Il cedro del Libano/Trasloco

Da Wikisource.
Trasloco

../Ferro e fuoco ../Caccia all’anatra IncludiIntestazione 1 marzo 2020 100% Da definire

Ferro e fuoco Caccia all’anatra

[p. 45 modifica]

TRASLOCO

[p. 47 modifica]

Appena arrivati nella nuova casa, di loro proprietà, mentre gli operai scaricavano i mobili e li collocavano secondo l’ordine dei padroni, i bambini furono confinati, del resto con loro piena soddisfazione, nel giardino chiuso, come un’uccelliera, da un’alta rete metallica. Era un pezzo di terreno ancora nudo, con solo un platano superstite del campo nel quale erano state costruite le nuove case: i bambini, quindi, due gemelli di quattro anni, robusti e testuti, e una pupa di tre mesi, nella carrozzella che, tutta veli, coperta di seta a vivi colori, trine e nastri, pareva una cesta di fiori, potevano completamente starci al sicuro. Ad ogni buon fine la carrozzella fu fissata accanto alla ringhiera di ferro della scaletta che dalla terrazzina della sala da pranzo scendeva in giardino: e ogni tanto il padre felice, giovane ancora ma già un po’ calvo e col viso affaticato, si affacciava alla balaustra per sorvegliare i bambini e godersi un po’ della loro gioia.

Era davvero felice anche lui: aveva risolto finalmente il problema quasi centrale della sua modesta esistenza, e poco non gli sembrava: avere una casa sua, un nido comodo e pieno di [p. 48 modifica]luce e di sole, dal quale nessuno più poteva scacciarlo; ed anche uno spazio libero, che dalla terra al cielo serviva solo per il respiro, il moto, la felicità dei suoi bambini. Ed ecco che essi già se lo godevano fin da quel momento, allegri liberi come le farfalle di maggio; persino la pupa, nei suoi panneggiamenti sontuosi, faceva smorfie di sorrisi e gorgheggiava guardando il cielo con gli occhi languidi di civettina quasi cosciente, mentre le manine irrequiete tiravano i nastri del corpetto, e pareva li aggiustassero appunto con civetteria.

— Proibito toccarla anche con un dito: e state buoni, e non fate inquietare la mamma, che è già tanto stanca, — raccomandava il padre, prima di dare una capatina all’ufficio — altrimenti sapete cosa vi aspetta.

Essi lo sapevano bene; quindi si contentarono di mettere in attività il loro trenino, lungo il viale che sembrava proprio una strada ferrata in costruzione: e, con la scatola e alcuni stecchi, costruirono la stazione: si davano anche qualche spintone e qualche graffio, ma non protestavano per non richiamare l’attenzione della mamma, già davvero molto stanca e irritata, ed evitare quindi, al ritorno del padre, «ciò che li aspettava». Ogni tanto, adesso, era lei che si affacciava alla terrazzina, col suo bel grembiale azzurro dall’ampia saccoccia, i capelli corti lucidi come il rame, gli occhi turchini un po’ chiari di quella luce verdastra di quando era nervosa: e bastava un suo richiamo per mettere in soggezione grandi e piccoli; ma quando verso il tramonto, urgendo nelle camere la [p. 49 modifica]sistemazione delle cose di maggior importanza, la sorveglianza di lei e della serva si rallentò, i gemelli ne profittarono per accostarsi alla carrozzella e tentare qualche distrazione nuova. La sorellina, anche, li attirava, specialmente quando pareva che, mostrando la lingua e prendendoli forte per un dito, si beffasse di loro, ma era la carrozzella, così lucida, mobile, viva, col mistero dei suoi congegni e col ripostiglio sotto il materassino, che, a poterla avere un po’ in loro possesso, li avrebbe soddisfatti come un miracoloso giocattolo. Soprattutto il ripostiglio era per loro una fonte di vivissima tentazione; la mamma, quando andavano ai giardini, ci ficcava dentro tante cosette, pannolini, la scatola del borotalco, involtini, persino il sacchetto delle caramelle e qualche libro con le figure: come non pensarci dunque?

Il diavolo, poi, quel giorno, parve favorirli in modo veramente infernale. Poichè d’un tratto la serva venne giù di corsa, prese la bimba e lasciò la carrozzella in loro completa balìa.


Era l’ora in cui la giovine mamma dava il latte alla pupa: ed era l’ora in cui, per quanto, come in quel giorno, stanca, scontenta e disorientata, ella si sentiva improvvisamente felice. Era, invero, una felicità quasi fisica, press’a poco simile a quella della bambina che le succhiava avidamente il seno. Le sembrava che col latte se ne andasse dal suo sangue una linfa che era di più; e si sentiva più leggera, dopo, o almeno meno inquieta, meno sofferente.

