Il buon cuore - Anno IX, n. 30 - 23 luglio 1910/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno IX, n. 30 - 23 luglio 1910 Religione

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I miracoli della carità


(Continuazione e fine, vedi n. 29).


L’indomani, Suor Sainte-Marguerite la riprese con dolcezza, le spiegò che lei stessa avrebbe avuto delle rughe e tutti gli inconvenienti della vecchiaia e che tuttavia essa era contenta e felice, mentre che Maria si irritava; e la persuase sì bene che le altre Suore chiedevano più tardi alla fanciulla se era triste pensando alla sua vecchiezza: «no, rispondeva — come sovente in casi analoghi, — Marguerite non vuole». Così, colla sua autorità personale appoggiata sulla profonda affezione ch’essa le inspirava, la Suora Marguerite inculcava alla sua allieva alcune delle più delicate fra le nozioni morali.

È in questo lavoro che la Suora, cercando di suggerire a Maria l’idea dell’avvenire, fu una volta prevenuta da lei, poichè mentre essa si sforzava a spiegargliela, la fanciulla si levò bruscamente, e, colle braccia tese in avanti, camminò rapida innanzi, trovando in sè stessa l’eterno paragone, che è stato illustrato dal Bossuet e da tanti poeti ed oratori, della vita con una strada.

Essendosi ripromessa d’insegnare alla sua allieva i grandi tratti della vita umana, Suor Sainte-Marguerite non temette di rivelarle la morte. Approfittò per ciò della fine d’una religiosa sordo-muta, ch’era morta improvvisamente per una congestione. Maria le era molto affezionata, e Suora Giuseppina, così si chiamava, aveva anche cominciato a farle un paio di calze. Suor Sainte-Marguerite parlò dolcemente della morte alla fanciulla, dicendole che la Suora era a letto, che non si sarebbe più alzata, non avrebbe più atteso alla cucina, che non avrebbe più lavorato a maglia. «E le mie calze, quando le finirà?» chiese tosto la povera fanciulla. Le si propose d’andare dalla morta: essa vi corse attraverso i corridoi e fu assai penosamente colpita dal freddo del cadavere che paragonò subito al ghiaccio. Apprendendo ch’essa pure morrebbe e che sarebbe un giorno come Suor Giuseppina, si rivoltò ancora una volta; ancora una volta occorse tutta l’autorità insinuante di Suora Sainte-Marguerite per calmarla, mostrandole ch’essa stessa a sua volta morrebbe e ch’era tuttavia rassegnata a tale terribile sicurezza. La fanciulla si rassegnò ancora, perchè bisognava: «È Marguerite che l’ha detto». Essa potè d’altronde ben persuadersi che il caso non era affatto speciale a Suor Giuseppina, perchè, essendosi verificato un nuovo decesso nella comunità, si ebbe cura di farle di nuovo toccare il corpo irrigidito.

Ma la santa religiosa non voleva lasciare affatto alla sua allieva un’idea così materiale ed incompleta della morte ed era ansiosa di farle comprendere l’esistenza dell’anima.

Un giorno la fanciulla ricevette una lettera di suo padre e, tutta felice, andava spesso baciandola. La Suora tosto s’avvicina e le tiene presso a poco questo discorso, avendo cura d’accertarsi di frase in frase che era ben capita: «Tu l'ami proprio il tuo papà? Ed ami pure tua zia e la tua piccola sorella? Ma con che cosa li ami? È coi tuoi piedi? — No. Con le tue mani? — No. È con qualche cosa ch’è in te, nel tuo petto che tu li ami. Ebbene, questo qualcosa che ama è nel corpo, ma non è il corpo, lo si chiama anima, e, al momento della morte, il corpo e l’anima si separano. Così, quando Suor Giuseppina è morta, tu hai tastato il suo corpo ch’era ghiacciato, ma la sua anima che ti amava è andata altrove; la sua anima vive sempre e continua ad amarti...». Così nacque nello spirito della fanciulla la nozione sì difficile degli esseri immateriali. Restava ad elevarsi da questo fino al coronamento d’ogni educazione, fino all’esistenza di Dio.

