Il buon cuore - Anno XIII, n. 05 - 31 gennaio 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 05 - 31 gennaio 1914 Religione

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Una grande figura storica

ed un periodo storico d’alto interesse


Un libro di supremo interesse e di altissimo valore storico è venuto in luce testè, per le stampe dell’Istituto italiano di arti grafiche di Bergamo, autorizzatovi dal Vescovò sul parere di un illustre revisore, che lo giudicò «opera ben condota e degna di ampia lode». E’ una monografia intorno al compianto Cardinale Felice Cavagnis, preceduta dalla introduzione storica alla Valle Brernbana, ha la prefazione di mons. Giosue Signori, Vescovo di Fossano, ed è dedicata al Cardinale Antonio Agliardi, Cancelliere di S. R. C. e Vescovo suburbicario di Albano. — L’autore don Francesco Vistalli socio attivo dell’Ateneo di Bergamò e membro della Sodetà storica lombarda, conferma in questo volume, ricco di ’ben cinquecentotrenta pagine di gran formato, la meritata fama di cultore accurato ed autorevole di studi storici e di critico sereno dei fatti politici cui quegli studi si riferiscono.

L’introduzione rivela le bellezze naturali, l’importanza storica, il carattere etnico della Valle Brembana, le lontane origini dei suoi abitanti, i mutamenti politici dei diversi periodi, sfondi di leggenda e di storia, il dominio della repubblica nerta valle, a ’distruzione di Brembilla, la Lega di Cambrai, la vittoria degli Alleati ad Agmadello, e pre

derie ed i saccheggi dei vincitori e la rivolta della Valle contro i saccheggiatori, i fasti dell’arte pittorica, dell’intaglio e della tarsia, le antiche famiglie illustri della Valle, fra le quali quella del Tasso immortale. Quanta storia maestrevolmente compendiata in quaranta pagine terse, lucide, convincenti!

La monografia comica con una sobria è precisa nota genealogica sulla famiglia Cavagnis; originaria di Cornalba ed antica dal secolo XV. Segue un interessante cenno di Bordogna, paese nativo del Cavagnis, e dalla descrizione di quei luoghi incantevoli il biografo prende le mosse per narrare tutta la vita del suo personaggio, nessun atto del quale gli sfugge; chè anzi tutti, egli registra e coordina con sano criterio cronologico, perchè tutti stanno a dimostrare l’integrità della coscienza, la saldezza del carattere, l’altezza dell’ingegno, la profondità della dottrina dell’insigne uomo da lui merilamente celebrato.

Le parti di cui consta il volume sono ben quaranta, con quattro appendici; non è quindi possibile esporle, e nemmeno riferirle tutte. Ci fermeremo un po’ più su quelle che ricordano avvenimenti di più intenso interesse generale, e rinnalzando la figura storica del Cavagnis nelle sue virtù e nei suoi dati salienti.

Il dovere dei cattolici nella società moderna

«Il 4 giugno 1884 — scrive il Vistalli — il Cavagnis veniva chiamato in particolare udienza da Leone XIII, il quale gli affidava in quella circostanza l’incarico di fare uno studio sulle relazibni teoriche e pratiche (cioè esemplari e attualmente praticabili) della Chiesa e dello Stato e sui conseguenti doveri dei cattolici della società moderna. L’incarico era oltremodo delicato e il Cavagnis per corrispondervi si concentrò tutto sua cameretta dell’Apollinare studiando, consultando, e il 22 luglio aveva pronto il Consulto che rimise al Pontefice il quale lo trovò di piena soddisfazione.

«In questo elaborato comincia il Cavagnis dall’abbozzare la società cristiana ideale (cioè stabilita alla stregua degli insegnamenti della Chiesa catto- [p. 34 modifica]ligia) tracciando i rapporti che secondo il diritto assoluto• intercederebbero tra le due supreme autorità religiosa e civile e viene quindi a spiegare i conseguenti doveri dei suGligliti. Ma alla società ideale contrappone la Società reale moderna, costituita secondo i principii del diritto nuovo, con tutte le libertà che ne derivano. Espone quale sia il giudizio della Chiesa su quei principii e su quelle libertà, poi egli mette il problema sotto il suo aspetto vero e arduo: a I cattolici costretti a vivere in società, loro malgrado costituite, come dovranno comportarsi?», e risponde: a in teoria devono conformare internamente ed esternamente il loro giudizio circa quelle società al giudizio della Chiesa. Ma in pratica? Che fare? Astenersi totalmente dalla vita pubblica? No, anzi agire. Accettare e favorire vosì come sono le società moderne, portare in esse un salutare risveglio, avversare il male e cercar di trasfondere per tutto lo spirito e la influenza cristiana, trarre dalla libertà che è a tutti concessa partito per il bene». Una sif fatta conclusione pienamente consona al nostro modo di vedere e di pensare non mancava di ardire, se si pensa che venne redatta in un tempo in cui l’isolamento della vita pubblica era la sola preoccupazione dei cattolici specialmente in Italia,