Anche adesso la pupa succhia, geme, ronza [p. 50 modifica]come un’ape; le preme il seno con la manina fredda, guarda di sotto in su con gli occhi velati. E se si stacca un momento sorride: è un sorriso perfettamente inconscio, un movimento dei muscoli; la madre però s’illude, credendolo un vero sorriso, magari interessato, ma ad ogni modo rivolto a lei; e se ne illumina tutta, e, a sua volta riconoscente, presa da una vaga ebbrezza, parla alla creatura, con un linguaggio adatto, tutto diminutivi, gorgheggiamenti, balbettii: un gergo da uccelli, quando portano il pasto ai nati del nido. Eppure non è del tutto innocente, quel chiacchierio; anzi a volte si fa amaro e dispettoso, e confida alla bambina i presunti torti del padre. Di tutto il disordine intorno, di tutte le cose che andavano male, il colpevole, al solito, era lui; si era intromesso anche nel modo di disporre i mobili nella camera loro da letto, collocando il cassettone in piena luce, mentre lei lo avrebbe voluto nell’angolo in penombra. Almeno del cassettone e dei suoi ripostigli avrebbe dovuto essere padrona lei: no, egli la trattava come una bambina, pretendeva che non avesse le sue robe nascoste, i suoi segreti. E invece, come tutte le donne anche più vecchie di lei, ella aveva i suoi ricordi, i suoi cimeli: il suo passato era quasi di ieri; come potersene disfare tutto in una volta? D’ieri la sua fanciullezza, i giorni di povertà arricchiti però dalle illusioni d’amore; d’ieri il romanzo stroncato dalla necessità familiare di un matrimonio di convenienza: come non lamentarsene, almeno con la figlia? Fuori, i gemelli non davano segno di vita; d’improvviso però uno di essi strillò, anzi invocò [p. 51 modifica]l’aiuto della mamma, poi tacque. Ella aveva trasalito nervosamente, senza potersi muovere nè mandare la serva che lavorava al piano superiore.

Del resto quando i bambini erano al sicuro, le loro questioni, le zuffe, i lamenti e le folli gioie non l’inquietavano eccessivamente. La sua sola minaccia era: «Adesso viene papà e vi aggiusta lui». Si sarebbe detto che, almeno riguardo a questo, lasciasse a lui tutte le responsabilità della loro educazione: e in fondo davvero le sembrava che essi fossero più figli del padre che suoi. Forse perchè non li aveva potuti allattare; forse perchè nati dall’unione con un uomo che le era quasi estraneo e indifferente, o perchè il loro nascere l’aveva fatta quasi morire.

Con la pupa era altra cosa: una cosa tutta loro, di loro due, unite dalla stessa carne femminea, dalla stessa fragilità, forse dallo stesso destino.

— Sicuro, sicuro, sicuro, sicuro....

La pupa si stacca di nuovo dall’acino del seno materno, e di nuovo sorride: pare capisca la canzone intima che le sfiora il viso; e chiude gli occhi, sazia, beata.

Anche la madre ha una sensazione come di un canto che la invita a dormire: si placa, finalmente, i pensieri si raddolciscono: adesso le sembra che la casa sia già in ordine; ed è la casa loro, dove c’è tempo per finire di sistemarsi, di stendersi, di riposarsi per tutto il resto della vita. Non occorre più neppure uscire, portando in giro, attraverso i pericoli delle strade, [p. 52 modifica]il proprio fastidio, la maschera della serva travestita da bambinaia di stile, la carrozzella impegnativa, il segreto della propria scontentezza.

Questo senso di riposo le diede un momento quasi di sogno: il platano attraverso la vetrata, vibrava come un’arpa, tutto d’oro sull’oro dello sfondo: il loro platano, vivo, amico, protettore. Sì, le parve che l’albero avesse qualche cosa di paterno; la cullava, le prometteva ombra, frescura, salute: e per la prima volta anche lei sentì la gioia della proprietà, il respiro di chi, dopo un camminare malsicuro per campi altrui, è arrivato alla sua terra e vi si trova in pace.

Ma sentì che ancora qualche passo doveva farlo: mettere in ordine i cassetti, chiudere i ripostigli, seppellire i suoi piccoli segreti.

— Bisogna metter dentro anche la carrozzella: è ora — disse alla bambina già addormentata, asciugandole il latte dalla bocca. E andò per rimetterla nel suo nido, ma dalla terrazzina vide uno spettacolo che non la fece gridare solo per riguardo alla curiosità della serva.

I bambini avevano messo sottosopra le coperte e il materassino della carrozzella, e dal ripostiglio traevano gli oggetti ch’ella vi aveva nascosto per metterli al sicuro durante il trasloco e richiuderli poi di nuovo nel cassettone. Ma nell’accorgersi ch’ella era più mortificata di loro, e quasi per un istinto di aiutarla a scusarsi, essi stessi le andarono incontro, porgendole un pacchetto di lettere e una busta di fotografie.

— Libro, — disse uno, guardandola sfacciatamente; e l’altro aggiunse: — figure. [p. 53 modifica]

E attesero entrambi ch’ella dicesse: — Adesso vi aggiusterà papà.

Ma ella metteva il libro e le figure nella sua tasca profonda, e pensava che era necessario bruciarli, adesso che le dita dei suoi figli li avevano messi definitivamente all’indice.