Il buon cuore - Anno XI, n. 19 - 11 maggio 1912/Educazione ed Istruzione

Da Wikisource.
Educazione ed Istruzione

../ ../Religione IncludiIntestazione 21 aprile 2022 75% Da definire

Il buon cuore - Anno XI, n. 19 - 11 maggio 1912 Religione

[p. 145 modifica]Educazione ed Istruzione


Enryk Sienkiewicz
e la nuova Polonia

(Continuazione e fine, vedi n. 17).


Confesso, che ero uscito dalla breve intervista col cuore stretto: la grande figura che avevo sognato tra le foreste e gli stagni della Mazovia mi s’era rimpicciolita dinanzi, e quel che m’impressionava maggiormente, era il mistero di quel rimpicciolimento, giacchè restava, come resta ancora, in me, l’ammirazione per l’autore della Trilogia e pel novelliere aristocratico e squisito.

Solo più tardi, vivendo un poco nell’ambiente, ebbi la spiegazione del fenomeno.

Enryk Sienkiewicz — come, del resto, quasi tutti i letterati polacchi e, in genere, slavi — non può essere studiato e compreso se non considerando lui tutt’uno col suo popolo, e le sue vicende artistiche unite alle vicende del suo paese, e ciò, a differenza dei nostri letterati ed artisti, i quali possono avere una vita intellettuale dissimile od anche discordante, per caso, dalla grossa corrente del momento, pur rimanendo italiani e nostri.

Dopo il silenzio torpido e stupito che seguì la morte dei tre genî romantici, Mickiewicz, Slowacki, Krasinski, e dopo l’infelice rivoluzione del ’63, l’anima polacca si risvegliò lentamente, rivolta col cuore e con la speranza alla sua grande aristocrazia. Allora questa era ritenuta ancora la sola capace, per coltura e per ricchezza, di risollevare le sorti della grande nazione.

Alle prime speranze nutrite in segreto, fece eco la voce di un artista nuovo. Entyk Sienkiewicz, povero allora, ed oscuro, incominciò una prima opera di redenzione; risollevò e affinò la lingua letteraria del suo paese, ne risuscitò bellezze cadute in oblio, ne scoperse, quasi, delicatezze e sfumature dianzi ignote — tanto da farsi chiamare dal Tetmäier: le maître insupérable de la nuance — e lanciò nel grigio della coscienza nazionale ancora caotica, un primo raggio di luce pura.

Ancora la Polonia non vedeva e non giurava che pel suo eroismo guerriero: le gesta prodigiose di Bem, e i fantasmi delle donne guerriere volteggiavano ancora dinanzi ai suoi occhi sognatori. E Sienkiewicz sentì palpitare nel suo cuore il cuore dei Sapieha, dei Zagloba, dei Wolodiewski e tesse il suo pcema ciclico, possente come un quadro wagneriano. Col ferro e col fuoco, Il Diluvio, Pan Michele Wolodiewski.

Al sentirsi toccare quelle corde profonde, la vecchia anima guerriera del gran popolo si destò completamente; l’opera, forte di una maschia bellezza, soffusa di una poesia che nelle traduzioni italiane non si nota neppure, animata da un soffio ardente di gloria, fu letta con avidità, divenne nutrimento dei giovani, fu esaltata come l’edificio che racchiudesse in sè, nella luminosità di un passato, il fremito vitale di un avvenire. E al termine della Trilogia, la fama e la gloria di Enryk Sienkiewicz furono altissime e purissime nella sua terra.

Solo più tardi ruppero il confine e dilagarono per l’Europa, col Quo Vadis? e quando appunto la Polonia colta incominciava a distaccarsi, nella sua marcia in avanti, dal suo romanziere prediletto.

Erano avvenuti fatti nuovi, e gravi.

Nella Trilogia, non è solo l’esaltazione in astratto della nazione di San Casimiro e di San Stanislao, ma sopra ogni altra cosa la glorificazione e, diremo così, una nuova messa in valore di quella vecchia aristocrazia, che, destata qualche speranza, disilluse presto le classi borghesi, e si ritrasse sdegnosa ed inerte dinanzi alla marea montante del socialismo internazionale e, più tardi, dei democratici liberali.

Il pubblico polacco, quindi, dimenticava l’eroismo guerriero come mezzo di redenzione, abbracciava i sistemi moderni di lotta per la nazionalità, e chiedeva [p. 146 modifica]al suo poeta un nuovo canto che lo guidasse per le vie nuove. Sienkiewicz, fermo nella sua rocca gloriosa, affezionato alla vecchia aristocrazia, non volle sacrificare le sue idee, non si rese conto del fenomeno storico-letterario che egli rappresentava, di uomo-esponente dei movimenti psicologici del suo popolo, e, invece di rinnovarsi e guidare le nuove correnti, le schivò, rifugiandosi, col Quo vadis?, nel remoto passato. Il romanzo cristiano, se furoreggiò in Europa e in America, e giustamente, non ebbe, in Polonia, il successo della Trilogia, e, anche questo, giustamente.