  • lin un tempo in cui la parola d’ordine era quella

soltanto della protesta».

ha politica ecclesiastica II Vistalli scrive:


Anzitutto questo abbiamo potuto assodare, che nessun rapporto ebbe il Cavagnis colla Segreteria di Stato al tempo del Card. Antonelli, come altresì al tempo del Card. Simeoni. Più tardi sotto Leone XIII conobbe per mezzo dell’Agliardi ed ebbe grande ammirazione del Card. Franchi. Ma allora egli era troppo assorbito nelle quesioni di scuola per potersi interessare dí politica. a Più tardi, morto il Card. Franchi, sempre per mezzo dell’Agliardi, entrò in relazione d’amicizia con Mons. Galimberti, professore a Propaganda; e concepì subito di questi la più grande stima, stima che gli ebbe poi sempre anche appresso a conservare. Forse questa stima e ammirazione così grande del Galimberti, in persona d’altronde, come il Cavagnis, poco facile agli antusiasmi, può di riflesso illuminare l’orientamento e l’iniziazione del Cavagnis in materia di politica ecclesiastica. Infatti il Cavagnis non poteva conoscere il programma al quale il Galimberti era stato fra i più assidui e più solerti collaboratori del Card. Franchi, al tempo in cui questi reggeva la Segreteria di Stato, e ne continuava, anche dopo la morte di lui, saviamente la politica. Alla fine del 188r, coll’approvazione del Papa, Mons. Galimberti insieme col conte Conestabile e con un egregio gentiluomo savoiardo, il barone Francesco d’Yvoire fondò il Journal de R.me Doveva essere questo l’organo internazionale della

