Il buon cuore - Anno X, n. 50 - 9 dicembre 1911/Educazione ed Istruzione

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Tripolitania



Il Cardinale Ferrari pei feriti di guerra.

La Rivista diocesana reca una lettera di S. E. il Cardinale Ferrari che annuncia al clero e al popolo le disposizioni relative alle offerte da raccogliersi per i feriti e le famiglie povere. Il Cardinale nota anzitutto: «In questi giorni di trepidazione non possiamo dimenticare tanti cari figli di questa patria nostra, che, pronti e fedeli al loro dovere, combattono da prodi soldati sulle spiaggie africane, esposti a continui pericoli, tanto più grandi perchè stanno di fronte il tradimento e la barbarie». Invoca le preghiere dei cattolici pei caduti. Accenna ai sacerdoti che assistono i combattenti e ai morenti somministrano gli estremi conforti della religione. Passa quindi a stabilire la necessità di sussidi materiali. Anche questa è fiorita carità cristiana. «Si raccolgano adunque — scrive — nelle chiese parrocchiali le offerte sia per i feriti, sia per recare aiuto alle famiglie povere che hanno sul campo della guerra i loro giovani. I parroci fisseranno il giorno per la colletta da farsi in chiesa; le offerte verranno inviate alla Curia dove una commissione, composta da monsignor Pro Vicario Generale, da un altro ufficiale di Curia, da monsignor Arciprete del Duomo, dal presidente e dall’assistente ecclesiastico della Direzione diocesana, attenderà ad assegnare e a distribuire i sussidi dietro accurate informazioni ed opportune intelligenze, dandone poi pubblicamente esatta relazione».

È la miglior risposta (così commenta la Perseveranza) a certi giornali cittadini, che s’erano troppo affrettati a scrivere che il capo dell’archidiocesi proibiva la carità, l’obolo della solidarietà pei nostri feriti. Ormai non sono che i socialisti fuori della corrente nazionale, anche in un’opera di pietà, umanitaria, che dovrebbe essere superiore alle ire di parte.


Lettere del pittore Todeschini.

Il giovane pittore Pierino Todeschini, figlio del distinto Giovanni, richiamato come sergente al 68.° reggimento fanteria, ha scritto dal mare, a bordo del Bologna, poi da Bengasi, le seguenti lettere, che contengono magnifiche espressioni del suo spirito sereno, geniale, affettuoso. Innamorato dell’arte sua come il padre; innamorato delle montagne come il prozio suo geologo, l’abate Stoppani, egli trovavasi nella diletta Valsassina, dove eseguiva studi geniali, quando fu chiamato dal grido di guerra.

ALTO MARE, DAL PIROSCAFO «BOLOGNA»

22 ottobre 1911.

Carissimi,

Voi siete poveri disgraziati. Con tutta la vostra bravura e superiorità, non siete mai stati capaci di gustare quanto me la vita di bordo. Siamo in più di 3000 persone (soldati), e tutti quanti la pensano come me. Trattati più che signori da parte d’ogni [p. 396 modifica]Superiore e da Dio che ci dà certi spettacoli che non posso descrivervi.

Sto benone e ciò mi permette di godermela a mio bell’agio. Se siete capaci, immaginatevi il nostro piroscafo alle 4 e mezza del mattino, col sole che sta per spuntare sull’orizzonte, ed il cacciatorpediniere che cava in scuro sul fondo, basso, severo che al solo vederlo rassicura qualunque animo ammalato di paura.

Con noi viaggiano due passeri che hanno preso asilo sull’albero nostro. Appena li scorgemmo svolazzare su di noi, vi fu un istante di silenzio assoluto, unanime, poi un grido solo di gioia, di qualche cosa che non si può descrivere. C’era parso di vedere dei compatriotti, dei parenti. Io pensai a voi tutti e vi ho mandato un bacio. Ora quei passeri sono i nostri beniamini e poi.... menano buono, come tutti gli uccelli.

È inutile che vi ritorni a raccomandare l’allegria fra voi, perché il contrario sarebbe assurdo e non a proposito.

Domani mattina saremo a destinazione dispiacenti da una parte di abbandonare la bella vita di bordo, felici dall’altra di incominciarne una forse più bella, dato le attrattive che può avere per me specialmente una terra cosi diversa dalla nostra, i costumi, ecc.

Vi bacio tanto tanto voi tutti, papà, mamma e Lucio e le altre mie bestioline.

Pierino.


