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Il campiello/Nota storica

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Nota storica

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Atto V
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NOTA STORICA


Quale festa per noi e pei nostri vecchi, che l’udirono per la prima volta il 20 febbraio 1756 al san Luca (v. in questo vol. la Nota stor. a La D. stravagante) questo giocondo Campiello! ivi, all’intorno, quasi tutte modeste casette abitate da popolino; fanciulle e vecchie sporgentisi da l’altana, allorchè le invita a tentare la sorte con la sua Venturina il giovane mercantucolo Zorzetto; o le sentite ricambiarsi affabili saluti, quando non siano contumelie per le piccole immancabili gelosie; ivi dopo la baruffa, presto presto la pace, e rieccole tutte d’amore e d’accordo, sedute in giro all’aperto, intente al giuoco della sèmola; donde nuovamente occasione ad altri litigi, e a solleciti rappacificamenti. Tutte poi, va senza dirlo, oltre a scilinguagnolo sciolto, hanno il loro innamorato; o che vorreste, due bei tocchi di ragazze come la Gnese e la Lucietta vivessero senza uno straccetto di spasimante? Financo le loro madri ne sospirano uno, appena le avranno accasate, sebbene tutte due oramai vecchie ammuffate, l’una sorda, l’altra sdentata: donna Catte Panchiana, e donna Pasqua Polegana. «O non vi par di vederle le due grasse e rubiconde comari del soprannome grave e sonoro?» domandiamo anche noi con Attilio Momigliano, che pubblicò sul Campiello uno studio assai coscienzioso e sottile (ne l’Italia moderna 31 gennaio 1907).

E dove lascio, dopo queste macchiette tipicamente veneziane, la leziosa e ignorante Gasparina, che a darsi tono, pronuncia la lettera esse come fosse una zeta; l’imbronciato signor Fabrizio suo zio, dimorante con lei in una casa dello stesso campiello, dalla quale conta i momenti di sgomberare, seccato degl’incessanti schiamazzi di quelle femminucce; e dove lo sciupone di cavaliere forestiero, che invece ai cicalecci di costoro se la gode un mondo, e che a riassestare le smunte finanze, finirà per sposarsi la Gasparina, arcicontenta di diventare luztrizzima?....

Intreccio nella gaia commedia che Gino Damerini disse, e disse bene, «argutamente verista» (Gazz. di Venezia 9 febbr. 1908), punto; e punto caratteri, tranne quello di Gasparina che però, nota a ragione il Momigliano (op. cit.), non è una popolana del campiello. Protagonista si direbbe il campiello stesso, dove si svolgono graziosi episodi, uno più ameno dell’altro; sicchè in cambio d’una vera azione, si ha una commedia d’ambiente, o, se meglio vi piace, un quadretto di genere, per vigile e acuto spirito d’operazione degno di Pietro Longhi, con in più il movimento, il brio, il colorito insuperabile della scena goldoniana. Aggiungete un amore di dialogo breve, che non si lascia impacciare dalla versificazione (endecasillabi e settenari liberamente alternati e rimati); ma anzi ne acquista maggior concitamento, onde per una volta tanto non ci sentiamo di rimpiangere la prosa di fronte alla secchezza tortuosa che il metro suol sovrapporre alle snelle e spezzate andature della parlata teatrale. Finalmente, anche in questo Campiello, e mirabile, lo notò già Giacinta Toselli [p. 384 modifica](Saggio d’uno studio est. e stil. sulle comm. di G. p. 50, 51, 93, 102) «quanto la serena potenza comica di Goldoni si rifletta nel rapido ed efficace nostro dialetto, in cui era maestro», com’altri forse non fu nè sarà mai.

Ben naturale quindi, che il Campiello «assai bella produzione» venisse giudicata dal Gavi (Della vita di C. G. p 163); tra le più garbate e veneziane dal Paravia (Discorso Venezia 1831 p. 15, 16); delle più briose dal nostro Galanti (C. G. e Ven. nel sec. XVIII, p. 239); «une de ses bonnes pièces populaires» dal Rabany (C. G. Le Thèatre ecc. p. 362-3); e che ultimo di tempo, non certo di autorità, così ne ragionasse Domenico Oliva dopo l’accoglienza di plauso, cordiale e convinta, riportata dalla commedia al Quirino di Roma nel novembre 1907, interpreti squisiti Ferruccio Benini ed i suoi comici: «Il Campiello è una di quelle commedie del Goldoni che non solamente superano il suo tempo, ma superano anche il nostro. Il Campiello è tuttora una commedia avveniristica: non ha intreccio, non ha favola, non è che un succedersi di scene e di pitture, non è che un quadro della vita; ma in quel quadro come spazia l’occhio e come si respira! È necessaria l’arte del maestro, è necessaria l’umanità del maestro perchè il pubblico accetti e goda un’opera così nuova e così rivoluzionaria, in contrasto flagrante con tutte le regole, le abitudini, le convenzioni, le quali reggono il teatro. Se il teatro era giunto verso la metà del secolo decimottavo a essere il limpido specchio della realtà in cui viviamo, conviene concludere che, morto il Goldoni, cominciò un periodo di decadenza, che perdura. I successori del Goldoni non intesero l’immenso progresso che merce sua aveva fatto l’arte drammatica; nè oggi ancora s’intende, brancolando gli scrittori contemporanei nel falso, nel vuoto, obbliando le armonie e i ritmi del vero, bandendo dalla scena i vivi, popolandola invece di fantocci e di larve». (Giorn. d’Italia Roma 24 nov. 1907).