S. Sede propugnante in fatto d’i politica le idee più moderate. a Disgraziatamente, per una serie di circostanze, che sarebbe fuor di luogo richiamare, il Journal tralignava per colpa di alcuni fanatici fino a non rappresentare più le idee del Papa, ma quelle dei nemici del Papa. Il barone d’Yvoire disgustato si ritirava allora, il Journal cadde completamente in mano dei fanatici i quali chiamarono a Roma il focoso Des Houx. Vista la piega che prendevano le cose, mons. Galimberti accettò la sfida dei violenti, fondò il Moniteur de Rome ad oppose al Journal de Rome una fiera resistenza. a L’obbiettivo del Moniteur de Rome era allora quello di sostenere la politica temperante di Leone XIII, oppugnata dagli intransigenti con a capo il Des Houx. Dalla parte del Moniteur si era subito spiegato l’Agliardi e con lui il Cavagnis. L’uno e l’altro prestarono la loro collaborazione al giornale la cui posizione fin da principio era avanzata contro i reazionari. Ci consta ancora che il Cavagnis si adoprò in tutti i modi per guadagnare l’animo dei suoi amici alla nuova Rivista. Fra quelli che furono accaparrati subito dagli inizi troviamo il bresciano D. Pietro Capretti già collega del Cavagnis nella scuola dell’Apollinare e più tardi professore di Ermeneutica nel Seminario di Brescia e direttore poi di ún nuovo Seminario da lui fondato. Questi à sua volta ottenne a quel periodico l’adesione del prof. Giacinto Gaggia insegnante allora nel Seminario e oggi Vescovo di Brescia. D. Giacirito Gaggia entrò in questo modo in buoni rapporti col Cevagnis e portò al Moniteur il contributo della sua penna valorosa. a Intanto il movimento d’idee che faceva capo al Moniteur trionfava. Mons. Galimberti in parecchie polemiche vinse il Des Houx e giunse perfino a far inserire, per ordine di Leone XIII, contro di lui alcune note di biasimo nell’Osservatore Romano. Venne finalmente un giorno anche la lettera del Card. Pitra all’Abate Carlo Brouwers. direttore dell’Anistelbalde di Amsterdam. Era un documento gravissimo ed audacissimo in cui si criticava apertamente la condotta di Leone XIII. E Leone XIII, al quale il Galimberti scrisse in quell’occasione — abbiamo un antipapa, habemus antipapam — diede al Vescovo di Porto e S. Rufina, mediante una lettera al Card. Guibert, Arcivescovo d’i Parigi, una solenne risposta che ebbe per conseguenza la morte del Journal de Rorne, l’allontanamento del Des Houx la dispersione del nucleo degli intransigenti fanatici. a Poco appresso a questo fatto Mons. Luigi Galimberti fu nominato Segretario della Congregazione degli AA. EE. SS. Non era la prima volta che Leone XIII premiava lo zelo e l’ingegno del distinto • prelato. Nell’affidargli un dì la cura di dirigere il Moniteur de Rome aveva detto al Galimberti: a Considererò quanto farete pel buon andamento del gior [p. 35 modifica]nale come fatto pel servizio della S. Sede» E mantenne la parola. Infatti fra il 1882 e il 1885 il Galimberti era stato nominato canonico della Basilica di S. Pietro, in Vaticano, prelato della Segreteria Papale, membro della commissione Congregazione dei Vescovi e Regolari e del S. Uffizio. Affidandogli poi la Segreteria degli AA. EE. SS. il Papa’ se lo associava direttamente nella trattazione dei più delicati affari politici e religiosi della Chiesa nel periódo di tempo in cui si maturavano gravi avvenimenti che dovevano o agevolare o seriamente compromettere i suoi rapporti coi vari Stati d’Europa, ma più specialmente colla Germania. Ora, il Galimberti pienamente corrispose alla fiducia in lui riposta, aiutando specialmente il Papà nel conchiudere il modus • vivendi colla Germania. Il Galimberti ebbe una parte principale in quei memorandi negoziati non solo in qualità di. Segretario della Congregazione degli AA. EE. SS. ma anche perchè di fatto egli fu per oltre un anno il vero Segretario di Stato di Leone XIII. Non ne ebbe il titolo, ma ne esercitò le funzioni perchè il Card. Lodovico facobini era in fin di vita e non potesia accudire agli affari della S. Sede. Il Cardinale ’dopo essere rimasto un anno e mezzo fra la vita e la morte, spirava nel mo-. mento in cui venne soppresso il Ku4’urkampf e si ristabilirono buone e normali relazioni fra la Germania e la S. Sede. • v` La conciliaíione che mons. Galimberti propugnava fra la S. Sede e i diversi Stati d’Europa, propugnava altresì per riguardo all’Italia. In ciò egli non faceva che continuare la linea di condotta tracciata dall’antico Segretario di Stato card. Franchi. E quella politica a base conciliativa, nei rapporti più specialmente coll’Italia, trovava validi cooperatori nei membri più cospicui del Sacro Collegio, quali il card. Gaetano Alinionda, arcivescovo di Torino, FranceSco Battaglini,.arcivescovo di Bologna, Gu-. glielmo Sanfelice arcivescovo di Napoli e più tardi negli Em.mi Placido Maria Schiaffino e Alfonso Capecelatro, quest’ultimo arcivescovo • di Capua, nonchè in moltissimi altri Arcivescovi e Vescovi d’Italia. Una siffata politica parve anzi che ottenesse ad un certo punto il suo epilogo in uno dei più grandi avvenimenti del pontificato di Leone XIII. Fu un giorno in cui al grande Pontefice parve propizia l’occasione di esprimere quello che fino allora sì e no aveva dissimulato, il voto o desiderio di una conciliazione coll’Italia. Per, esprimersi in questo senso egli coglieva un’occasione fausta, il Concistoro del 23 maggio 1887. Ed ecco senz’altro le testuali parole con le quali si profferiva: «Piaccia al Cielo che lo zelo’ di pacificazione onde verso tutte le nazioni siamo animati, possa, nel modo che dobbiamo volere, tornar utile all’Italia, a questa Nazione cui Dio con sì stretto legame congiunse il romano Pontificato e che la ’natura stessa raccomanda con particolare affetto al nostro cuore. Noi al certo, come ci avvenne di significare, da lungo tempo e vivamente desideriamo che gli animi di tutti gli italiani giungano ad