E di fronte a Sienkiewicz a nuova marea montante mise due nuovi colossi: Zeromski e Boleslaw Prus.

Il primo, ingegno straordinario, ha posto mano alle grandi piaghe sociali, le ha messe a nudo e le ha mostrate nella loro cruda verità, rivestendo le sue concezioni tragiche e fortissime di una passione tutta apostolica, e proiettandola con un’arte narrativa di primo ordine. Lasciato per poco da banda il popolo come nazione e collettività politica, egli ha tratto alla luce quello che ancora sull’orizzonte della letteratura polacca non era apparso: l’individuo in sè e per sè; ma non ha dimenticato la nazione, chè anzi nel suo migliore romanzo, il cui titolo si potrebbe tradurre: L’Amore della Terra, egli ha descritto le lotte e le sofferenze dei contadini in Posnania, sbarbicati e divelti dal suolo ove nacquero dal bastone prussiano.

Il secondo, più vecchio di Zeromski, intelletto altrettanto profondo, ma anima più delicata, ha oltrepassato le barriere etniche e nazionali, ha toccato la vasta umanità nei suoi tipi eterni, e, in una visione di bellezza sontuosa, ha fuso in sè la civiltà slava con la latina e con la greca, fino a dare un capolavoro degno di rivaleggiare con Salammbô: il Faraone, dove si rianima, in una luce di sogno e in una sinfonia di colori smaglianti, la suggestiva civiltà egizia. Con Boleslaw Prus, l’arte polacca esce dalle linee rigorose di una rivendicazione nazionale, per spaziar largo, fin dove è lembo di umanità, fin dove è vestigio di elevazione estetica e morale, e con questo non rende minor servigio alla sua gente, giacchè a un popolo che reclama la vita è primo dovere tenersi in contatto, in continuo scambio con tutti i popoli passati e presenti, perchè la sua vita si faccia varia e si ringiovanisca il suo sangue.

E contatti e scambii, per questa razza in continuo fermento, per questo popolo di viaggiatori infaticabili, si son fatti innumerevoli.

Dalla Germania, dall’Inghilterra, dalla Francia, e non poco anche dall’Italia, tutte le filosofie, tutti i generi d’arte, tutte le fasi e gli aspetti della coltura hanno avuto un’eco in Polonia, anzi, si sono compenetrate in misura diversa nella concezione sociale, morale, artistica e politica dei polacchi, e han dato vita e nutrimento, di conseguenza, alla loro letteratura moderna.

La quale s’è fatta elastica e dolcissima, pur conservando un’ardita originalità autoctona con Kazimierz Tetmaïer, considerato oggi come uno dei più grandi poeti e romanzieri della Polonia; s’è fatta vivace, satirica e finissima, col De Weissenhoff, modernista — letterariamente, s’intende — con lo Szrybszenzki, con lo Szeroslawski, con Marion; pagana con altri, spiritualista con altri ancora, tutti letti appassionatamente e giudicati, da questo pubblico cittadino e proprietario di campagna, che si nutrisce di letteratura e d’arte come di pane.

In nessun paese d’Europa, come in quello, la letteratura segue con fedeltà maggiore i passi dell’anima collettiva, certo perchè quel popolo, sprovvisto di ogni adito ad una esistenza politica, teso continuamente, come una mente sola e un cuor solo, nella volontà di essere, dà una esatta rispondenza a tutte le sue varie attività, diverso in questo, dalla quasi totalità dei suoi fratelli slavi, se se ne eccettuino i boemi.

Ora, questa generazione nuova di scrittori, bene accetta al gran pubblico, ha un giudice severo, inesorabile, nel Sienkiewicz. Ad ogni occasione, nella quale egli possa far sentire la sua voce, è un biasimo che egli lancia a tutti i suoi rivali indistintamente, è una condanna alla scuola che non è la sua.

Ma il gran pubblico, che lotta, come già in Galizia, non per una secessione immediata dalla Russia e dalla Germania e dall’Austria tanto meno, ma per costituirsi in coscienza nazionale assoluta, e per veder più ampiamente tollerati la sua fede, i suoi costumi, le sue idealità, segue con simpatia quegli scrittori condannati, che per lui rispondono come risuonatori a tutte le voci di dolore, di sdegno, di supplica che egli lancia di tanto in tanto al cielo nebuloso della comune esistenza slava.