Bengasi, 25 ottobre 1911.

Carissimi,

Già da due giornate siamo a Bengasi. Il nostro grido è: «Viva il Regio Esercito!» Oggi abbiamo mangiato io e Monti sei quaglie pagate complessivamente lire 0.90. Le abbiamo cotte allo spiedo su una bacchetta di fucile, e non vi dico altro.

Ieri ho visto un enorme mucchio di fucili conquistati agli arabi. Ve ne sono di bellissimi, ma non si possono acquistare.

Descrivervi l’effetto che mi ha fatto l’assieme dei costumi e di tutto quanto è arabo mi è impossibile: se potessi lavorare, mi farei milionario.

Turchi non ce ne sono, è un agglomeramento di arabi, greci, mori ed appunto in questo sta la bellezza. Si:Str tutti buonissima gente, contentissima della nostra presenza, un po’ sfruttatori, ma non hanno molto da fare, perché ci si dà un po’ di soldi quanti ne merita la merce.

Insomma stiamo benissimo. Ora non vi posso che baciare tutti, perché parte il dispaccio postale.

Nostra missione è quella di fermare qualche mamalucco borghese che non fa giudizio, ma finora non ne trovammo alcuno.

Un bacio alla mamma, papà e Lucio dal

Vostro Pierino.


Bengasi, 26 ottobre 1911.

Carissimi,

Sto benissimo e questo è tanto. Cura di bagni di mare, datteri, quaglie e vini greci; altro che il Pulicella!

In quanto ai turchi se ne vedono pochissimi. Oggi molti capi arabi son venuti a rendersi a noi. Aveste veduto che spettacolo! Cose da morirne, coi cammelli bardati, cavalli, ecc., ecc.!

Finisco perché parte la posta. Mandatemi subito la macchina fotografica e molte pellicole. Qui si parla d’una prossima pace, di modo che potrò dopo lavorare se non mi mandano subito a casa. Tanti baci a tutti voi.

Pierino.


Bengasi, 1 novembre 1911.

Carissimi,

Sono contento di aver ricevuto due vostre lettere in data del 22 e 23; aspetto quelle che sicuramente m’avete mandato dopo la mia partenza da Napoli. Le mie le avete ricevute, quelle che spedii dal piroscafo e quelle da Bengasi. Noi qui stiamo benissimo.

Accampati appena fuori della città tutti assieme. Giovedì e domenica musica. Una volta alla settimana si esce tutti in ricognizione per sloggiare qualche predone beduino. Ma pericoli non ce ne sono assolutamente. Prima che arrivassimo noi, ci fu un piccolo combattimento dove ci si è preparato lo sbarco libero, ed ora siamo noi i padroni della melonera. Fra poco, quando saranno fatte delle caserme provvisorie, vi prenderemo alloggio ed allora vedrò di poter dipingere un poco. Per ora al più presto mandatemi la macchina colle pellicole tante, perché senza quella è impossibile che ricordi i dettagli di questi luoghi nei quali solo sta la bellezza. Se ne vedono di quelle che non si possono immaginare e tutti i momenti. Il paesaggio qua lo sapete non ha niente di straordinario; troppo eguale; ma il bello è nelle macchiette, nelle case, in certi mercati. Ma non arrabbiarti, Papà, di antichità non ce ne sono: è una città troppo fresca e piuttosto miserabile. Ma in tutti modi sono felicissimo di esserci.

Io credo che voi ormai non sarete più in ansie, perché sarebbe ora.

Mi raccomando la vostra salute perché la mia è di ferro malgrado il clima tanto diverso, e poi la cura dei polli e del mare non è tanto cattiva.

Il mio secondo pirla è un asinello molto buono e servizievole, ha sei anni e costa L. 16. Se come m’hanno promesso, il viaggio me lo paga il Governo, lo conduco a rinforzare il nostro serraglio. Ora termino perché alle dieci parte il piroscafo.

Se siete a Milano, salutatemi tutti i parenti ed amici e scusatemi presso loro se non scrivo perché ora proprio mi manca il tempo.

Ora vi bacio tanto tanto, scrivetemi cosa fate e state allegri.

Vostro Pierino.


Bengasi, 14-11-911.

Carissimi,

Ho ricevute tutte le vostre lettere e cartoline, resto incantato di come abbia potuto Lucio attraversare Milano con Pirla I, perché so che è un po’ matto.