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ottenere sicurezza e tranquillità, e che sia tolto di mezzo finalmente il funesto dissidio col romano Pontificato, ma salve sempre le ragioni della giustizia della Sede Apostolica, le quali vennero offese meno per violenta opera di popolo che per cospirazioni di sette». Vogliamo dire che unica strada alla concordia si è quella condizione, in cui il R. Pontefice non sia soggetto al potere di chicchessia e goda libertà piena e verace come vuole ogni ragione di giustizia». Tutto il mondo sa bene come e perchè i paterni sentimenti del Papa non poterono attuarsi in Italia dove le ragioni della Santa Sede erano state e furono anche dopo, e tuttavia sono, offese «meno che per violenta opera di popolo che per cospirazioni di sètte». L’impero di queste non è nacor tramontato e gl’inviti generosi del Vicario di Cristo non possono esser seguìti dal popolo che pur li seguirebbe con entusiasmo se ne avesse piena nozione ed intera libertà. Gli Studi giuridici La natura del libro e la misura dello stile ch’è una fra le molte doti dell’autore, c’indurrebbero a riprodurlo tutto, come non ci permisero di lasciarne la lettura se non quando fummo giunti all’ultima pagina; ma i limiti di un giornale non sono quelli ’ di un volume, ed è forza rassegnarsi. Intorno alle opere date a stampa dall’illustre estinto il Vistalli scrive: Noi accennammo più sopra anche di talune pubblicazioni del Cavagnis in materia di diritto e specialmente delle Instztutionis Jais. Dobbiamo adesso dire,di,-altra opera egregia da lui pubblicata sotto il titolo: Nozioni di diritto pubblico naturale ed ecclesiastico. a Il fine di quest’opera, la quale usciva nel settembre 1887, è chiaramente indicato dall’autore nella prefazione alla stessa: a Le questioni più vitali del tempo nostro riguardano i rapporti dello Stato colla Chiesa. I migliori scrittori cattolici ed estranei ne hanno trattato di proposito, ed ogni giornale vi entra continuamente ispirato in un senso o nell’altro. E’ necessario ad ognuno avere idee giuste precise per giudicale rettamente dei principi, criteri, sistemi ed opinioni correnti, e per le quotidiane applicazioni di ordine esteriore, pubblico specialmente. Avendo già scritto di questa materia in latino con le approvazioni dei principali periodici scientifici, italiani ed esteri, ne presento ora in breve al laicato cattolico le verità fondamentali col desiderio di tornate di qualche utile perchè l’istessa verità detta in modi diversi più facilmente arriva a molti. Non è nello scopo di questo libro l’esaurire la materia, nè entrare fra le questioni agitate fra gli stessi cattolici, o non ancora concordemente risolte, come neppure il dare tutte le applicazioni che, dai principi stabiliti si potrebbero derivare; si lascia ad ognuno la soddisfazione di farlo all’occasione».

ha meritata ascensione’ L’ingegno, la dottrina, l’integrità di vita e l’incondizionata devozione alla Chiesa ed ài Papa, affret [p. 36 modifica]tarono. del Cavagnis agli alti.gradi della gerarchia e noi’ lo seguiamo nel lavoro delle.Congregazioni, nella..Segreteria degli Affffari Ecclesiastici straordinarii, nei suoi rapporti con i piú illuStri uomini della Chiesa, -nel patrocinio ben meritato di Leone XIII, nella elevazione alla Sacra Porpora, nel breve Cardinalato, nella fiducia e nell’amicizia.di Pio_ X per lui, nella grave ’infermità che precorse ascensione — la più vera ed eletta — .quella che con una morte preziosa lo rendeva. degno del Cielo. E mentre tutti questi periodi della vita di lui ce ne compiono.e,precisano la maschia figura, essi si collegano e concorrono a renderci viva e palpitante la storia della Chiesa in quel torno, rendendone sopra ogni dire interessante ed istruttiva la lettura. Al testo sono intercalate ben ottantotto illustrazioni, paesaggi, monumenti, ritratti, superbamente eseguiti. Procede una magnifica fotoincisione riproducente la fotografia del Cardinale con la Porpora solenne e la riproduzione d’una parte della Carta della -Provincia di Bergamo, eseguita nel 1818,. riproducente la Valle Brembana" con Taleggio, Lerina, Averara, Valtorta, e la Valle imagna con la Brembilla vecchia. Il.magnifico volume. costa soltanto dieci lire, e per tutte le ragioni ne. vale assai di più. cl!..„4