Ed è appunto per questo carattere fatto di equazioni di equilibrio, del suo paese, che Enryk Sienkiewicz s’è visto sfuggir di mano lo scettro che per qualche tempo egli solo aveva tenuto. Il popolo polacco, grato al grande artista di aver rievocato i suoi bei tempi eroici, che, come ricordi, rimangono sempre una parte dell’anima nazionale, gli fece dono della ricchezza, della gloria e di una villa: Oblenyorek.

Sienkiewicz, abituatosi presto a quella gloria, si è stancato a grado a grado dalla corrente moderna, si è visto minacciato, quasi, nell’altezza che aveva raggiunto che nessuno gli potrebbe togliere, e nei suoi ultimi lavori non ha concesso l’entrata agli elementi costitutivi delle moderne lotte sociali e politiche.

Così, mutati i tempi, orientate ad altro polo le aspirazioni, ravvivatesi d’altro fuoco le speranze, egli ha visto a poco a poco allontanarsi da sè il popolo che un giorno fu tutto per lui, e seguire altri fedeli ricostruttori della propria psiche nuova, varia e possente.

E il grande autore della Trilogia e di Quo vadis? è ora circonfuso della pallida luce crepuscolare.

Alla sua solitaria Oblenyorek, perduta fra le betulle i salici nella pola sconfinata, vengono ancora, dalla Mazovia orgogliosa della sua Vistola, dall’Ukraina ricca di grani, dalla gelida Lituania, gli echi delle cavalcate vertiginose dei suoi bei cavalieri vestiti di zibellino; vengono ancora a lui i ritmi affrettati e i balzi di piedi speronati della mazurka fiera e galante; ma l’ammirazione del popolo, che un tempo era fervente come una preghiera, non gli giunge più.

[p. 147 modifica] Solo dinanzi alla sua vecchiaia, egli conta ogni giorno, ansioso, il numero dei suoi fedeli, e vedendolo assottigliarsi ognor più, se ne rammarica come d’una ingiustizia, e a chiunque venga di lontano a portargli l’ossequio dei popoli che non sanno quella sua tragedia, egli domanda dolorosamente quanti ancora lo amino, quanti faccia ancora del nome suo un segno di vittoria, e fa vedere i suoi libri, le traduzioni, e i diplomi delle Accademie, e gli omaggi d’ogni sorta che gli vennero tributati, quasi a provare che non fu un sogno, quella sua grande vittoria.

È doloroso, ed è tristemente fatale. La gloria che lo baciò, giovane, sulla fronte, egli se la stringe ancora al petto, convulso, e mentre cerca illudersi che ella viva ancora, si sente stringere il cuore dal gelo di quella persona inerte e abbandonata.

Ma l’umile pellegrino di gente latina che vide la sua solitudine amara, non può non dirgli, come tributo doveroso di venerazione, che al disopra delle scuole, al al disopra delle imperiose contingenze della storia, l’opera sua gigantesca tornerà a splendere con tutte le luci del suo puro diamante, quando una fra le generazioni dei suoi posteri potrà finalmente posare le armi, dimenticare le lotte e le angustie quotidiane, e prostrarsi reverente dinanzi ai suoi grandi benefattori del passato.

U. L. Morichini.

Un concorso drammatico femminile

Nella fioritura vittoriosa di energie e di valori femminili che caratterizza questo principio di secolo, assume importanza speciale il progetto d’un concorso drammatico riservato esclusivamente a lavori italiani scritti da signore e signorine anche come prova decisiva delle attitudini muliebri nel campo fin qui quasi inaccessibile della scena di prosa.

Ispirandosi a questo intento, l’importante e autorevole rivista illustrata La Donna, che già conta altre benemerenze vittoriose di affermazioni muliebri, come l’Esposizione Internazionale femminile di Belle Arti, si è fatta banditrice d’un tale concorso, lasciando la più ampia libertà di forma e di argomento e di atti alle concorrenti. Il lavoro deve solamente essere inedito e non rappresentato, e i copioni in duplicato devono essere spediti all’indirizzo della rivista La Donna a Torino entro il 31 maggio corrente.

Una speciale Giuria in cui sono in prevalenza personalità femminili, e di cui fanno parte, fra gli altri, Giannino Antona Traversi, Sabatino Lopez, Amelia Rosselli, Clarice Tartufari, Nino G. Caimi, ecc., leggerà i lavori e indicherà quelli che ritiene adatti all’esperimento della rappresentazione.

