Il giuocatore/Nota storica

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Nota storica

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Atto III
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NOTA STORICA

Una lettera del Goldoni al D’Arbes in data 13 agosto 1743 (F. Bartoli, Notizie istoriche de’ comici italiani, Padova, [1781], I, pag. 46) serba ricordo d’un sonetto che il commediografo stava componendo per il Giocatore. Forse il Joueur del Riccoboni, scenario caro ai comici dell’arte (riassunto in Le nouveau thèâtre italien ecc. Paris, Briasson, 1733, I, pagg. 101-106), oppure altro soggetto, d’altri o dello stesso Goldoni, che n’avrebbe poi tratto il presente lavoro? Nessuna prova conforta più l’una che l’altra di queste congetture.

Nelle commedie e nei drammi per musica del Nostro i giocatori, colti alla spicciolata o in gruppi, al Ridotto, per le bische o nelle case de’ privati, sono legione (E. Maddalena, Giuoco e giocatori nel tea. del G. - Resoc. annuale dell’Acc. di commercio, Vienna 1898). Già nell’Uomo di mondo, giuoco, giocatori e bari hanno gran parte nell’intreccio. Non che l’animosa campagna del poeta, il quale pensava e allo svago e alla salute morale de’ suoi spettatori, sortisse effetto benefico alcuno per i costumi di Venezia. Nel 1756 si giocava sfrenatamente d’azzardo proprio nei teatri (Giov. Dolcetti, Notiziario storico. Bollettino musicale, 1906, n. 15) e ancora nel 1767 c’erano a Venezia quattro tavolieri di bassetta e ottanta di faraone. A memoria sua il Gradenigo (Notatori), non ricordava la gioventù così invasata dal vizio (V. Malamani, Il carnovale di Venezia nel secolo XVIII, N. Antol. 15 febbr. 1896, p. 698; e in generale sul giuoco a Ven.: Molmenti, La storia di Ven. nella vita privata, Bergamo, 1908, III, pagg. 241-244).

Di tutti i giocatori del teatro goldoniano questo Florindo, che dovea essere il principe della viziosa brigata, fu il più sfortunato, e sulla scena non patì meno disdetta che al tappeto verde. «... el zogador... no ha piasso gnanca un figo» narra l’a. nell’Epilogo alle sedici (F. Foffano, Due docum. goldoniani, N. Arch. Ven. 1899, tomo XVIII) e gli par che qualcuno con tardo consiglio gli dicesse «trar dovevi sotto el banco quel tal vostro zogador». Anche le Memorie (II, c. 9)Memorie di Carlo Goldoni, quasi senza rimpianto, notano: «piece tombèe sans ressource». Eppure l’insuccesso era stato opera (in questo il Goldoni s’appone) dei molti che si seccavano vedendo messo in berlina il loro passatempo prediletto. Aveva avuto miglior ventura il giocatore Eugenio della Bottega del caffè, certo perchè il lavoro non poggia tutto sulle sue spalle. Le Mem. non danno l’analisi della commedia, nè s’indugiano sul suo valore artistico. Ma pregi ne ha, segnatamente al primo atto, che è tutto un’esposizione mirabilmente condotta; e pur nel suo complesso il lavoro è tale da lasciarsi addietro cinque almeno delle sedici, perchè in quanto commedia di carattere superiore di molto all’Adulatore e all’Avventuriere, come, per fattura e interesse, la vince sull’Incognita, sul Poeta e sul Cavaliere di buon gusto. Con questo non va taciuto che le scene insulse e disgustose tra Gandolfa (la decrepita pulzella, cui per distrazione l’a regala una figliuola maritata [cfr. A. I, sc. VII e A. II, sc. XII]), e il suo cicisbeo formano quella fatale zavorra, sotto il cui peso dormono un giusto sonno troppe commedie goldoniane. Nè certo felice può dirsi la soluzione, palese com’è l’intenzione di far apparire possibile, entro il termine stabilito, il ravvedimento del vizioso. Ma il meschino [p. 294 modifica]ripiego distrugge ogni armonia nella figura del protagonista, studio di carattere assai bene iniziato.