[p. 234 modifica] Chi ne diede il mezzo fu il sole.

Suor Sainte-Marguerite aveva cura di condurre la sua allieva, così desiderosa d’imparare, dal panettiere dell’Istituto e mostrarle i pani ch’egli impastava; dal falegname e di farle tastare i mobili che costruiva; dai muratori e di farle sentire i muri che tiravano su, ecc. e instillava così profondamente nello spirito della fanciulla l’idea della fabbricazione.

Ora Maria, nelle sue passeggiate, era in special modo lieta tutte le volte che si sentiva accarezzare dai caldi effluvi del sole. Essa amava il sole, lo amava e lo avrebbe voluto prendere, gli tendeva le mani e cercava perfino d’arrampicarsi sugli alberi per avvicinarsi a toccarlo. Un giorno in cui era così preoccupata del sole e così piena d’ammirazione e di riconoscenza per esso, la Suora le chiese: «Maria, chi ha fatto il sole? — È il falegname? — No, è il panettiere!» rispose essa ingenuamente, associando l’idea del calore solare a quella del forno. — «No, il panettiere non può fare il sole; Colui che l’ha fatto è più grande, più forte, più sapiente di tutti. In una scuola la Suora è al disopra delle piccole allieve, la Superiora è al disopra di tutte le Suore, il signor Elemosiniere è al disopra della Superiora, Monsignore il Vescovo di Poitiers, ch’è venuto l’altro giorno a Larnay, è al disopra del signor Elemosiniere, e c’è al disopra di lui il Papa, di cui ti ho parlato, e che abita assai lontano. Al disopra dello stesso Papa è Colui che ha fatto il sole, Egli non ha corpo ed è come un’anima, ma ti conosce, ti vede, ti ama, e conosce e vede ed ama tutti gli uomini e il suo nome è Dio». È in tal modo, per mezzo della gerarchia degli esseri noti alla fanciulla, che Suor Sainte-Marguerite la condusse fino al grado supremo dell’immensa scala, fino a Dio... Tali nelle sue grandi linee, la strada seguita dalla Suora1».

Com’è ovvio se il merito principale di tali imprese spetta alle persone che in special modo vi si consacrarono, grande pure è il merito dell’Ordine delle Suore della Sagesse che non si peritò d’accettare casi così disperati ed ebbe per essi la carità che non teme, la fede invincibile destinata ai trionfi.

Non è quì il luogo di istituire vani confronti sui metodi usati dalle varie scuole pei sordo-muti-ciechi, che con quella di Larnay non sono nel mondo che solo sei2, ma basterà notare che, se i casi di Marta Obrecht, Marie Heurtin e Anna Maria Poyet sono meno famosi di quelli di Herta Schulz, Laura Bridgman e Helen Keller, lo si deve solo al minor richiamo che vi fu fatto attorno.

All’opera di Suor Sainte-Marguerite e del suo Ordine fu reso in ogni modo omaggio, oltre che dall’Accademia di Francia, che nel 1899 su relazione di Ferdinand Brunetière le conferiva un premio Montyon, da varî altri autorevoli enti e personaggi e da un volume per più riguardi prezioso del prof. Louis Arnould dell’Università di Poitiers, edito sotto il giusto titolo di Ames en prison.

I casi di Marie Heurtin e delle sue compagne fornirono poi argomento ad un eletto manipolo di studi di psicologia firmati da penne come quelle del Descaves, di Emile Faguet, dei Padri Thomas e I. V. de Groot, dei professori Ribot e Riemann, oltre che ad una numerosa serie di articoli informativi usciti nelle principali riviste del mondo anglo-sassone e latino.

E, per convincersi che lo meritavano, basterà leggere il bellissimo libro dell’Arnould in cui si esamina con un corredo di minuti particolari tutto il grave problema dei sordo-muto-ciechi e si fa l’esatta storia dei tre casi di Larnay, oltre che dei metodi oggi vigenti nelle varie scuole speciali sì europee che americane.