Ah se questo aggiustatissimo elogio avesse potuto leggere il signor conte Carlo Gozzi, che nel Campiello al pari che ne Le Baruffe chiozzotte, ne Le Massere, nei Pettegolezzi delle donne non sapeva vedere che trivialità (Gozzi - Opere Venezia Zanardi I, 80 e XIV, 85 e 121; e Memorie inut. Venezia Palese I, 279), quasicchè mettere in scena il popolo minuto fosse trivialità; e non appartenessero all’arte le arguzie, le risorse istintive e il brio nativo della vita popolare, fedelmente ritratta da uno spirito disposto a comprenderla ed a renderla con tutta la freschezza d’un intuito immediato! E riflettasi per giunta, insieme ad altro valente critico, Giulio Piazza, che il Gozzi medesimo «quando a proposito della sua fiaba Il Re cervo si vide costretto a scusare la trivialità dell’opera propria, non si peritò di scrivere col suo solito gesuitismo che “anche le trivialità quando sono poste con freschezza nel loro lume e quando l’uditorio si avvede che l’autore le ha conosciute e poste coraggiosamente e per proposito per quelle trivialità che sono, vengono applaudite risolutamente„» (Il Piccolo Trieste 4 Gennaio 1908). Per Goldoni soltanto avrebbero dovuto essere fischi!

La commedia invece fino dal suo primo apparire, come scrive Goldoni stesso, «piacque moltissimo» (Mem. II, XXXIII); e non solo a Venezia, ma anche a Milano dove «si è replicata tre volte a richiesta quasi comune» (V. la Premessa); alle quali due città possiamo unire Zara nel 1851 (V. il Dalmata 27 febbr. 1907) e Trieste e Roma e tante altre, dove la presentarono [p. 385 modifica]quei celebri capocomici che fecero del loro meglio e in passato e ai dì nostri per restaurare in Italia il gusto al teatro specialmente dialettale del nostro. Francesco Augusto Bon, Luigi Duse, Angelo Morolin con la sua indimenticabile Marianna, Ferruccio Benini ed Emilio Zago non abbisognano delle mie lodi; ma hanno diritto anche su queste pagine ad un’espressione sincera di riconoscenza. Non voglio anzi su tal proposito lasciare nella penna ciò che narra Fr. Liberati nella biografia dello Zago (V. I nostri artisti. Collez. dell’edit. Biondo di Palermo N.o 16): cioè che dopo una recita di lui, e sembra propriamente del Campiello, Eleonora Duse scrivevagli ringraziandolo di averle fatto riudire un lavoro del Goldoni, per lei di tradizioni carissime, e goduto di un divertimento così geniale, così fine che il buonumore le era durato per tutta la giornata dopo.

Il pubblico fece buon viso fìnanco alle riduzioni del Campiello; voglio dire a quella in prosa veneziana di Alessandro Zanchi (Cod. Cicogna 685 al Museo Correr), già preceduto da certo Camisetta che cita la Gazz. urb. veneta del 1794, n.o 91; e ce n’è pure una terza in dialetto romanesco di Luigi Randanini, col titolo: La Piazzetta, ricordata dal Ignazio Ciampi (Vita artist. di C. G. p. 52) e dal Sabatini (C. G. Cenni biogr. Roma Garroni 1907 p. 16).

Vorremmo ora stendere l’elenco di tutte le recite del Campiello datesi a Venezia e altrove; ma dobbiamo limitarci a quelle dei teatri veneziani dal principio del secolo scorso a tutto il 1910, e però anche queste siamo lungi dal pretendere che siano complete:

Nel 1802, 18 gennaio, al san Luca: Le Barufe delle vecchie veneziane, ossia La Venturina; certamente la riduzione dello Zanchi col titolo cambiato; e replica la sera dopo. (T. LI del Giorn. dei teatri di Venezia unito al T. mod. appl.) - Il 12 febbr. parimenti al san Luca: Il Campiello, ossia la Venturina (ibid). - E così:

Nel 1820. 9 febbraio (Bibl. teatrale di quest’anno).