Le principali compagnie o personalità drammatiche italiane, come le compagnie Talli, Borelli, Galli, Sainati, Reiter, Novelli, Tina di Lorenzo, Chiantoni Pieri, ecc., hanno incoraggiato questo tentativo impegnandosi a mettere ìn scena quei lavori che riscontrassero degni, e assicurando così al concorso il migliore dei risultati, quello cioè della rappresentazione sicura dei lavori vincitori.

La gara si presenta quindi degna d’attenzione e di interessamento, dato anche il momento attuale di affermazione della donna in ogni campo d’attività intellettuale e così, segnalando alle nostre lettrici la favorevole occasione, attendiamo con fiducia e auguri i risultati della geniale iniziativa della consorella torinese.

TRIPOLITANIA


VERSI DI UNA SIGNORA FRANCESE


Una benemerita e provetta insegnante dì lingua francese, da anni stabilita fra noi, ha seguito con entusiasmo i prodi nostri soldati nei lidi d’Africa, e commossa dalle perdite di giovinezze fiorenti cadute laggiù, ha dettato questa nobile poesia, che ci onoriamo di pubblicare.




Pensées d’encouragement!


Si la vie en nous se retire;
Pourquoi montrer ce noir chagrín?
Je laisse mes chan ts à redire;
Ne songeons pas au lendemain,
Ce n’est pas mourir tout entier.
N’avons-nous pas l’éternité!
Celui-là seul peut espérer,
Qui sait aimer l’humanité!
Le bien, est à c6té du mal,
Pour en tempérer la douleur
Si parfois le sori est fatal.
C’est comme l’épíne à la fleur.




La gioire est pour le courageux;
Ne déserlons point notre poste;
Ce n’est pas otre vertueux:
Lutter, doit otre la riposte.
Eh! bien qu’importe succomber!
Pleurons-le, car c’était un fort!
(Tel exemple il falli imiter)
Qui sui braner les coups du sort.

Una ammiratrice delle gesta italiane.

Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.


[p. 148 modifica]

Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi


SOCI AZIONISTI.

Signora Teresa Cimbardi |||
 L. 5 ―
» Ricciarda Guy |||
   » 5 ―
Contessa Laura Borgia |||
   » 5 ―
Signora Virginia Calderoni |||
   » 10 ―
» Carla e Franco Bernocchi |||
   » 5 ―
Contessa Rachele Confalonieri |||
   » 5 ―
Donna Giannina Conti |||
   » 10 ―
Donna Astori Erminia |||
   » 5 ―
Contessa Giulia Viansson |||
   » 5 ―
Donna Fulvia Venturi Resta |||
   » 5 ―
Coniugi Oscar e Susanna Dolfus |||
   » 100 ―

OPERA PIA CATENA

(cura di salsomaggiore).


OBLAZIONI.

«Ricordandoti sempre» |||
 L. 10 ―
Signora Sessa Carloni Sandra «Per un fiore sulla tomba del Prevosto Catena» |||
   » 15 ―
Signora Ronchetti Bruni Teresa |||
   » 50 ―
Banca Popolare |||
   » 250 ―
Cassa di Risparmio |||
   » 300 ―
Signora Isacchi Valtolina Maria |||
   » 10 ―
» Sessa Viscardi Giuseppina |||
   » 10 ―
» Verga Nicoli Margherita |||
   » 10 ―
» Prinetti Jacini Maria |||
   » 10 ―
» Marietti Besana Fanny |||
   » 10 ―
» Rümmele Cimbardi Ernestina |||
   » 10 ―
» Negroni Rümmele Erminia |||
   » 10 ―
» Comelli Cimbardi Deidamia |||
   » 10 ―
» Mosters Comelli Emilia |||
   » 10 ―
» Prandoni Casartelli Ida |||
   » 10 ―
» Prandoni Pia |||
   » 10 ―
» Rebuschini Casati Virginia |||
   » 10 ―
» Schoch Teresa |||
   » 10 ―
» Cicogna Jacini contessa Teresa |||
   » 10 ―
» Rognoni Garovaglio Adele |||
   » 10 ―
» Crivelli Nasoni Maria |||
   » 10 ―
» Roveda Castellini Pia |||
   » 10 ―
» Sormani Della Carlina Erminia |||
   » 10 ―
» Castiglioni Pellini Carolina |||
   » 10 ―
» Binaghi Giuditta ved. Oliva |||
   » 10 ―
» Clerici Motta marchesa Giuditta |||
   » 10 ―
» Baglia Bambergi Giulia |||
   » 10 ―
» Lovati Biancardi Anna |||
   » 10 ―
» Keller Roux Susanne |||
   » 10 ―
» Keller Lily |||
   » 10 ―
» Muggiani Radice Eugenia |||
   » 10 ―
» Consonno Veratti Irene |||
   » 10 ―
» Pedroni Pavesi Giulia |||
   » 10 ―
» Winghen Gianetto Margherita |||
   » 10 ―
» Castelbarco Della Somaglia principessa Maria |||
   » 10 ―
» Pesaro Leonino baronessa Elena |||
   » 10 ―

NUOVI PATRONI.