Mi dispiace di non esserci stato anch’io in quella passeggiata che avevo sempre detto di voler fare. Ma chissà quanto vi piacerebbe a voi esser qui in Africa ed invece di un pirlino alto una spanna, cavalcare uno di questi ciuchi arabi: con due o tre soldi mi lasciano fare di quei giretti che meritano un Perù. Senza contate che secondo me la parte decorativa più bella di qui sia il cavallo arabo. Se quando Dio vorrà riceverò la macchina fotografica, ne voglio fare delle belle.

Monti v’ha detto che siamo d’avamposti: non dovete allarmarvi perché tutti i reggimenti qui sono in certo qual modo d’avamposti; per questo la città è al centro del promontorio; cosi al mare ci sono sempre fisse un paio di corazzate e torpediniere e tutto attorno in un cerchio di quasi dieci chilometri che racchiude la città ci sono tutte le trincee blindate, cioè muraglioni alti dai due o tre metri fatti tutti da noi con sacchi di sabbia resistenti a qualunque cannonata: e su questa trincea che è alla distanza di 50 metri circa dagli accampamenti, è occupata da tutti i reggimenti qui per turno di guardia e gli altri sono lì pronti al primo allarme a correre sulle trincee. Ogni cento passi c’è un cannone o mitragliatrice: in mezzo fanteria.

Da ogni punto della nostra trincea si vede a più di 50 chilometri davanti a noi, rischiarati di notte dalle navi ed ecco come ci è impossibile essere attaccati all’improvviso. In città poi ci sono due reggimenti divisi per compagnia che la occupano in tutti i punti e questo rende impossibile una rivolta qualsiasi da parte degli abitanti, che oltrepiù sono perquisiti quasi giornalmente in casa e dappertutto e quelli in possesso di armi vengono fucilati. Pur troppo ne abbiamo dovuto fucilare un quindicina; è una cosa orrenda, ma se non si fa così, non c’è altro mezzo per incutere timore. Ora sono tutti quieti come passeri e noi facciamo il signore. Da quando partii da Cortenova non assaggiai più letto, ma viviamo benone lo stesso; qualche pelle di pecora ci fa da materasso perché tanto è il caldo di giorno quanto il freddo alla notte. Ora però cominceranno a fare dei baraccamenti e ci daranno fior di paglia, perché siamo nel tempo delle pioggie.

L’altro giorno fu San Martino, la festa delle armi. Vi giuro che fu qualcosa di indicibile. Alla mattina allo spuntare del sole in fondo all’immensa pianura la musica nostra suonò la sveglia seguita da un grido immenso di 15,000 bocche: Viva l’Italia! poi concerto, rancio, doppio vino (che volete di più?): sono momenti quelli che non si dimenticano facilmente.

Venga venga il giovane turco, che ci faremo la barba. E specialmente non date retta ai giornali esteri che contano storie su storie e fanno schifo: ne siamo giustamente indignati.

Ora devo andare col plotone pel falciare un Block-hauss, ricocovero blindato. Siamo diventati anche carpentieri, fabbri, tutto.

Sto benone come sempre e voi lo stesso, spero. Salutatemi tutti gli amici e parenti e prendetevi tanti bacioni dal

Vostro Pierino.

(Continua). [p. 397 modifica]

PEI FRATELLI AL CAMPO



Fra le ampie arcate de la Cattedrale
ove dianzi l’organo
s’intonava alla prece vesperale,
ombra e silenzio calano.

Lenti i devoti sfollano e d’intorno
fra un’invisibil nuvola
d’incenso, coll’estrema ora del giorno,
scende una pace mistica.

In fondo là nella Cappella austera,
che una votiva lampada
rischiara, emblema d’un desìo che spera,
v’è pur chi prega e palpita.

Una figura immobile di donna,
ritta nel nimbo tremulo
di luce, ov’è l’altar de la Madonna,
l’occhio vagante e l’anima

dietro una cara visïon lontana
medita e prega: un’aura
d’amor, di fede e di coraggio emana
dal suo bel volto nobile.

E accanto a Lei nell’intimo abbandono
d’un’ansia, d’uno strazio
che dir non può d’umana voce il suono,
altre prostrate pregano.

Madri e sorelle, fidanzate e spose
de’ tuoi guerrieri, o Italia,
e de’ Martiri tuoi le generose
nel nome tuo s’esaltano;


e ai fratelli che pugnano ed ai forti
che fra le bieche insidie
del nemico livor caddero morti,
l’egida eterna invocano.

