Il diavolo nella mia libreria/Pietro Metastasio mi parla

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Pietro Metastasio mi parla

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Dolce morale Italia, Italia!
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Pietro Metastasio mi parla.

Erano sei o sette volumi del signor abate Pietro Metastasio. Questi volumi erano in sedicesimo, tutti uguali, legati con un cartoncino che dovette essere stato grazioso, perchè era tutto impresso a fiorentini; ora tutto stinto, tutto sgualcito; e i caratteri della stampa, come invecchiati!

Era il poeta dei poeti di quel tempo; e c'è una prefazione dell'abate Bettinelli che avverte il pubblico italiano ad avere pazienza per il seguito dei volumi, perchè il signor Metastasio ha tanto da fare a Vienna.

C’è anche il ritratto del signor Metastasio, [p. 162 modifica] con quel bel faccione sbarbato, con la sua bella parrucca, i suoi bei merletti davanti.

Mi guarda sorridente, e par che dica:

    Se a ciascun l'interno affanno
Si leggesse in fronte scritto.
Quanti mai che invidia fanno
Ci farebbero pietà.

«Andiamo, via, signor Metastasio, che lei è stato felice di dentro e di fuori; senza un mal di testa sino agli ottant'anni. Figlio di un pizzicarolo, nato in una lurida via di Roma, morire in Vienna fra il compianto delle arciduchesse, senza contare le belle donne che le si offersero quando lei era giovane! E non è piccola fortuna per un poeta vedere che qualche suo verso vive popolare ancora, dopo tante vicende»

Ma a lungo andare quella lettura del Metastasio mi disgustò.

«Ah, falso poeta — esclamai — cantore di falsa patria, di falso eroismo, di inzuccherate virtù! E anche l’amore, tutto un gioco e uno scherzo, come la palinodia a [p. 163 modifica] Nice. Falso amore, falso mirto, false lacrime, falsi sospiri!».

Io stavo per buttare anche il Metastasio sul letamaio, quando mi parve che egli sorridesse di un largo sorriso tra i bei cannelloni della parrucca, e parea domandarmi: «Perchè?».

Egli sedeva ad un grande organo, e premendo le mani adorne di bei pizzi, faceva dalle lucide canne uscire nitidi suoni. Mutava registro, ai sospiri alternava la gioia. Una dolce sonnolenza, un caro languore si stendea per i boschetti d’Arcadia. Era la canzonetta, ma questa musica pur la capivano a Vienna come a Parigi.

Erano eroi di cartone dorato, ma pure era il dono postremo del genio di Roma.

Era la virtù degli imparruccati signori di Vienna, signori antipatici; ma anche il magniloquente Danton e il virtuoso Robespierre non sono simpatici. [p. 164 modifica]Il vecchio poeta ora se ne va tristamente. Come sono avvizziti i suoi versi! Non sa neppur lui dove si rifuggirà. Si trascina dietro tutta la sua compagnia di burattini; i romani con la corazza di cartone, i greci con la spada di legno dorato, i pastorelli d’Arcadia con le calzine bianche, Nice tutta incipriata. Piangono. Hanno paura. Il filosofo Herder ci ha guinzagliato dietro tutti i cani feroci del romanticismo tedesco. I boschetti d’Arcadia sono scomparsi. Si muovono le nere foreste del nord. Nice si asciuga le lacrime. I sanculotti la circondano e minacciano di scoprirle le vestine come alla contessa di Lamballe.

Chissà se forse mai
Ti sovverrai di me.

Profumavano di vecchie gaggie questi versi, e non è facile dimenticarli.

«L'ora di gioia che vi ho dato io, nessuno ve la darà più», mi dice il vecchio poeta. [p. 165 modifica]«Ma era per pochi privilegiati, signor Metastasio».

«E ora datela a tutto il popolo sovrano. Ma se il frutto è amaro, almeno non ve ne lamentate».

E non buttai sul letamaio il Metastasio, per amore di Nice, e anche un po' per amore della Verità.