Signor San Pietro avv. Carlo |||
   » 10 ―


La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.


IL MIO AMICO IL DESERTO


Lo ricordo come un amico, che ci ospitò con generosa cordialità in giorni non lieti. Mi aveva attratto sempre, chè il fascino, che esercita è irresistibile. Mare, monti, deserto sono i giganti che accendono la fantasia di ogni uomo; sono lo sconfinato. L’attrazione crebbe, quando l’ebbi vicino. Hammada et Kebir (come lo chiamano gli arabi), la grande conca era il mio sogno. Il sogno divenne realtà; fui suo ospite. Ed ora che va entrando nelle vicende della storia d’Italia, ora che il suo nome suggestivo e misterioso risuona così spesso sul nostro labbro, come quello che segna il limite estremo della nuova terra italiana, pago il mio debito di gratitudine, presento l’amico agli amici, che non lo conoscessero abbastanza.

Quando l’arabo chiama il suo Sàhara Hammada el Kebir, quando insomma se lo rappresenta come una conca è uomo primitivo, che si lascia ingannare dalle apparenze, o meglio non dà neanche a queste una intelligente attenzione.

Il Sàhara non è una conca, un bacino depresso al suo centro; ma una superficie gonfiata al centro, che va abbassandosi nelle direzioni dell’est-ovest-sud e anche nel nord. Queste depressioni debbono aver colpito la fantasia dell’arabo, molto più, che da un punto di vista di praticità, di vita, sono le parti più importanti del Sàhara, perchè le oasi sono per lo più nelle regioni depresse. Le quali nel Sàhara si succedono in una linea curva, che da sud ovest corre da nord-est per 400 chilometri, abbracciando un mille chilometri quadrati. Fayouna, sebbene i geologi sieno discordi nei particolari, pare tenga il primato delle depressioni sahariane, e in larghezza e in profondità. Quella è di 600 chilometri quadrati, questa nel suo massimum, è di 90.8 m. sotto il livello del Nilo.

Tutto questo non dà completa la topografia del Sàhara, che ci è data esauriente dal suo triplice tipo. Deserto ad alto piano (o hàmmada), deserto d’erósione (sebkhachott); deserto sabbioso (areg). Il primo è il vero deserto ed è il più esteso; è solido e pietroso. A questo deserto fatto di altipiani e di terrazze si riattaccano altezze incerte. Le terrazze elevano a 800 e anche a 1000 metri sul livello. Le più alte sono quelle del Galaala-kolzim, le cui pareti verticali crepate, rossiccie, salienti sino a r000 e z000 metri presentano le forme più fantastiche. Io ho salito quella che sovrasta il monastero di S. Antonio abate nel Kolzim....

La suggestione delle oasi

Oasi! Eccoci al fresco, alla vita! L’etimologia ha interessato i filologi. Langles tagliò corto citando un dizionario copto-arabo, che si conserva nella Biblioteca nazionale di Parigi. La parola egiziana uahe significa luogo abitato. I Greci d’Egitto l’avrebbero ellenizzata e addolcita cambiandola in Oasis. Sarebbe la sola cosa che rispettarono i greci, padroni dell’Egitto.