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Arte Cristiana Nell’ultimo ntimero di Arte Cristiana Francesco Margotti tratta uno déi più importanti e dei più interessanti problemi che si presentano in materia di arte sacra, sia all’artista che vuol produrre opere religiose, sia al critico che le deve giudicare. Chiunque si interessa al movimento che nei, nostri giorni si va agitando verso il rinascimento di un’arte profondamente e cristianamente religiosa, leggerà quell’articolo con vero piacere e con sodo profitto. E giacchè mi si presenta quest’occasione, vorrei’ altamente raccomandare a tutte le persone colte la splendida rivista Arte Cristiana che, sotto l’illuminata e ispirata direzione di D. Celso Costantini, ’si pubblica a Milano per cura della Società degli Amici dell’Arte cristiana. I dieci fascicoli che già sono usciti, con le loro splendide illustrazioni e con gli eruditi articoli che le accompagnano, fanno veramente onore non meno al dotto direttore della rivista, che alla solerte tipografia della Società di arti grafiche d’i Milano; e sono per ogni verso assolutamente degni di figurare tanto negli eleganti salotti delle signore, quanto nelle severe biblioteche dei dotti. Ritornando all’articolo del Margotti, non pretencid già di’ sunteggiarlo, ma’ semplicemente esorto a leggerlo quanti si interessano dí arte sacra. Qui vo glio piuttosto’ esporre.alla buona alcune considerazioni che la- lettura di quell’articólo mi ha suggerito, e che possono, secondo me, servire a completare, e in qualche punto forse a modificare, le interessanti conclusioni a cui giunge il Marciti.

