Il figlio di Grazia/XV

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XIV XVI

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Seduta accanto alla finestra verso la piazza, Dorina guardava i contadini che tornavano dai prati colle gerle cariche dei primi fieni tagliati. Da molte ore ella era là attenta. Natale era passato e ripassato con carichi così grossi che lo facevano traballare sulle gambe robuste, ma mai una volta il suo viso s era voltato verso l’albergo, mai una volta i suoi occhi avevano guardato la piccola finestra di Dorina.

Ella ebbe due o tre volte la tentazione di fargli un cenno colla mano o di sventolare il fazzoletto, ma fu presa al momento di farlo, da una gran vergogna: — no no, non si deve fare. Se non mi guarda è perchè non pensa a me, e allora direbbe che sono una sfacciata.... Non capisco. È troppa malinconia di venire qui con me che sono malata. — E il cuore le si gonfiava di dolore.

Anche Natale si sentiva il cuore grosso. Oh egli [p. 114 modifica]sapeva bene che la povera Dorina lo aspettava, ch’ella era là alla finestra! la vedeva anzi colla coda dell’occhio e provava un gran disgusto di sè stesso come se commettesse un’ipocrisia. — Sono un vigliacco — pensava — perchè non la saluto? perchè non vado a trovarla? Era così contenta, e tutti i suoi sono così buoni con me! Oh, non devo darla vinta a quella vipera.... —

Ma la vipera era ancora al suo fianco e aveva un nome ch’era sacrilegio portasse: Innocente. — Guarda! guarda la tua innamorata! butta un bacio alla tua innamorata! — diceva.

Vi sono parole che profanano i più puri pensieri. Somigliano al tocco che toglie alle ali della farfalla la sua polvere lucente, che fa ingiallire i candidi petali della magnolia o della camelia.

L’amore rivela tutta la sua santità soltanto a quelli che lo provano davvero. Ai ragazzi, ed anche agli uomini che non lo conoscono, esso sembra un sentimento vano e non nobile. Per questo Natale s’era sentito offeso dell’insinuazione di Nocente e più ancora gli parve offendesse quella povera creatura infelice.

«Sei sempre stato sciocco e sempre lo sarai!» disse e strinse i pugni per resistere alla tentazione di mandarlo rotoloni lui e la sua gerla.

Ma intanto le parole erano state dette, e Natale non potè più voltar il viso verso la finestra dell’albergo senza arrossire vivamente.

Un giorno Giacolino gli disse: — la mamma non sa più cosa pensare di te: vieni a trovarci, — ed egli s’incamminò dopo pranzo, ma gli parve che da tutte le finestre della piazza vi fosse gente che guardasse a lui e ridesse, e svoltò da un’altra parte. [p. 115 modifica]

Oh, come ebbe vergogna di sè quando si trovò solo nei campi! — ecco, io che pregavo il Signore di insegnarmi a far il bene: mi lascio tirar fuori dalla strada buona da una cattiveria di quel mostro. Bel compenso che egli mi dà, proprio in questi giorni che mio padre ed io li aiutiamo a portar giù il loro fieno! Chi sa se ha ripetuto quella sciocchezza anche a Raffaella! Ieri era tutta allegra, oggi aveva invece la faccia seria. Sfido io! Nocente gli fa credere quelle stupidaggini.... Ma io non devo badarvi. Ho promesso alla mamma di Dorina di andar a distrarla un poco. — E tornò indietro.

Dorina intanto non guardava più fuori; si era voltata verso la stanza non volendo più vedere Natale che non si ricordava più di lei, e la stanza le pareva buia dopo aver fissato così a lungo la piazza soleggiata. Fu presa allora dal desiderio di scendere nella cucina che guardava verso i prati ed era a quell’ora piena di sole. Chiamò la mamma che passava davanti all’uscio con una montagna di lenzuola sulle braccia ed ella disse: — vengo! — ma invece non tornò. Era affaccendata a preparar le camere dei forestieri che sarebbero arrivati l’indomani e le usci di mente la chiamata della figliola.

Passò la cameriera nuova, ma Dorina non osò chiamarla, perchè le faceva soggezione la sua pettinatura cittadina tutta a riccioletti. Allora chiamò Berta, sua cugina, che sbrigava le facende grosse, ed essa che stava portando su l’acqua nelle camere, posò i secchi sul pianerottolo, tirò il fiato, e rispose: — Che cosa vuoi fare dabbasso? stanno lavando i pavimenti e non sapresti neppure dove collocarti. Abbi pazienza fino all’ora della cena; ti porterò giù io. — [p. 116 modifica]

Dorina rimase ancora più malinconica ad aspettar la sera, sentendosi abbandonata, sembrandole che nessuno più pensasse a lei. — Ecco, anche il babbo è passato via di corsa sulla scala e non ha neppure messo dentro la testa. Oh come sono disgraziata: non c’è nessuno come me! — e si mise a piangere sommesso, colle mani giunte sotto il grembiule, lasciando che le lagrime le cadessero in grembo. Tutta assorta nella sua infelicità, non badò a un passo che saliva la scala: a un tratto vide Natale sulla soglia dell’uscio!

