alle spese della vita.

Il signor Whiteman non si appagò della versione del suo dipendente, e mandò in tutto segreto a fare un’inchiesta privata per conto suo. Quell’uomo duro e non facile a commuoversi si vide costretto ad ammirare non solo tanta dignitosa elevatezza di carattere, ma a versare una lacrima furtiva al sapere gli enormi sacrifizii di Gustavo, fino a togliersi di bocca il pane per fornire alla madre l’illusione di non essere decaduta dallo stato signorile d’un tempo.

Infatti l’abitazione era allestita con un gusto squisito, un vero nido ideale di sposini, bene illuminata, comoda, ventilata, e un mobiglio artistico, e fiori qua e là a mettere una nota festosa ovunque. E lui, malgrado i principii severi che professava, sempre con abiti di taglio impeccabile, elegante anche, e con un portamento di tutta la persona ritta, energica sempre, che certo conferiva gloria all’uomo, ma era anche in contrasto coll’umiltà del cristiano. Non è a dire poi delle tenerezze, delle finezze quasi di fanciulla che usava alla madre.

Sicuro ornai che un tal giovane non si sarebbe più smentito, il signor Whiteman credè di poter aiutare [p. 150 modifica]una così buona volontà; e acconsentì che sottraesse ai doveri d’ufficio alcune ore settimanali per frequentare le lezioni dell’Università; gli volle aumentare l’onorario, pur senza umiliarlo, sotto pretesto di assistere nei compiti e con ripetizioni il figlioletto suo che studiava ginnasio; lo incaricò altresì di lezioni private da dare alla sua bambina dodicenne; insomma, prese a ben volerlo in un modo affatto insperato quanto generoso.

A questo punto erano le cose, quando Edith fu richiamata a Genova. Essa non conservava più che un ricordo molto svanito dell’affronto che patì alcuni mesi prima; si era divertita, si era distratta. E in società a Genova, il piccolo romanzo, seppure non era affatto dimenticato, avea appena un’eco che sempre più andava spegnendosi, per fondersi con tanti altri rumori in un suono indistinto e vago. Solo talune amiche intime vi accennarono; ma senza malizia alcuna, quando, ritrovandosi con lei, non pareva loro vero di potersi abbandonare a confidenti consigli di stare sulle guardie col nuovo venuto, che già non sarebbe migliore dell’altro; che quella eleganza nel vestire, quell’aspetto d’una fierezza nobile e piena di una adorabile noncuranza, e così simpatica; che il fatto di essere già tanto introdotto, gli potevano suggerire dei passi audaci. Si rise un poco sull’avventura, si fece un po’ di canzonatura leggera, delicata, ma nulla di più. Edith prendeva con spirito e il serio e il burlesco; però non si sarebbe guardata affatto. Che le poteva fare un dipendente di suo padre, sempre vegliato, e tanto più dopo l’esempio dell’altro? Caso mai egli avesse osato, la porta là c’era anche per lui. E queste parole molto esplicite, e qualche impertinenza aggiuntavi, con quel disprezzo che pare tanto naturale in una fanciulla giovane, e della classe elevata, persuasero le amiche a non preoccuparsi soverchio della ripetizione d’un increscioso incidente.

Gustavo dal canto suo non offriva il più lontano motivo a timori, per quanto ogni giorno vedesse miss Edith, quando recavasi a dar lezione alla sorella minore o ripetizioni al fratellino cui assisteva spesso come mammina, non certo per rifare le scuole; per quanto fosse rispettosissimo e compito verso di lei ogni volta che la incontrava. Erano quei segni di urbanità più confidente e premurosa soliti usarsi fra persone famigliarizzate da inevitabili circostanze e nulla più, e non acquistavano di intensità e di calore col passar del tempo, ma restavano sempre negli stessi limiti misurati e schietti e riverenti di prima.

Edith non tardò ad accorgersi della posizione incensurabile in cui trovavasi Gustavo Ricci, e potè credere di averne piacere. Ma per poco; il dèmone della vanità si assunse di intorbidare le cose e farle sembrare tutta quella condotta, così leale e onesta, piena di riserbo, nulla più che ostentazione, sforzo di virtù, supponenza, o indifferenza propria d’un cuore già impegnato con altra fanciulla. Erano pure ipotesi, non confortate da una sola prova materiale; pure scavarono nell’animo suo dei solchi più o meno profondi. Quante volte, nei lunghi ozii della sua frivola ed eterna e così vuota giornata, il pensiero la riconduceva lì a quelle assurde supposizioni, per torturarla in una lotta esauriente e inutile! E col tempo ne nacquero, risentimento di orgoglio creduto offeso; poi un occuparsi di Gustavo, e della sua vita e dei suoi studii e delle sue speranze e del suo avvenire, più di quello che avrebbe potuto confessare anche a se stessa; poi trovarlo più interessante che non avesse creduto; infine scoprì di ammirarlo e di essere tutta assorbita del pensiero di lui....