Gli antichi e greci e arabi non furono mai d’accordo sul numero delle Oasi. Ad ogni modo noi sappiamo [p. 149 modifica]che il Bahr bela-ma, il mare senz’acqua, come gli arabi chiamano il Sàhara, si abbella di isole che spesseggiano fra la riva sinistra del Nilo e la Tripolitania. Rohlfs, le chiama oasi della Sirti, come a dire, arcipelago del deserto. La più importante è Koufera o Kufra. Dista dal golfo delle Sirti 600 km. e 1000 dal Nilo. È davvero un arcipelago. Comprende cinque isole — pardon, cinque oasi — che la sabbia separa. Buzafna e Kebabo sono le più famose. Buzaina è assolutamente un’Isola bella (per quanto il Sàhara non sia il glauco Verbano). Misura 313 km. quadrati; ha montagne, laghi e palmizi. La sua è un razza a sè. Vegetazione ricchissima. A sud-est si eleva Kebabo. E’ la più grande (misura 8793 km. quadrati). Ha una popolazione permanente: vantaggio, senza dubbio, grandissimo. Capitale di Kebabo è Suya-el-Istal, la Mecca, il focolare religioso degli Snussi o, come dicono i giornali europei, Senussi. La capitale è degna di questo nome. Cinta di mura, la fortificano; una moschea di pietre le dà l’aspetto di una città europea. Il clima di Kebabo permette avere la flora subtropicale e quella del bacino mediterraneo. Una catena di montagne attraversa l’oasi. Alle falde di queste i Senussi hanno piantato giardini. Si direbbe che essi lavorano per un domani cui pure non sognano. Perchè Kufra non potrebbe, un giorno, essere una stazione di transito di prim’ordine? Dal Mediterraneo al Nilo (ouadi Holba) vi sono 1500 km. Kufra è a metà, a circa 700 km. dal Mare Nostro. I missionari francescani del secolo XVII scorsero questo deserto, visitarono queste oasi insieme a quelle di Fezzan e di Bornò. Vi transitarono, talora, per portarsi a Tripoli. Venivano dal sud. Non deve esser lontano il giorno in cui altri missionari vadano a rintracciare le vestigia dei valorosi.

Le volubili dune

Ed ora veniamo alle Dune. L’azione dinamica dell’atmosfera è molteplice. Suoi sono i fenomeni di erosione e di trasporto che in certi punti, concorrono ad aumentare lo spessore della scorza terrestre e ad accentuarne il rilievo di una maniera sensibilissima, accumulando i prodotti che essa ha trasportato. Questi rilievi si chiamano Dune. Esse sono meravigliose e si formano per la fine sabbia prodotta dalle disgregazioni delle roccie di squarzo spinte dal vento sopra il piano. Se nulla impedisce la sua marcia continuerebbe a camminare fino a tanto che non venisse ad accumularsi in una depressione. Ma per quanto piana sia una superficie desertica, esistono sempre delle ineguaglianze, che arrestano in certi punti il movimento della sabbia. Ciascuno di questi ostacoli diventa così l’origine di un piccolo monticello capace di trasformarsi poi in una Duna.

Le Dune sono composte d’una sabbia quarzese e formano talora delle file di monticelli da 50 a 100 metri di altezza. Nè identico, nè sempre uguale è l’ordine delle dune. All’est la loro direzione dominante è da N. N. O. a S. S. S.; all’ovest da N. al S. Qualunque sia la loro direzione le dune desertiche sono suscettibili di movimento come le dune del mare e come queste sono talora stratificate.

Là dove le dune spesseggiano, il Sàhara prende l’aspetto di un labirinto. Sarebbe fatale staccarsi dalla carovana e perdersi in mezzo alle dune. Ma lo spettacolo che offrono è uno dei più caratteristici. E lo spettacolo cresce in bellezza se montato una cima elevata di duna il viaggiatore volge intorno lo sguardo. Le dune che lo circondano da tutte le parti somigliano alle onde del mare, elevandosi le une dietro le altre, quasi fuggendo sino ai limiti dall’orizzonte. E’ come un mare di sabbia sollevato da un vento tutto ad un tratto, fatto impetuoso.

Esclusivamente quarzosi i grani delle dune sono tondi e puliti, individualmente ialini o leggermente coloriti in giallo rossastro per le traccie d’ossido di ferro, prendono in massa una tinta d’oro smorto, magnifica sotto il sole del Sàhara. Non dimenticherò mai lo spettacolo, che mi offrì il deserto contemplato in un crepuscolo dell’alto delle roccie del Kolzim. Oltre al gaudio che procura un panorama bello di bellezze strane, ebbi quello, intellettuale, di cogliere, come una sintesi scolastica, tutti i caratteri topografici del Sàhara, con le loro particolarità. Le montagne, le oasi, le steppe, le dune. La sera orientale era caduta, il silenzio avvolgeva la pianura morta. Laggiù lontano, alla mia destra, qualche cosa, solenne e calma si muoveva: il mar Rosso.

Le vene misteriose

Ed ora veniamo ad un fatto certo nella sua esistenza, misterioso nella sua origine, voglio dire le acque sotterranee.

Che il Sàhara abbia acqua e in molti punti abbondante, è un fatto di cui non si può dubitare. Esso è importantissimo come fenomeno, che la scienza deve studiare, e come causa, che andrà lentamente, ma assiduamente, modificando la storia del paese, cui senza dubbio, si prepara un avvenire migliore ad ogni punto di vista.