Altri giocatori aveva visto il Goldoni sulle scene. «Menavano una vita comoda e allegra per ragione delle vicende del giuoco» (L’A. a chi legge). Tra questi verisimilmente, più famoso di tutti, il Joueur del Regnard, benchè in tutta l’opera del Goldoni si cerchi invano il nome di questo genialissimo continuatore del Molière. Eppure il suo teatro non restò sconosciuto al poeta veneziano. Mancassero altre prove (M. Ortiz, G. e Regnard, Riv. teatr. ital. febbr. 1906), basta un raffronto tra le due commedie a mostrare che quella del Goldoni è contenuta in embrione nell’arguta favola del Francese. Tanto nel Joueur che nel Giocatore due donne, giovine l’una, matura l’altra, si contendono il vizioso impenitente e un gioiello della fidanzata, sacrificato al demone del giuoco, provoca la catastrofe smascherando il vizioso. Questi i tratti principali che i due lavori hanno comuni, mentre altre affinità si scorgono in qualche particolare (Maddalena, op. cit., pagg. 43-48 e I. Merz, C. G. in seiner Stellung zum franz. Lustsp. Leipzig, 1903, pagg. 29-31). Certo dalla fine eleganza del Regnard il Nostro resta lontanissimo, anzi la trivialità delle espressioni passa in singoli momenti ogni lecita misura, in compenso quanto maggior movimento! Bisca, giuoco, giocatori, bari: tutto ha vita e si svolge davanti agli occhi dello spettatore, e dall’invenzione del Regnard, anche per la novità degli episodi, nasce così una commedia goldoniana tanto da poterla dire originale (Kretschmann, Sämmtliche Werke, Carlsruhe, 1787, IV, pag. XXVIII).

Alla passione del giuoco indulse lo stesso Goldoni in misura più o men larga tutta la vita, e molti dei felicissimi tratti, onde caratterizza Florindo, gli saranno stati suggeriti dalla sua propria esperienza. Anche la trovata del gioiello carpito a Rosaura, del quale l’amante si vale, come nella Bottega del caffè Eugenio degli orecchini della moglie, vuole il Goldoni risponda a un episodio della sua vita (Vedi a pagg. 37, 58 del I vol. di questa Ediz.). Subito dopo la laurea, di fronte a spese ingenti, egli a corto di quattrini causa il gioco, avrebbe impegnato un diamante avuto da una sua bella. Così un ricordo dell’allegra sua gioventù gli serve a presentare in nuova veste il ripiego del Regnard.