Il volume ch’ebbe origine da un semplice articolo di Rivista dedicato al caso Heurtin, è ormai giunto alla quarta edizione e s’avvantaggia in questa, or ora uscita pei tipi degli editori Oudin, di varie curiose fotoincisioni e delle più recenti e sicure notizie sull’argomento. Gli specialisti della materia potranno trovarvi degli elementi preziosi di studio e una densa bibliografia illustrativa dei principali sordo-muto-ciechi conosciuti; ma, quanti hanno un cuore che palpita per chi soffre, quanti hanno lo spirito assetato di fatti singolarmente eroici nella loro semplicità cristiana, leggeranno il bel volume dell’Arnould con un interesse che cresce di pagina in pagina.

L’opera compiuta dai maestri dei sordo-muto-ciechi nati è un’opera che, come quella di una madre, partecipa della creazione. Chi perde i mezzi, datici da Dio per comunicare con la vita, a un’età anche tenera, qualcosa ha potuto raccogliere dentro di sè; esso sarà pur sempre un infelice, però su quel qualcosa potrà con poca fatica costituire la base di un edificio, il nucleo di una serie di cognizioni; ma chi non li ha mai avuti, o, appena sbocciato alla vita, quando il suo essere vagiva ancora nell’indistinto della coscienza, perdette l’udito, la parola e la vista, come pensar mai che possa acquistare quegli «occhi del cuore» che nella profonda commedia del nostro Giacinto Gallina fungono da coscienza viva e vigile, da intermediario sovrano fra il mondo delle tenebre e quello della luce? — Eppure questo miracolo fu compiuto e alcune masse inerti di sventurati furono rese capaci, chi, dell’istruzione normale dell’Heurtin; chi, perfino, di quella eccezionalmente superiore della Keller.

Come ben osservò Henri Lavedan, in un suo originale articolo pubblicato ne L’Illustration di Parigi del 23 aprile ultimo scorso, contro coloro che dicono che non vi sono più miracoli si possono opporre questi illustrati dal libro dell’Arnould e compiuti fra altri dall’umile, meravigliosa Suora morta un mese fa in Larnay. La «fanciulla mostruosa che urlava contro le compagne, che bisognava portare per le braccia e per i piedi, dibattentesi come un animale feroce, è giunta tuttavia ben presto a questa perfezione, a questa altezza di vita intellettuale e morale» da afferrare i concetti più astratti e da essere oggi «una giovane di 25 anni dai tratti delicati, dagli occhi vivi e chiari, dai gesti precisi, che si [p. 235 modifica] dichiara felice...». E tuttociò ch’essa sa, fa e conosce le è stato appreso attraverso le dieci dita delle mani di un umile Suora «strade di genio, canali di pazienza e di santità, per andare come un fluido sovrannaturale a spandersi nell’intelligenza di questa massa, di questa compagine vegetante che bisognava scuotere, spietrare, amare, che non era nulla» ed è diventata un essere intelligente e pieno di simpatia umana.

Un’esistenza «come quella di Suor Sainte-Marguerite, ben dice il Lavedan, basta perciò a provare quella di Dio» ed è con emozione mista ad orgoglio che si pensa come essa e le suore che le furono maestre appartenessero a questa nostra miranda razza latina mai stanca di produrre opere e cuori che non possono morire.

Casi come quelli dell’Heurtin e della Keller (giustamente detta da Mark Twain «il più meraviglioso personaggio del secolo XIX dopo il Bonaparte», ma che dall’Heurtin non si distingue se non per un più svegliato ingegno e i mezzi più potenti di coltura di cui potè disporre) sono poi una luminosa conferma della esistenza dello spirito, forza prima ed eterna, deposta in ciascuno di noi prima dello sviluppo della parola, della visione della vita, e della coscienza; addentellato sovrano d’ogni progresso mentale, anche al di fuori delle tre porte sensorie che costituiscono la base della normalità3.

L’Ordine delle Filles de la Sagesse ha fondato oggi uno dei suoi collegi anche in Italia e precisamente a San Giorgio Monferrato. Ne godo assai e per lo sviluppo dell’Ordine e pel bene nostro. L’ultimo censimento fatto ai 10 febbraio 1901 dava la cifra veramente impressionante di 38,160 ciechi e di 31,267 sordo-muti, e, pur non tenendo conto, come sarebbe stato desiderabile, se tali difetti fossero congeniti o acquisiti, si rilevò dalle schede che vi erano 196 sordo-muto-ciechi.