Nel 1830, 18 dicembre al S. Benedetto, dalla Comp. Carlo Goldoni dir. da Bon, Romagnoli e Barlaffa: Il Campiello (V. sotto tale data la Gazz. di Venezia, e la stessa fonte per tutte le recite che seguono).

Nel 1843, 13 marzo con repliche il 14, 15 e 16 al t. Apollo si rappresenta Il Campiello dalla Comp. Veneta Goldoniana dir. da Luigi Duse; che lo recita di nuovo pure al Goldoni nel 1844 il 19 febbr. e il 19 die.

Nel 1855, 30 e 31 agosto al t. Malibran dalla Comp. Pascali e Covi.

Nel 1856. 13 genn. con repliche il 14, 15, 16, 17, 18, 19 al t. Camploy dalla Comp. Goldoni dir. da F. Lettini; che nel 1857 lo ridà nei dì 9, 10, 11, 12, 13 e 14 febbraio nello stesso teatro.

Nel 1858. 4 genn. al S. Benedetto dalla dr. Comp. Veneto-Goldoniana dir. da Cesare Asti; e l’11 agosto al t. diurno Malibran dalla Comp. dir. da F. Zocchi e B. Bonivento.

Nel 1859. 3 e 4 gennaio, e 17 febbr. al t. Camploy dalla Ven. Comp. dr. Carlo Goldoni dir. da Giorgio Duse e C. Vi destava il più schietto entusiasmo l’Alceste Duse-Maggi, moglie di Giorgio Duse. La stessa Compagnia

Nel 1860. 6 Febbraio al t. Malibran.

Nel 1862. 2 e 3 maggio al Malibran dalla Comp. Duse e Lagunaz diretta da Giacomo Landozzi. La stessa Compagnia Io ridà

Nel 1863 l’11 genn. il 12 e il 13 all’Apollo.

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Nel 1864 il 1,o 2, 3 e 5 marzo all’Apollo dalla Com. Comp. Nazionale.

Nel 1865, 14 febbr. all’Apollo dalla Dr. Comp. Nazionale dir. da Antonio Papadopoli.

Nel 1868, 6 e 7 sett. e di nuovo il 2 ott. al Malibran dalla Nuova Comp. Goldoniana, di cui era prima attrice Cecilia Bellotti-Duse.

Nel 1871, 12, 13 e 14 marzo al Caraploy dalla Comp. dir. da Angelo Morolin.

Nel 1872, 9, 10 e 11 genn. al t. Apollo da Angelo Morolin.

Nel 1873 il 23 genn. al t. Rossini dalla Comp. V. Udina dir. da F. Bertini.

Nel 1874, 21 genn. di nuovo al t. Apollo dalla Comp. Goldoniana di Angelo Morolin.

Nel 1878, 1 e 2 marzo al t. Goldoni da Angelo Morolin.

Nel 1884, 10 maggio al t. Goldoni dalla Comp. Venez. E. Zago e C. Borisi dir. da Giacinto Gallina. E dalla stessa Compagnia

Nel 1894, 20 e 21 genn. sempre al t. Goldoni.

Nel 1908 8 febbr. al t. Goldoni dalla Comp. Venez. di Ferruccio Benini; segnalandovisi lo stesso Benini, un cavaliere perfetto; la Laura Zanon-Paladini nella parte di donna Pasqua; e la Dondini Benini, una Gasparina dalla zeta troppo accentuata, ma piena di grazia e di garbo.

Il Campiello fu dedicato da Goldoni ad Antonio Manno Alvise Priuli, per le cui nozze con Lucrezia Manin aveva già scritto il poemetto: Il Burchiello, ove rammemora i giorni felici trascorsi nella villa deliziosissima del veneto patrizio a Bagnoli; ed inoltre una cantata: L’Oracolo del Vaticano pel cardinalato del fratello.

C. M.


Il Campiello uscì la prima volta nel novembre del 1758 a Venezia, nel t. V dell’ed. Pitteri. Fu anche impresso a Bologna (Corciolani V, 1739), a Torino (Guibert e Orgeas V, 1775), a Venezia di nuovo (Savioli IV, 1773. e Zatta cl. 3, IV, 1792), a Lucca Bonsignori XXVII, 1791), a Livorno (Masi XXXI, 1793) e forse altrove nel Settecento. Non si trova nell’ed. Pasquali. — La presente ristampa seguì principalmente il testo dell’ed. Pitteri curata dall’autore. Valgono per la grafia del dialetto veneziano le avvertenze che si leggono nella prefazione al primo volume e in fine della nota storica della Famiglia dell’Antiquario (vol. III). Le note a piè di pagina, segnale con cifra, appartengono al compilatore della presente edizione.

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