«Come va, Dorina? è un poco che non ci vediamo.... Cile c’è? mi pare che hai pianto: perchè hai pianto? ti senti male?»

«No, sto bene.»

«E allora, che dispiaceri hai?»

«Oh Dio! che dispiacere ho, mi domandi! vedi bene se posso essere allegra....» e sporse le mani allargando le braccia sottili quasi a mostrare la sua povera figurina.

«Ma non è una ragione di piangere. È come se uno che cade nell’acqua si mettesse a piangere. Non serve a nulla; bisogna che tenti di venir fuori.»

«Io non capisco che cosa vuoi dire....» disse arrossendo Dorina. «Forse che io posso guarire se lo voglio?»

«Guarire del tutto, no; ma puoi migliorare, potresti almeno essere più allegra.»

«Oh come sei cattivo a dirmi queste cose, Natale!» esclamò la fanciulla con voce di pianto. «Come si fa a trovar l’allegria, quando si è così disgraziati? Tu non puoi sapere quello che provo io, perchè sei il ritratto della salute.» [p. 117 modifica]

«Oh,» fece Natale con un gesto largo: «ma io so che cosa tu devi provare.»

Dorina lo guardò con maraviglia. E vero — pensò — lui capisce tutto — e una gran fede in lui le riempì l’anima, rasserenandola.

«Dimmelo dunque come devo fare per essere allegra.»

Natale non aveva fatto un passo innanzi dalla soglia: «Ma, mi pare, che se tu pensassi meno ai tuoi mali.... se tu pensassi a tante altre cose e a tanta altra gente.... Io non so, insomma, ma mi pare che ci riuscirei.»

«Oh Dio, se tu mi volessi aiutare!»

«Aiutare?»

«Ma sì, dimmi che cosa devo fare! vedi, ti prometto qui, davanti alla mia Madonnina, che qualunque cosa tu mi dirai, io lo farò.»

«Lo farai?» e gli occhi larghi di Natale brillarono nel ricordare le dolci parole della mamma di Dorina, che non aveva mai dimenticate.

«Allora tu domani scendi quando arrivano i forestieri.»

«Oh Natale! ma ci saranno bambini; lo so già che ci sono tre bambini....» balbettò Donna spaurita.

«Ma tu scendi ugualmente» ripetè in tono calmo e deciso Natale. «Tu sei malinconica perchè stai sempre colla gente grande.»

Oh non posso.... non posso veder bambini.... se tu sapessi che male provo!» supplicò la povera infermina storcendosi le mani.

«Lo so,» rispose Natale facendo un passo innanzi, «ma ora lo devi fare perchè l’hai promesso.»

Ella lo guardò un momento senza parlare, fattasi [p. 118 modifica]a un tratto calma: «E dici proprio che diventerò allegra?»

«Sì, ma devi far qualche cosa, non star lì tutto il giorno a mettere in fila i tuoi santini. L’acqua ferma marcisce. Addio, non ho tempo di fermarmi: dobbiamo mettere a posto il fieno.»

«Quanto fieno avete fatto quest’anno!» disse Dorina per trattenerlo.

«Oh non è tutto nostro! abbiamo portato giù anche quello dei Caprezzi perchè Savina è malata e Marianna, povera donna, non par più lei dopo ch’è morto suo marito.»

«Oh, ma con tutti quei figlioli!»

«Che! non ha più che le ragazze e quel bel mobile di Nocente: i due primi, quel che ha moglie e l’altro, sono in Francia sui lavori, il terzo è in Africa. Ci fosse almeno ancora al mondo il povero Peppino! tu non l’hai conosciuto.... quel delle capre; viveva tutto il giorno sulla montagna: e anche quando era giù, non parlava mai; zufolava sempre. Ma io devo andare: addio Dorina: fatti portar giù, domani!»

Di nuovo la stanza parve a Dorina diventata buia quando scomparve la faccia luminosa di Natale; come allora che aveva guardato lungamente la piazza soleggiata.

L’ultima parola di lui le risonava nell’anima:

— Domani!

— Domani devo scendere incontro ai forestieri.... Oh è troppo presto! non ho avuto il tempo di prepararmi — e tentava lottare dentro di sè, ma sentiva una volontà più forte della sua che le imponeva di farlo. Non pensava neppure che si potesse disubbidire a Natale. Perchè? Disubbidiva pure alla mamma, [p. 119 modifica]aveva disubbidito a quel bravo dottore, quel professore d’Università che V aveva visitata anni addietro; aveva disubbidito perfino al signor Curato! perchè ora seguiva così gli ordini di Natale?

Ma Natale era per lei il perfetto, era l’infallibile, quegli per il quale non si ha che ammirazione, che si segue ciecamente, che può far di noi ciò che vuole.