Nelle lunghe ore di marcia attraverso le interminabili ouadi del deserto a bordo dell’analoga e provvidenziale nave, il cammello, talora regna, nella carovana, l’allegria la più schietta e chiassosa. Allora è un brio di vita, che pervade tutti. Sono gioconde risate che trillano nel silenzio immenso, ma talora tutta la carovana procede silenziosa. La diresti un convoglio funebre. Allora nel silenzio non odi che lo scricchiolare della sabbia salina sotto il calloso e vasto piede del cammello e lo schioppettio dell’acqua, che il beccheggiar dell’animale tormenta, ostinatamente, negli otri, che pendono ai suoi fianchi. Quel doloroso mormorio dell’acqua e il dondolio della gulletta di Kene, che pende dalla orribile sella a portata di mano, richiamano alla realtà delle cose. Siamo nel deserto e da vari giorni, e ci staremo ancora, e ancora, perchè qui da per tutto è deserto. Ma perchè portare l’acqua se il deserto ne possiede? Ecco, l’acqua c’è: ma non si vede, almeno non sempre si vede, e quella che si vede non è la migliore. Anzi non è, d’ordinario, da beversi sicuramente, non ostante le sterilizzazioni benefiche dell’azione solare.

Stoppani con frase felice chiama il Sàhara un [p. 150 modifica]mostruoso apparato d’infiltrazione e quindi di circolazione sotterranea. Due condizioni esige il fenomeno d’infiltrazione: penetrazione lenta dell’acqua attraverso le fenditure e gli interstizi del suolo e la permeabilità dei terreni. Quando le due condizioni si avverano, presto o tardi si forma la zona acquifera, che Lapparent chiama nappe d’infiltration.

Il dono del Nilo

Mirabile la zona acquifera!

Due strati impermeabili la chiudono come fra due pareti, gelosamente. L’elemento vitale è lì, scorre silenzioso, come un monaco nel solingo corridoio del suo chiostro. Per uscirne non ha bisogno che di un cenno. Se la mano dell’uomo arriva a perforare la sua prima parete, essa gli salta al collo nell’impeto vivo dell’amore, che ritrova il fratello (non chiamava S. Francesco sirocchia l’acqua?) e allora abbiamo il pozzo artesiano. Se poi la pressione del suolo viene a coincidere col suo alveo, allora esce, zampillando o scrosciando, non offesa però di essere tolta alla sua calma, al suo ritiro: ma lieta per la letizia, che arreca: e allora abbiamo la sorgente.

Ma donde le acque sotterranee del Sàhara? Sarebbe forse troppo il dire che la scienza si trova innanzi a un mistero; ma il problema non è uno dei più facili della dinamica terrestre interna. Russeger attribuiva al Nilo il dono delle acque nel Sàhara Libiano. Per lui non solo l’Egitto, ma le oasi di Khargeh, Dokhar, Farafrah sarebbro doni del Nilo, che loro passerebbe l’eccesso delle sue acque. Le oasi poi della depressione nordica sarebbero per Russeger il dono delle acque, che cadono sugli altipiani della Cirenaica. Nessuna difficoltà per quest’ultima, ma per le prime Zittel insorse a sfrondare dell’aureola di padre il Nilo. Davano appoggio alla sua controtesi e la temperatura delle acque più alta della media dell’Alto Egitto, e le condizioni stratigrafiche delle oasi libiche per cui si potrebbe avere una affluenza da queste al Nilo, giammai dal Nilo all’oasi.

Checchè ne sia di queste opinioni geologiche, l’acqua esiste. Metereologicamente parlando il Sàhara parrebbe condannato ad essere in tutto, quello che gli arabi dicono della sua atmosfera, di fuoco. Ma l’acqua vi è. Lesseps ci dice che fra Biskra e il golfo di Gabes a 1200 metri dal mare, nel 1883, si scopri a 30 metri una polla d’acqua, che dava 8000 litri al minuto.

Non per nulla il Sàhara ha il suo sistema orografico. E Dio, ci dice nel più epico dei Salmi (103) «dagli alti palagi innaffia i monti e dai monti l’acqua scende». Martin, che descrive il torrente che esce dalla montagna, si allarga, diventa poi piccolo ruscello, perchè il terreno lo beve, e scompare e le cui acque poi l’arabo, scavando, ritrova sotto la sabbia, pare faccia un commento geologico al salmo biblico. Anche una volta i monti, che circondavano il Sàhara, dai cui fianchi escono torrenti che creano i deserti di erosione, come lo chiamò la prima volta Desor. I monti ci danno la più accettabile spiegazione delle acque sotterranee.