Di questo lungo cammino di due anni neppur l’aria si era accorta. Certo in ultimo si notava in Edith un profondo cambiamento; non era più in lei la spensieratezza allegra e rumorosa di prima; si appartava volontieri nelle ore del vespero morente là nel più cupo del suo giardino, l’occhio sperduto nel vuoto e quasi inerte, a seguire l’astro maggiore che si tuffava in un trionfo di porpora ed oro, o le bianche vele onde tutto era picchiettato il mare nereggiante che le stava innanzi; vestiva con maggiore ricercatezza e più raffinato bon gusto la bella artistica persona; il volto divino era tutto soffuso d’un velo di dolce languore che gli comunicava un non so che di indefinibile incanto. Ma a che attribuire questo complicato mutamento, senza tema di giudizio temerario? Il padre tutto ingolfato negli affari, che a dir vero prosperavano prodigiosamente, non era nè l’uomo d’accorgersi subito dei processi dello spirito, troppo transcendenti l’accorgimento dei sensi, nè di tale pronta intuizione d’indovinarne la vera causa. Ah, se fosse stata ancora al mondo la mamma! Così di necessità protraevasi un martirio che dolce dapprima, finì per inasprirsi e divenire angoscioso, spasmodico poi, tanto da non parere possibile di poter soffrire di più.

Ed ecco altra sventura. Il signor Whiteman un giorno si accorge che lo ha afferrato una malattia che non perdona; l’intensa applicazione di tutto se stesso agli affari, l’abuso delle sue energie continuato per anni, gli sforzi incessanti di tensione di mente, le preoccupazioni, i timori, le gioie troppo sentite dei grandi successi, tutto un complesso di cause insidiose ora lo ha completamente esaurito.

Convenivagli, da uomo saggio provvedere ai casi proprii, sistemare gli affari in favore dei figli e possibilmente mettere in bone mani la sua azienda, perchè tanti sudori e tanta fortuna non cadessero nel nulla.

La persona a cui affidare la continuazione dell’opera sua, perchè resti in casa, l’ha sotto mano; è Gustavo Ricci. In quattro anni ha fatto una pratica d’affari da disgradare le vecchie volpi consumate nell’esperienza e nelle scaltrezze del far danaro; ha conseguito la laurea in belle lettere per cui, licenziato dalle scuole, potrebbe dedicarsi tutto all’opera affidatagli; da poco gli è morta anche la madre; quindi solo al mondo, quindi libero di darsi tutto al roseo progetto del suo padrone. E guardate cosa vuol dire alle volte il caso! Uno spirito tutto positivo e pratico, s’incontrava con un’anima eminentemente romantica, pasciuta di ideali, nell’accordo più insperato e più saggio. Il [p. 151 modifica]signor Whiteman e la sua figlia miravano entrambi a fare di Gustavo Ricci rispettivamente un genero ed un marito.

A sua figlia il signor Whiteman non aveva bisogno di dir nulla su questo punto; era di quei padri dell’antico stampo che, in fatto di matrimonio dei figli, non proponevano ma imponevano l’altra dolce metà. Invece sentiva di dover fare dei passi col suo dipendente.

Cioè, per non esporsi alle conseguenze umilianti di un probabile rifiuto, anzitutto esplorarne l’animo, conoscerne le intenzioni, le vedute. Incaricò pertanto una persona prudente e fidata di tastare terreno presso Gustavo Ricci; se dacchè gli era morta la madre non credesse venuta l’ora di accasarsi, e altre cose, ma molto generiche su questo punto preliminare. Gustavo cercò di rispondere nel modo più vago ed evasivo e poi si trincerò nel più assoluto silenzio. L’incaricato credè prudente per questa volta di non cercare di più, e andò a riferire il risultato al signor Whiteman, che ne rimase male. Forse si poteva sperare meglio in un secondo e più inoltrato scandaglio, parlando di cosa più concreta, più precisata. Per tutto esito Gustavo bellamente pregò il suo interlocutore di non insistere su un tema al quale non voleva pensare. Lo stupore del mandante crebbe a dismisura davanti ad un fenomeno così enigmatico. Forse si pronuncerebbe quando sapesse che era lui quegli che tanto si interessava del suo avvenire, e che insomma avrebbe desiderato che sposasse Edith e con lei si mettesse a capo dell’importante fortunata azienda di cui era da quattro anni collaboratore. E in questo senso parlò l’ambasciatore.