Ora, malgrado il numero sempre maggiore di Istituti speciali, un forte numero di tali infelici viene abbandonato del tutto alla carità pubblica e nessuno si occupa di dare ad essi il mezzo di diventare uomini fra gli uomini4. Non parliamo poi di coloro che hanno la triplice infermità d’essere sordo-muto-ciechi, perchè per essi, come è avvenuto ed avviene non solo in Italia ma in Francia ed altrove, non essendo abbastanza diffuso nemmeno fra i medici la conoscenza dei casi più sopra illustrati, ove non restino tutta la vita a carico delle famiglie, vengono senz’altro posti nel reparto tranquilli di qualche manicomio o negli asili degli incurabili. Solo diffondendo libri come quello bellissimo dell’Arnould, si potrà anche in Italia, ai 196 sordo-muto-ciechi che risultano dalle statistiche, aggiungere tutti quelli che vi devono certo essere in più e salvare quelli e questi dalle tragiche sentenze senza appello degli uomini di poca fede.

Possa la presenza fra noi delle benemerite Suore della Sagesse indurre chi di ragione a delle indagini più accurate; qualche cuore desolato di madre a delle più fondate speranze!

Possa la conoscenza della miranda opera di Suor Sainte-Médulle, della Mère Saint-Hilaire e della soave rimpianta Suor Sainte-Marguerite convincere chi ancora ne dubita che l’umile carità illuminata della fede di Cristo supplisce spesso alla scienza e la supera. Questo, perchè nessuno avrebbe mai potuto credere che, ove medici insigni avevano dichiarato vano ogni tentativo, delle povere umili Suore sarebbero riuscite a sì mirabili risultati. Ma che è l’amore se non luce di Dio? Che cosa è la vera scienza se non la fede che intuisce e la carità che sfida ogni ostacolo?

Treviso, 31 maggio 1910.

Un arpista milanese all’estero


Trattasi del distinto nostro professore Luigi Maria Magistretti, il quale in tre mesi di permanenza a Londra, ha ottenuto i più ambiti successi e il plauso generale incondizionato della critica più severa, come risulta dalle seguenti spigolature:


Daily Telegraph, 1º giugno 1910.

«Non è tanto facile poter assistere a un concerto di sola arpa. Ma quando altri possedessero le abilità del sig. Magistretti, non vi sarebbe ragione perchè l’arpa non avesse a figurare nei concerti come qualunque altro istrumento. Il signor Magistretti possiede due attributi indispensabili a un vero musicista: superiorità intellettuale e istinto musicale. Nell’esecuzione dell’Andante dell’abate Rossi, della Toccata di Paradisi, della Gavotte di Bach, non solo rilevò queste caratteristiche, ma mostrò l’alto grado di efficienza tecnica che egli ha raggiunto e che l’arpa richiede. Il Magistretti eseguì pure una prima riduzione per arpa del Jardin sous la pluie del Debussy, una composizione di cui tutti possono rilevare le formidabili difficoltà per la quantità di passaggi cromatici che contiene, e che fu ciò non ostante suonata con un risultato incredibile....».


Times, 1º giugno 1910.

«Il sig. Magistretti suonò la scorsa sera nella Aeolian Hall molti pezzi per arpa sola in modo delizioso e con tecnica perfetta. Fu specialmente ammirato per il gusto con cui interpretò alcuni pezzi originariamente scritti per altri istrumenti. Il programma comprendeva due pezzi per clavicembalo: un Andante e allegro dell’abate Rossi e la Toccata del Paradisi che si adattano assai bene all’arpa, riproducendo i toni caratteristici del clavicembalo in modo sorprendente. Il sig. Magistretti, inoltre, rese con somma delicatezza certe gradazioni di toni, aggiungendo al pezzo grande effetto musicale. La ben nota Gavotte di Bach, scritta per violino, fu eseguita con grande abilità e in modo di non guastare la ritmica energia caratteristica dell’originale. La I Arabesque e [p. 236 modifica]Jardin sous la pluie di Debussy, eseguita per la prima volta sull’arpa, fu suonata in modo veramente ammirevole e fu resa in tutta la sua estensione; ai toni caratteristici del pezzo furono ingegnosamente sostituiti altri specialmente propri dell’arpa...».