Siccome ai dì che un popolo d’eroi
tutto insorgeva, o Italia,
l’ignominia a troncar de’ ceppi tuoi,
oh mira le tue vergini,

le donne tue levarsi oggi concordi,
a le novelle glorie
del tuo fato immortal sogni e ricordi
votar serene! ascoltale

votare a te come olocausto santo,
le pure ebbrezze, i gaudi
del focolare minacciato e infranto!
D’amor nomi ineffabili,

ed inconsunti aneliti d’amore
sui casti labbri fremono,
rompendo irresistibili dal core
gonfio per tante lagrime.

Questo tributo eroicamente pio
de le tue figlie, o Patria,
deh ti sia sacro com’è sacro a Dio!
Le coraggiose lacrime

del cuore che in sì lunghe ansie non langue
la tua corona ingemmano,
e ognor commiste de’ tuoi prodi al sangue
i tuoi colori eternano.


MOTTA MARIA.


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ECHI DI LOURDES


(Continuazione e fine).


«Ah! senza dubbio; ed è una consolazione immensa per noi poveri peccatori: Dio non sdegna i fiori meschini, scoloriti e mezzo sciupati, ma su cui scorge in sembianza di lucenti perle, la divina rugiada del pentimento. Ei non nega di prodigare i suoi sorrisi e le ineffabili sue carezze all’anima che fu peccatrice e colpevole, dal momento che è purificata dalle lacrime della penitenza. Con qual gioia Egli apre il suo cuore ed il suo bel cielo a milioni di peccatori anche se riconciliati con Lui soltanto all’ultimo minuto di loro vita! Resta però sempre che in queste anime il peccato l’ha fatta da padrone e vi ebbe il suo trono. Resta che, Iddio essendo santo, queste anime contaminate si trovavano separate da Lui da una distanza infinita.

«L’abisso venne colmato dalla misericordia, la macchia disparve, la distanza venne soppressa, lo veggo bene; ma il fatto rimane indistruttibile che nel tale o tale altro momento queste anime erano lontane da Dio, spiaceano a Dio, e più o meno erano nemiche di Dio.

«Ora, per quanto Iddio le possa amare infinitamente le ricolmi di delizie eterne, chi oserà dire che tali anime bastino ad accontentare il suo amore, che la sua legittima ambizione non si eleva di più, non va più lontano? No, no; Dio è troppo preso della purità. Oso dire che gli mancherebbe qualche cosa fra la stirpe umana se, chiedendo a tutti gli orizzonti del tempo e dello spazio, non riuscisse, esaurendo tutta la sua potenza, a trovare una creatura umana stata sempre e totalmente pura, santa ed immacolata. Gli occorrerebbe trovarla, sia per l’onore del suo divin Figlio deciso di incarnarsi tra i figli di Adamo, sia alla gioia del suo cuore di Padre e di Creatore.

«Dov’è adunque l’anima che fu sempre posseduta da Dio, sempre fedele a Dio, tutta santa, vagheggiata eternamente negli eterni consigli di Lui? Dio l’aspetta con una specie di divina impazienza. Dal fondo della sua immobile eternità, vede passargli innanzi e spiegarsi i fiotti incalzantisi del torrente dell’umanità. Finalmente eccola la creatura benedetta fra tutte: La Vergine Immacolata si avanza! Con che bellezza incede! E Dio l’avvolge nei suoi sguardi e fa scoppiare la sua gioia in questo grido d’entusiasmo: Tutta bella tu sei, mia amica, e macchia nessuna si trova in te! Sei tutta bella, o mia creatura di predilezione, e neppur l’ombra della macchia più vanescente ti fa torto. Tu almeno sei tutta, tutta mia! Io non veggo un solo tratto del tuo viso che non derivi dalla mia bellezza, neppure una fibra del tuo cuore che non canti il mio amore, non un istante dalla tua vita che non splenda della luce della mia santità! Tu sei mia immagine fedele, e ti amo più che tutte le cose uscite dalle mie mani. Tu sola mi arrecherai questa gioia squisita che invano io cercavo tra i figli di Adamo. Sei tutta bella.

«Ed il Signore, rapito del suo capolavoro, non si tien pago di arrestare sulla Vergine Immacolata i suoi più teneri sguardi, firmabo super te oculos meos, di chinarsi per raccogliere ogni sua parola, sonet vox tua in auribus meis! Egli ordina ai profeti ed a tutti i Vati ispirati della sua Chiesa: «Annunciate a tutti i secoli che Maria è più splendente del sole, più soave della rosa di Gerico, più olezzante dei mirteti del Saron, più graziosa delle palme di Cades, più maestosa dei cedri del Libano...».