Dopo la fatale prima di Venezia, il Giocatore fu mai più ripreso in Italia? Resta notizia sicura di alcune recite [1758, 1777] nel Seminario - Collegio di Reggio - Emilia (G. Crocioni, Reggio e il Gold., in Modena a C. G., 1907, p. 348), probabilmente in un rifacimento ad uso della gioventù. Ma la fortuna che il pubblico non volle concedere, la commedia l’ebbe invece dalla critica. Tra noi bensì, dei pochi che la lessero, pochissimi vi spendono intorno parole: l’ammira come studio di carattere il Salfi (Saggio stor. crit. d. comm. it., Mil. 1829, p. 46); la loda lo Schedoni (Principii morali del teatro, Modena, 1828, p. 62) che nelle commedie cerca solo puerile morale da educandati e quando, come nel Giocatore, la scorge, esulta; l’aggioga con altre di molto inferiori il Martini (Simpatie, Firenze, 1900, p. 322), nè men severo si mostra il Momigliano (Il mondo poetico del Gold. L’Italia moderna, 15 marzo 1907, p. 476). La critica italiana odierna si rassegna dunque al verdetto, col quale, afferma il Klein (Gesch. des ital. Drama’s, Leipzig, 1868, III, I, p. 445), l’uditorio seppe mostrarsi davvero cavaliere di buon gusto. Ma il Klem è certo [p. 295 modifica]tra i molti che conoscono il Giocatore solo dalle poche linee delle Mem. Più addentro guarda e vede, sia nel merito del lavoro che nelle ragioni dell’insuccesso, lo Schmidbauer (Das Komische bei Gold., München, 1906, pagg. 54, 55): «Il Giocatore è dunque, quanto all’osservazione de’ tratti minuti nella psicologia del giuoco, un ottimo lavoro... E non meritava l’insuccesso avuto; questo insuccesso mette anzi in evidenza che parecchi difetti del Gold., massime la superficialità, son dovuti più al suo pubblico che a lui». Per il Rabany (C. G. ecc. Paris, 1896, pp. 119, 120) il Giocatore è, dopo il Burbero, il capolavoro di G. tra le commedie di carattere. E se questo è giudizio esageratamente benevolo, erra altrettanto il Rab. facendo derivare da questa commedia del Goldoni la serie dei dramma lagrimosi di soggetto affine, che mettono capo al fortunatissimo Giocatore dell’Iffland. Altri critici stranieri ancora dissero bene del presente lavoro: così l’Eschenburg (Beispielsammlung zur Theorie u. Literatur der schönen Wissenschaften, 1793, vol. 7, p. 94) e, eccezion fatta per la chiusa, il Jacobs (Charaktere der vornehmsten Dichter ecc. Leipzig, 1793, III, p. 64), il Landau (C. G. Vossische Zeit., Sonntagsbeil. 24 febbr. 1907). Per il Gleichen-Russwurm (Das Jubiläum eines Lustspieldichlers, Neues Wiener Tagblatt, 25 febbr. 1907) Florindo è addirittura il carattere meglio studiato del teatro goldoniano.

Salvo errore, non esiste del Giocatore che una sola traduzione: in tedesco, opera del Saal (vol. XI della sua collezione), e in questa non consta sia stato recitato. Ma di recite e di ristampe ebbe assai fortuna una contaminazione col Joueur del Regnard, eseguita da I. G. Dyck, nella quale però c’è assai più del Francese che del Nostro (Spielerglück, Ein Lustspiel in fünf Aufzügen, nach Regnard und Goldoni, 1790; e su questo rifacimento: G. Fritz, Der Spieler im deutschen Drama ecc. Berlin, 1896, pagg. 24, 25).

Con audace anacronismo il dedicatario, conte Parmenione Trissino di Vicenza, dal 1744 al 1779 benemerito bibliotecario della Bertoliana, venne più d’una volta, per la poca notorietà sua oltre la cerchia degli eruditi vicentini, confuso col suo celebre antenato Gian Giorgio. Così, tra gli altri, da Paulo Fambri (Fanf. d. dom., 28 maggio 1882). Corresse il grosso sfarfallone Girolamo Gasparella (Iride, Vicenza, 18 giugno 1882) e in argomento s’accese una breve vivace polemica tra il Fanf. d. dom. e il Cap. Fracassa di quei giorni. Fu a Parmenione Trissino che il Gold, chiese un giudizio sull’Amalasunta (Mem. I. cap. 27Memorie di Carlo Goldoni) e n’ebbe il savio consiglio di dedicarsi al genere comico. È gran peccato che sulle interessanti relazioni d’amicizia tra il commediografo e il conte vicentino manchi ogni testimonianza da parte di quest’ultimo.

E. M.


Questa commedia uscì la prima volta in principio de! 1754, nel l. V dell’ed. Paperini di Firenze e subito dopo a Bologna (Pisarri, VIII e Corciolani, VIII), a Pesaro (Gavelli, V), Torino (Fantino e Olzati, VI, 1756). Più tardi fu ristampata a Venezia dal Savioli (IX, 1771) dal Pasquali (XII, 1774), dallo Zatta (cl. 2.a, IV, 17) dal Garbo (XIV, 1798); a Torino ancora (Guibert e Orgeas, XV, 1774), a Livorno (Masi), a Lucca (Bonsignori) e altrove nel Settecento. La stampa nostra seguì principalmente il testo più curato del Pasquali, ma in nota a piè di pagina reca le poche varianti delle altre edizioni.