Hampstead advertiser, 2 giugno 1910.

«... Per il sig. Magistretti non vi è lode abbastanza alta. Schiettamente egli rese l’audizione sempre più interessante colla esecuzione perfetta; col suo magico suono, ci fece ricordare l’arpista dell’antica ballata «... Vi è nel suo magico tono un’incantesimo di suoni...» Egli suonò l’Andante e l’allegro dell’abate Rossi, la Toccata di Paradisi, la IV Gavotte di Bach, così meravigliosamente, che fu chiamato 5 volte nella speranza di riudirli, ma il sig. Magistretti non acconsentì. Dovette però cedere dopo la magistrale esecuzione della I Arabesque e Jardin sous la pluie di Debussy, prima esecuzione e trascrizione per arpa, perchè l’uditorio non volle saperne di rifiuto. Egli terminò col Impromptu del Fauré. Per il suo grande talento il Magistretti merita di essere annoverato fra gli arpisti di primo ordine, poichè egli è indubbiamente.padrone del suo istrumento...».

Di lui si parlò anche in occasione di un concerto dato dal Lord Mayor alla Mansion House, in onore dell’Arcivescovo di Westminster e dei Vescovi cattolici.

Il parigino Gaulois parlando del concerto dato a Londra all’Ambasciata francese dice: «Si vous ne connessais pas le nom de M. Magistretti, vous ignorez le nom d’un harpiste comme il y en a peu et que toute l’Europe applaudira demain. Il est jeune, mais des ces jeunes qui debuttent par des coups de maître....».

IL PIÙ DIGNITOSO


Da parecchio tempo assistiamo ad un giuoco veramente ameno: da una parte è una folla, senza numero, che spasima e delira dietro un uomo eccezionale; dall’altra, il festeggiato, l’idolatrato, colla massima disinvoltura e naturalezza, si presta a ricevere omaggi e adorazioni, accetta i trionfi come cosa intesa e dovuta, lui stesso anzi sollecita dimostrazioni e ricevimenti regali alle corti dei grandi, e porta attraverso a due mondi tutta la pompa di un re. S’intende che parliamo di Roosevelt.

Ora, tutto questo oltrepassa ogni limite di dignità e di modestia; e i più forniti di senso comune non tardarono a protestare, a segnalare l’umiliazione deplorevole a cui venivano trascinati gli attori di quella indegna commedia.

Uno dei più zelanti — per quanto possa parer sospetto — è Guglielmo Hearst, il Napoleone della stampa gialla, che non cessa d’assalire con tutta la violenza d’un rivale indispettito della fortuna dell’avversario, il grande festeggiato. L’ultima che gli giuocò è degna proprio di entrambi i contendenti. Un giorno adunque, come racconta il Cri de Paris, Hearst ricevette la visita di un gentleman impeccabile nell’abito e nel contegno che gli disse: «Ho incarico da parte di Roosevelt di dirvi che egli vi ritiene per il cittadino peggiore dell’Unione». Ma il grande pubblicista il dì seguente mandava a Roosevelt egli pure un gentleman impeccabile nell’abito e nel contegno, per dirgli che lo credeva «il più gran buffone della terra».

E, s’intende, dietro Hearst, quanti, che si sentono rivoltare da tanta teatralità compromettente il decoro, alzarono coraggiosi la voce a stigmatizzare, a impedire, a richiamare al senso di misura gli scalmanati.