«Ed ecco che il più sfolgorante degli Arcangeli reca alla terra il messaggio del cielo: Ave gratia piena, Dominus tecum. Il Verbo può scendere fra noi... Ei sa dove trovare un tabernacolo degno di accoglierlo. La redenzione del mondo sta per realizzarsi. Ecco Colei che sarà per schiacciare il capo del nemico infernale: Non avrà il mio nemico onde rallegrarsi di me!

«Ma, fratelli, sappiamo comprendere la lezione e gli insegnamenti che la Vergine Immacolata non cessa di dare al mondo anche solo col nome che prese a preferenza d’ogni altro. Non stiam contenti di ammirare, di far plauso alla sua incomparabile purità. Amiamo la purità anche in noi. Per conservarla o riacquistarla, non indietreggiamo davanti ai più generosi sacrifici. La prima grazia da implorare e sollecitare, sia l’orrore del male: Vitam praesta puram! E diciamo noi pure una buona volta: Io non voglio che il nemico impuro riporti su di me il menomo trionfo. Non avrà il mio nemico onde rallegrarsi di me. Colla preghiera e la penitenza, congiunte con una filiale, profonda e costante divozione a Maria Immacolata, sappiamo liberarci dal giogo vergognoso, spezzare le catene della schiavitù, al fine di stabilire nelle anime nostre la valorosa pace la santa libertà dei figli di Dio.

«E poichè a Colei che ha vinto Satana — Satana che pure tuttodì muove apertamente guerra alla Chiesa di Cristo ed alla figlia primogenita della Chiesa — piacque di stabilirsi in permanenza sul suolo della Francia, noi nè vogliamo, nè dobbiamo, nè possiamo disperare dell’esito finale di questa lunga ed accanita battaglia.

«Lo so che il nemico riporta a quest’ora dei trionfi che getterebbero la costernazione nel cielo, se il cielo potesse piangere, dei trionfi che fanno gioire tutti i campioni dell’inferno. A che pro’ mettere sotto i vostri occhi, pure in compendio, le rovine e le distruzioni sacrileghe operate attorno a noi? Si può stupirsi che taluno profetizzi la fine della Francia, destinata, a loro dire, a perire o di guerra civile o di guerra con nemici esterni? Ma no, non è la fine della Francia. Non crederò mai che Maria sia venuta a calcare a diverse riprese il suolo nazionale per segnarvi la località di un cimitero. E se Dio volesse farla finita con questo paese, piuttosto invierebbe contro di noi degli Angeli armati del brando sterminatore, ma non sua Madre bianca e azzurra con dei sorrisi e leggiadre grazie infinite. No, non è per recarci soltanto l’illusione della speranza e della salute che Maria venne a piangere tra le nostre Alpi, fra i nostri Pirenei.

«Ella ha voluto aprire qui — è già stato detto — una scuola di preghiera, di purità, di misericordia, di fede di speranza. È qui che cominciano a formarsi le selezioni di cattolici generosi, speranza delle generazioni [p. 399 modifica]future.... No, non disperiamo. Dio non ha detto la sua ultima parola, Satana non è padrone per sempre. Non avrà il mio nemico onde rallegrarsi di me. O Maria, concedete a quanti vengono qua, di pronunciare un giorno questa parola alla soglia della beata eternità. Amen!».

Trad. di L. Meregalli.

Can. Andrea Durand.


Per la salvezza dei nostri emigranti


Dell’ITALICA GENS


(Continunione, vedi n. 45).

Ma la questione che può sembrare, ed è la più seria, si è quella dei mezzi coi quali il nostro emigrato potrebbe comperare ed arrivare al possesso della terra. Questa difficoltà che in verità è seriissima non è tuttavia insuperabile. Ed io l’ho vista le tante volte superata da chi si era prefisso di riuscire nell’intento ricavando dal suolo non solo il necessario alla vita, ma anche il danaro necessario per svincolare interamente la proprietà e farsela sua. Ma, a parte questi casi, che esigono una seria volontà, bisogna osservare che la Società s’interessa acciocchè i pagamenti annui, che debbono farsi dai nuovi occupanti il terreno, sieno così miti, che il laborioso agricoltore possa facilmente soddisfarli e coi raccolti del suo campo e con qualche lavoro d’occasione che facilmente si trova. La massima parte dei coloni coi quali io sono venuto in contatto erano persone di scarsissimi mezzi e pure in tempo relativamente breve hanno raggiunto il loro intento: lo hanno fatto coi sudori della loro fronte versati su quelle stesse zolle che poscia diventarono loro possessione e col non lasciarsi sfuggire di mano quei lavori che occasionevolmente si presentano. Tuttavia non è mai da consigliarsi che un emigrato si porti alla campagna interamente sprovvisto di denaro, non potendosi mai prevedere a quali casi esso possa trovarsi esposto. Gli italiani però sono per se stesso più previdenti di quello che si crede, in questa materia e, generalmente parlando, è ben raro il caso in cui l’italiano si privi dell’ultimo marengo ordinariamente riposto per le spese imprevedibili.