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oco dopo.l’esposizione d’aree sacra avutasi a Parigi nel 1911. L. Dimier nella rivista l’Action franaise proponeva agli artisti e ai critici d’arte il seguente quesito a La pittura a soggetto religioso, deve ella essere diversa dalla pittura ordinaria, e specificatamente cristiana? Non è forse limitato così l’obbligo come la possibilità dell’artista sacro,, di porre a servizio del soggetto religioso le risorse comuni dell’artel) Oppure esistono delle risorse artistiche p‘xticolari sus6tate dalla fede?» Numerose pervennero le risposte all’interessante quesito, e recavano le firme di artisti e di critici d’arte eminenti. Alcuni di essi recisamente negavano. che ci debba o ci possa essere altra differenza fra arte religiosa e’ arte profana, fuorché la differenza del soggetto; ’bastando questa, secondo loro, a produrre la voluta differenza di impressione in chi ne contempla le opere, e supposta, come va supposta, la dovuta differenza nelle sue condizioni di animo. Però la maggior parte delle risposte furono in senso contrario. Pur ammettendo che la tecnica dell’arte è una per tulle le sue manifestazioni, vogliono che lo spirito in quelle sacre sia specificatamente religioso e cristiano, in certo modo spiritualizzato dalla fede e d’al sentimento divoto. a Per fare una pittura veramente cristiana», dice Raimondo Marcel, l’illustre storico di arte, a la prima condizione, la condizione essenziale è di avere l’anima cristiana». i Vi è un’arte cristiana», scrive il Fagus, il gran nemico del rinascimento pagano, a vi è un’arte cristiana distinta da tutte le altre, non nei suoi mezzi che sono comuni, ma nella sua essenza: questa risiede nella sincera rappresentazione del nostro umile involucro trasformato dalla presenza di Dio». a Al di là della perfezione tecnica dell’arte, alla quale si deve tendere», scrive Augusto Marguiller, e vi è una qualità primordiale ed essenziale, senza la quale non si potranno avere opere veramente cristiane; e questa naturalmente è la fede e il sentimento cristiano». Maurice Denis scrive: a Benchè non vi ’siano regole estetiche particolari per l’arte cristiana, è lo stesso come se ce ne fosero poichè l’arte cristiana esige dall’artista una sensibilità particolare coltivata secondo il dogma e la tradizione della Chiesa». Francesco Margotti si associa calorosamente a queste così schiette e nobili affermazioni; ma osserva poi giustamente che dalle molteplici risposti pervenute all’A ction tranfaise non risulta ancora sviscerato’ e messo in chiaro abbastanza un punto importante. Si ammette che una differenza specifi [p. 37 modifica]IL BUyiN LIJOIZE ca deve esistere fra arte religiosa e arte profana. Ma non si è ancora detto abbastanza chiaro in che cosa debba consistere questa’ differenza. Il punto è tanto più necessario trattarlo, in quanto che ci si presenta firì da principio nientemeno che, spaventosa obiezione, una recisa testimonianza di Michelagelo il quale ha scritto: «La buoa pittura è nobile e devota in sè stessa; imperocchè presso i saggi nulla eleva più l’anima e la trasporta maggiormente alla devozione, che la difficoltà della perfezione che si accosta a Dio e a Lui si unisce n. E’ spaventosa l’obiezione, perchè, se l’autorità del genio è sempre grandissima, quella di Michelangelo in fatto d’arte è decisiva senz’altro. Nondimeno il Margotti osserva bene che le parole stesse del grande artista li suggeriscono la risposta alla sua difficoltà. Michelangelo asserisce che per i saggi o’ gni pittura che sia veramente buona pittura è divota,,conducendo a Dio. Ma in ciò stesso si vede che egli richiede due condizioni. La prima è che colui il quale contempla l’opera artistica sia saggio, vale a dire uomo avvezzo alla riflessione, e quindi a considerare più che la bellezza e la verità delle cose espresse, il modo, l’arte e la difficoltà dell’esperiMeritarle; e questo è proprio dell’artista o del critico d’arte. La seconda è che la considerazione della difficoltà sovranamente vinta conduca a pensare a Dio e ad unirsi’ a Lui. E questo certo non si, verifica in qualunque contemplatore per quanto sia artista o critico fine, ma solo in colui che è saggio in tutta l’estensione del termine, vale a, dire è profondamente cristiano e sinceramente divoto. Ricordiamoci che S. Teresa trovò un giorno occasione, ce lo racconta essa stessa, di sollevarsi ai più sublimi gradi dell’orazione e di penetrare nelle più intime mansioni del suo castello, il contemplare i mille graziosi gingilli e le mille brillanti vanità, probabilmente non tutte in gran fatto artistiche, ché figuravano nel

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salotto di una dama spagnuola. E capiremo che in questo senso, evidentemente l’unico senso ovvio delle parole di Michelangelo, ogni opera di vera arte può dirsi opera divota. Molto affine a questo è il senso che si può attribuire alle parole così conosciute di John Ruskin: «Ogni vera arte è adorazione a; in quanto che ogni perfetta opera d’arte è perfetta imitazione della natura. E la contemplazione è sommamente atta a condurre chi è filosofo e cristiano al riconoscimento e quindi all’adorazione di Dio. ’Ma quando noi parliamo d’arte sacra, pretendiamo che essa sia sacra, cioè capace di portare alla preghiera e all’unione con Dio anche chi non è avvezzo a sottili riflessioni, anche chi non s’intende d’arte, anche chi non è filosofo, anche chi non è pronto a sollevarsi a Dio dalla contemplazione di qualsiasi opera di Dio. La lettura di un poema non è primamente destinata a insegnarci le regole della metrica: l’audizione di una sinfonia non ha per iscopo di svelarci i misteri del contrappunto: non ci si fa entrare in una basilica per dimostrarci i teoremi della statica: non teniamo l’orologio in tasca per imparare la teoria dello scappamento o quella del regolatore. E così nel contemplare un quadro badiamo anzitutto a quello che esso ci rappresenta; ed è solo l’artista che si fermerà a considerare l’arte della prospettiva, a sicurezza del disegno, la maestria nella fusione dei colori. E quindi non chiameremo religiosa l’opera d’arte se non quando essa sarà capace di alzarci a Dio per ciò che ci rappresenta, non già solo per l’arte della rappresentazione. Poichè scoprire questa nel monumento artistico è opera di riflessione che presuppone lunga educazione e lungo studio; e scoperta questa salirne a Dio non è che da mente già profondamente imbevuta di cristianesimo e altamente sollevata dalla materia.

(Continua)

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