Gustavo andò a dare la risposta personalmente al suo padrone; le cose da dirsi erano troppo delicate per affidarle ad un intermediario; occorreva sottrarle a qualunque indiscrezione e pubblicità e farle note soltanto là dove era indispensabile esternarle.

E il signor Whiteman l’aspettava infatti nel suo salottino particolare, tutto arredato con gusto fine e con gran lusso, più ridente quel giorno, perchè ricreato da un magnifico sole e da una profusione di fiori appena colti.

Gustavo s’avvicinò alla dormeuse in cui giaceva il suo padrone più abbattuto e disfatto del solito, e, all’invito avuto, gli sedette accanto.

— Mi portate dunque una buona notizia, io spero — prese a dire l’ammalato; mentre con occhio scrutatore fissava il giovane dipendente come se aspettasse una parola di vita.

— Signore, — disse Gustavo — da quattro anni sto nella vostra casa, più come figlio che come addetto al lavoro; e nessuno più di me saprebbe apprezzare tutto il bene che mi avete fatto, e nessuno più di me vorrebbe esservi riconoscente nella forma da voi desiderata. Ma una ragione imperiosa mi costringe a declinare la splendida proposta che chiunque sarebbe felice di poter ricevere....

Allora — interruppe il padrone — posso, debbo credere che il vostro cuore sia già impegnato.

— Dirò... nel senso che si dà comunemente a questa espressione... propriamente... no....

— Dunque se siete libero, non capisco come si possa rifiutare un onesto partito... non dico altro.

— Soggiungo però che un impegno di cuore, diverso dai soliti, c’è, e mi comanda, in nome della lealtà e del galantomismo, di restargli fedele. Mi spiegherò meglio, per quanto mi costi di fare certe confessioni troppo penose.... — Il padrone si sforzò di sollevarsi alquanto, come per prestare maggior attenzione e afferrare meglio la strana ragione che induceva Gustavo a voltare le spalle alla sua fortuna.

— Subito dai miei primi anni, appena la mente mi si aprì ad accogliere le svariate impressioni della vita, non so perchè o come, presi ad accarezzare una dolce visione, che immobile si fissava davanti a me, per accompagnarmi sempre e ovunque, per allettarmi, per sorreggermi, abbellirmi d’incantevole poesia il mio cuore. Non vidi più altro intorno a me; elettrizzato dalla sua magica potenza e in balìa della seduzione che esercitava sul mio spirito, potei passare invulnerato tra altre seduzioni e pericoli fino ad oggi. Neppure i sacri doveri verso mia madre che adoravo, poterono mai farmi perdere di vista la luminosa visione che era divenuta parte della mia vita; per mettermi in grado di servir meglio a quel divino ideale studiai, per avere poi la laurea in belle lettere. L’impazienza era molta e irresistibile di volare là dove mi sentivo chiamato; ma dei vincoli mi trattenevano: gli uffizii di pietà filiale verso una madre malata e vecchia. Ora che passò a vita migliore, quei vincoli sono spezzati, io sono libero; e godo mi abbiate data voi stesso, o signore, l’occasione favorevole di manifestarvelo: entro il mese sarò ammesso nel grande Seminario di Genova per prepararmi al Sacerdozio....

Se fu un colpo inaspettato e duro pel povero malato, che da mesi si cullava con voluttà nell’idea di vedere continuata la sua Casa di commercio da Gustavo Ricci divenutogli più che genero, figlio, lo lascio immaginare ai lettori. Però si riebbe subito e replicò:

Proprio questa uscita io non l’aspettavo, e mi stupisce che voi, giovane di talento e di spirito, vogliate seppellirvi in un Seminario o in una Cura, quando si sa in qual conto è tenuto dalla società il sacerdote, quante antipatie e avversioni e duri trattamenti gli sono serbati. E quasi ciò non bastasse, l’elemento ecclesiastico istesso non manca di fornire ai più onesti e retti, ai sacerdoti veramente degni di tal nome, abbondante materia di dolore, con animosità, sospetti, recriminazioni, denunzie, guerricciole tutt’altro che sacre.

— Signore, tutto questo è naturale, dato che il sacerdote debba pel suo ministero impegnare una lotta corpo a corpo colle passioni, le quali non impunemente si lasciano affrontare, denunciare, condannare; tutto questo è naturale, dato che gli ecclesiastici sono uomini come altri per la natura, non trasformati in Santi o confermati in Grazia pel solo fatto d’aver ricevuto l’Ordine sacro. Ma guai se l’opposizione, la difficoltà dovessero sgomentare e venir ritenute motivo serio a non affrontare una posizione di combattimento a cui si è chiamati.

(Continua).