Queste parole ci determinano quello che Stoppani chiamò il sistema idrografia interna, cui si deve se il deserto può essere abitato, a cui l’Africa tenebrosa dovrà un giorno il suo incivilimento. Le condizioni climatologiche del Sahara sono tali, che favoriscono la evaporazione più la intensa e la più rapida. Se si potesse inondarlo da farne un lago navigabile da battelli, che pescano molto, in poco tempo sarebbe prosciugato, sì forte vi è la evaporazione. Innanzi a questo, che ha fatto la Provvidenza? Ha attuato il sistema di idrografia interna. Ha nascosto le acque, perchè il sole non le bevesse, fossero così conservate alla conquista dell’uomo. Di qui i pozzi di cui è così grande traccia nella Bibbia, nel commovente racconto di Agar, nella storia dell’alleanze di Abramo, nella vita di Isacco cui l’invidia dei Palestini ostruiva i pozzi del padre suo, e che hanno somministrato ad Isaia la vivida immaginazione per rappresentarci la letizia, la vita della Redenzione (35, C). In una parola, gli antichi conoscevano e scavavano i pozzi. Fazio ci ha conservato le parole di Olimpiodoro: «Nell’oasi del Sahara gli abitanti usano praticare degli scavi di 30 a 80 metri in circa dai quali spiccia in alte colonne un’acqua limpidissima».

L’Africa di domani

Se uno spazio maggiore ci fosse consentito noi vorremmo descrivere minutamente le condizioni attuali, del Sàhara, e ciò che presumibilmente esso potrà rappresentare nell’avvenire e potrà essere quando la civiltà avrà tutto compenetrato il continente nero. Pure per la mia esperienza, per la mia lunga permanenza in quelle regioni interessanti e meravigliose posso avventurar dei presagi, che sono basati su fatti ed osservazioni che qui non è possibile riferire.

Non tutto è nero nel nero continente. Possiede anzi risorse, che sono utilizzabili in larga scala. All’Ovest e al Nord ha il mare. Abbondanza alla periferia e nell’interno di acque sotterranee, che aspettano di essere chiamate per rispondere con slancio alla voce dell’uomo, e correre apportatrici di letizia e di vita. Oasi fertili, che sotto la mano di laboriosi e intelligenti operai centuplicheranno la loro attività, i loro prodotti. Per di più le ferrovie potrebbero con poco e presto, diventare una rete, che allacciasse l’Algeria, la Tunisia e la Tripolitania al Senegal e alle regioni bagnate dal Niger e dal Nilo.

Ho detto con poco e presto. Senza dubbio piene di difficoltà sono le costruzioni di ferrovie in regioni desertiche. Le difficoltà però che presenta il Sàhara, e diciamolo pure, la Tripolitania, a questo punto di vista, non sono così gravi come quelle che ebbe la Russia a combattere nell’Asia.

Le solitudini terribili fra il Caspio e Mery furono vinte. Si ricordi per giustificare il mio con poco e presto che i deserti asiatici si trovano in peggiori condizioni dei deserti sàhariani. Non hanno acque sotterranee, non fertili oasi e sono separati dal mare, il che vuol dire che sono lontani dai centri di pressione barometrica, poichè gli oceani si riscaldano meno, diventano centri di permanenti depressioni e i continenti sono causa di elevazioni forti nella temperatura. Il lavoro dell’uomo, nel Sàhara, ha per questo minori difficoltà da vincere. Avanti dunque. E’ tutta una visione di creazioni [p. 151 modifica]novelle, che si presenta allo spirito, che guarda in avanti. Perché l’Italia non avrebbe la missione di cooperare alla grande creazione? Essa per la sua posizione geografica, si allunga nel Mediterraneo, ammirabile strumento della Provvidenza, bacino unico al mondo, costruito per essere di aiuto a compiere i più grandi destini del genere umano. Per la sua etnografia deve sentire di essere la figlia di Roma, che dava la civiltà a quelle nazioni, che oggi imbastardite e guaste decadono e spariscono. Per il suo destino storico glorioso, essa ha la sede del Cristianesimo e del Papato, che è, nei secoli, la potenza insuperata e insuperabile della più feconda espansione, l’istrumento il più attivo di civiltà e di redenzione religiosa morale e sociale. L’Italia deve piantare le sue tende e la sua bandiera nel Sàhara. Deve, smesso le lotte infeconde, ingloriose e ruinose, acquistare la coscienza del suo destino; deve diventare non il persecutore di Cristo nelle sue istituzioni, ma il soldato di Cristo nelle sue espansioni. Allora il Sahara non sarà più Hammada-el-Kebir, sarà il monte verdeggiante, Giebel Akhdnar, sarà il ponte fra il Mediterraneo e l’Africa Meridionale, il ponte su cui passerà trionfante, l’eterno, il vero, il solo civilizzatore, il Cristianesimo.

da S. Detole.