E non sarebbe questo il caso che dovesse richiamar l’attenzione della gente che dispone di denaro, di istituzioni bancarie, le quali investendo a grande vantaggio il denaro in terreni, provvederebbero così assai bene all’interesse degli emigranti, al loro proprio, nonchè a quello della patria: ottenendo così un doppio scopo l’uno più nobile dell’altro? Perocchè il prezzo di queste terre cresce di continuo, nè v’è alcun pericolo di perdita di denaro se anche per caso rarissimo uno degli acquirenti finisce per abbandonare il terreno.

Quando si pensi alle centinaia di migliaia di lire, che colle migliori intenzioni di procurare il bene ai nostri emigrati furono spese senza però riuscire sempre all’intento: quando si pensi che questo denaro stesso se fosse investito in terreni, non sarebbe mai perduto, ma in breve tempo rientrerebbe col suo interesse, molte persone dovrebbero pure aprire gli occhi, ed interessarsi ad un’operazione tanto vantaggiosa. Perchè, diciamolo pur chiaro, i nostri Italiani con tutti i difetti, che a torto o a diritto vengono loro attribuiti all’estero, pure vengono accennati come modelli di onestà nei loro contratti ed è un’assioma in quei paesi, chè «l’Italiano è onesto». Io sarò ottimista, pure non mi so persuadere che questa proposizione e concetto che insinua un modo così efficace per aiutare i nostri emigranti, che ne assicura la loro felicità nei paesi nei quali molte volte la vanno cercando invano, e nello stesso tempo diventa assai lucroso per quelli che lo adottano, non debba interessare i nostri uomini di affari e ad assicurare così la miglior fortuna agli esuli ed a quelli rimasti in patria.

Senonchè qualcuno a questo punto potrebbe interrompermi, dicendo che col sistema esposto più sopra noi saremmo la causa che ottimi cittadini in cambio di restare o almeno di tornare in patria si fermerebbero in contrade straniere e sarebbero quindi per noi perduti. Perduti! Ogni qual volta cade il discorso su quegli emigranti, che lasciata la patria, trovano conveniente di formarsene una in quelle contrade le quali sono state loro prodighe di fortuna, bene spesso si sente ripetere queste parole: ma questi per noi sono perduti; ed ogni qualvolta le ascolto mi si fa il cuore piccino, sento come un brivido per le vene, nè so capire come persone di mente sana, e viste larghe, di cuore non men generoso, possano anche per un momento solo lasciarsi dominare da una pura sentimentalità e quasi trattener la mano, che già si sporgea generosa verso un fratello che dalla necessità di provvedere alla vita viene costretto al grande sacrifizio di abbandonare i suoi cari insieme colla sua patria. Poniamo per un istante che ciò sia vero, che cioè egli non dovesse tornare tra di noi; e perciò gli rifiuteremo noi l’aiuto che gli avremmo dato volentieri nel caso che tra noi fosse tornato?

Se si tolgono alcune regioni d’Italia nelle quali l’emigrazione, a causa di eccezionali condizioni economiche ha assunto proporzioni veramente esagerate, nel resto può riguardarsi come fenomeno normale dovuto alla felice esuberanza di nascite che si ha nel nostro paese; onde non è chi non veda che per tal riguardo non basta a stabilire giusto equilibrio la sola emigrazione temporanea; è vero che il miglior assetto agrario di tante terre italiane, il crescente sviluppo delle industrie e dei commerci potrà permettere di albergare in patria una popolazione sempre più numerosa, ma se, come è da augurarsi, l’incremento demografico conserva le attuali proporzioni, certamente anche un’emigrazione di carattere permanente, è necessaria, in certa misura.

(Continua).



Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.