Ma più che gli articoli di giornale o le conferenze, o le invettive, o il ridicolo, contribuì a mettere in evidenza la grottesca situazione di Roosevelt e suoi adoratori, il Conte di Torino, che compiuta in Africa un’azione parallela a quella dell’ex Presidente, non solo non si fece mai vivo durante le sue fortunatissime caccie africane, mentre l’altro con un braccio abbatteva fiere e coll’altro metteva sottosopra l’Europa e l’America scrivendo a giornali e amici; ma compiuto il ciclo glorioso, tornava in patria con una rapidità impreveduta a tutti e nel silenzio, nel mistero quasi d’un fuggiasco che abbia una vergogna o un delitto da nascondere; ci fu persino un’eccesso di modestia.

Certo non mancarono i confronti fra i due Nembrod reduci in così diverso modo dal teatro delle loro glorie cinegetiche; e la peggio toccava naturalmente a Roosevelt. Ma, tra tanti che l’idolatrano, fra tanti che protestano contro Roosevelt o colla parola o colla condotta, uno solo si condusse in modo superiore ad ogni accusa di abbietto servilismo, o di rancore, o sospettata affettazione: Quel bon parroco di campagna in veste di Pontefice, che non si prestò a servire da sfondo oscuro al quadro su cui intendeva profilarsi scintillante la figura di un ambizioso....

***

L’illustrazione del delitto!


Anche l’autore dell’ultimo delitto che ha sgomentato la cittadinanza ha avuto — da un giornale — l’onore dell’illustrazione. Non basta che dettagliate, minuziose narrazioni propalino in ogni casa (ormai il giornale entra dovunque; oh, se vi entrasse fattore di educazione!) l’eco della vita passionale e viziosa che s’agita nelle grandi città e nelle borgate, non basta; ci vogliono anche le fotografie degli assassini! E’ qualcosa che sgomenta se si pensa al fascino che il foglio stampato esercita sulle masse!

Esser letto, conosciuto (perchè non si riflette) pare un onore alla moltitudine ancora così poco civilmente educata, e chi sa dire lo stimolo che da tale provocazione può venire a spiriti deboli, oscillanti, già pericolanti — per tante ragioni — sull’orlo dell’abisso?

Non è prudente l’occultare il male; ma è saggio farne quasi un’apoteosi? Qual’è la ragione di queste fotografie di donne fatali e di uomini selvaggi; qual’è?

Oh, non altro che un mezzo per solleticare una curiosità malsana... e far quattrini!

Della efficacia della stampa giornaliera son convinti tutti; del suo atteggiarsi a educatrice del popolo si parla molto; della partigianeria d’ogni foglio non si discute: la verità esce bistrattata da tutte le parti, nessuna esclusa, ed è cosa triste assai, ma, forse, inevitabile.

Quando poi si arriva a solleticare le più brutali passioni, la più insana curiosità; quando, specialmente, quest’opera corruttrice viene da fogli che, all’occasione — han l’impudenza di parlare per la moralità — si resta nauseati e si sente il bisogno di chiedere quanti sono che si rendono conto della responsabilità grave che ognuno ha, in proporzione della propria cultura ed influenza — davanti alla massa del popolo.

La mia sarà forse una parola che farà sorridere altrui; a me esce dal cuore. Fosse pure una voce nel deserto, è voce sincera: trovasse anche un solo eco in un cuore non sarebbe stata parlata invano.



Ricordatevi di comperare il 17.mo fascicolo dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI che uscì in questa settimana.



  1. L. Arnould, Ames en prison, Paris, Poitiers, G. Oudin et C., pag. 9-13.
  2. Cioè Boston e New-York negli Stati Uniti, Venersborg in Isvezia, Nowawes in Germania, Edimbourg in Iscozia, e Larnay in Francia.
  3. Vedi a questo proposito nel volume dell’Arnould le pagine scritte dal P. Le Guichaoua, su La pensée et l’âme chez Marie Heurtin, pag. 152 e sgg.
  4. Lodevole al sommo e perciò la coraggiosa propaganda fatta da uomini come Maurice de la Sizeranne, il dott. Riemann e i nostri M. Adriani e Augusto Romagnoli. Vedi specialmente gli scritti di quest’ultimo (ora professore di filosofia al R. Liceo di Massa): Introduzione alla educazione dei ciechi, Bologna, Zanichelli, 1906; e I ciechi non saranno infelici, in Nuova Antologia, 1 luglio 1908.