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Il mio delitto/XIV

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XIV

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XIII XV
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XIV.

Se qualche volta mi stordivo in mezzo alle feste, avevo anche delle ore di reazione, nelle quali mi racchiudevo nella solitudine della mia casa e non volevo vedere nessuno. In quelle eterne ore d’isolamento sognavo, fantasticavo, rifacevo la mia vita passata e pensavo al sogno di felicità che avevo tanto accarezzato nella mia mente e che mi si dileguava per sempre. Ormai non avevo più illusioni, e la fede in mio marito era scossa nel punto stesso che il mio amore per lui si era fatto più vivo. [p. 138 modifica]

Come ciò era avvenuto? Non sapevo spiegarmelo.

L’avevo sposato per riflessione e senza entusiasmo, l’avevo amato con calma, tranquillamente, come una buona moglie, poi tutt’a un tratto il mio amore s’era cambiato in una vera passione, proprio nel punto ch’egli mi abbandonava.

Capisco, era una cosa irregolare, tutto l’opposto di quello che avviene ogni giorno, e questo fatto che avrebbe potuto essere origine d’una immensa felicità si cambiava invece per me in un vero martirio. Ma qual n’era la causa?

Forse fu il vederlo tanto apprezzato e disputato dalle altre signore, forse fu causa quel periodo d’ammirazione, di devozione ch’ebbe per me e che passò con troppa rapidità; ma che strazio il sentire di amarlo di più! appunto quando stava per sfuggirmi e il dover [p. 139 modifica] sopportare la sua indifferenza che mi penetrava nel cuore come la lama di un pugnale!

Nei momenti di maggior calma pensavo di mostrarmi a lui sotto un aspetto più seducente, studiavo nuove eleganze e raffinatezze per riafferrarlo; come il naufrago, mi attaccavo all’ultima tavola di salvezza. Non ho certo il rimorso di non aver tentato ogni mezzo per farlo ritornare a me. Nelle poche ore che stava in casa, procuravo di fargli le migliori accoglienze, di indovinare i suoi desiderii per appagarli, invitavo i suoi amici pre-feriti tanto per trattenerlo più a lungo presso di me; ma tutto era inutile, egli in casa s’annoiava e non tentava nemmeno di nasconderlo.

La mia era una lenta agonia alla quale avrei preferito mille morti. Ero ridotta al punto d’essere contenta quando lo vedevo di cattivo umore.

Erano talvolta giornate terribili, nelle quali [p. 140 modifica] sgridava i domestici, rimproverava Margherita, metteva la casa a soqquadro; ma in quei momenti la mia faccia si rischiarava, mi sentivo come sollevata e quasi felice, già che la sua felicità non dipendeva più da me.

Succedeva tutto l’opposto quando lo vedevo ilare, contento e felice; allora ero io che diventava nervosa, irascibile, di cattivo umore.

Rinuncio a descrivere tutta la mia vita in quel periodo di tempo, soltanto a pensarci sento rinnovarsi in me l’agitazione e il dolore di quei momenti pieni d’agitazione.

Ero pazza di amar tanto un uomo come lui ed invidiavo quelle donne che in casi simili, scacciano dalla mente i tristi pensieri, non si curano di scoprir nulla e s’immergono nella calma e nella pace della vita domestica. Ma io sono di tutt’altro carattere, ho sempre odiato le mezze misure, le cose incerte, per [p. 141 modifica] cui ero decisa di andare sino in fondo, di scoprire la mia rivale e ingoiare fin l’ultima goccia del veleno che amareggiava la mia esistenza.

Un giorno vedo mio marito più allegro del solito, la mattina aveva ricevuto un vigliettino, l’avevo saputo dalla mia cameriera; durante la colazione chiacchiera ed è di buonissimo umore come non era più stato da molto tempo, è gentile e grazioso con me, affettuoso con Margherita; poi va nella sua camera ed esce tutto elegante e profumato, fa attaccare il cavallo al cupè e se ne va canterellando, allegro come un uccelletto.

Io soffrivo di quella sua allegria insolita, tanto più che nei giorni passati l’avevo veduto un po’ preoccupato, e gli chiesi dove andasse, ma ebbi la solita risposta: — Degli affari urgenti da sbrigare che non mi interessavano. [p. 142 modifica]

Baje! ero certa che andava ad un appuntamento colla bella incognita.

Quando udii il rumore della carrozza che rientrava feci chiamare il cocchiere per interrogarlo.

Non era degno di me quello che facevo, ma ormai non badavo più ai mezzi per giungere al mio scopo.

Quando il cocchiere entrò nel salotto stavo lavorando seduta nella mia poltroncina. Non sapevo come cominciare ad interrogarlo e mi sentivo la faccia in fiamme; cercai però di assumere un’aria disinvolta e dissi senza alzar però gli occhi dal ricamo.

— Come siete ritornato presto! e fin dove l’avete accompagnato?

— Fino in via Torino al numero 55.

— Ah sì, ho capito, e non v’ha fatto aspettare? [p. 143 modifica]

— II signor conte ha detto che per oggi non aveva più bisogno di me.

— Va bene, — diss’io congedandolo, — se avrò bisogno della carrozza vi farò avvertire.

Appena fui sola, gettai via il lavoro con atto nervoso e mi misi a passeggiare su e giù per la stanza onde calmare i miei nervi agitati.

Dunque non v’era più dubbio: quell’indirizzo che mi aveva susurrato Ariberti, che mi era stato indicato da una lettera anonima alla quale non avevo voluto credere, mi veniva confermato dal mio domestico.

In quel primo impeto avrei voluto farmi condurre in quel luogo e sorprendere mio marito, e scoprire la mia rivale, ma ero troppo agitata, era meglio differire a un altro giorno. Frattanto avrei potuto calmarmi e maturare pazientemente la mia vendetta. Ciò [p. 144 modifica] non toglie che non mi vi recassi coll’immaginazione, e mi parea di vederlo felice assieme alla mia rivale dimenticarsi di me e del mondo intero e passare rapidamente quelle ore che a me sembravano eterne. Mi pareva di udire le sue parole dolci, insinuanti, che sapevo per prova come andavano dritte al cuore, lo vedevo gentile, grazioso come sapeva esser lui quando ci si metteva di buona voglia, mi pareva di udire la sua voce, di vederlo col volto illuminato di felicità, cogli occhi che mandavano lampi e il sorriso affascinante. lo fremevo, quei pensieri erano per me un nuovo strazio; ma c’è una voluttà anche nel dolore, e in quel momento godevo quasi di rendere più profonda e più dolorosa la mia ferita.

Giravo su e giù per il mio salottino come una belva in gabbia, mi fermavo distrattamente davanti agli oggetti senza vederli, aprivo [p. 145 modifica] un libro, provavo a leggere, ma nulla serviva a togliermi ai miei pensieri. Sentivo che il cervello mi si scombuiava. Non avevo più coscienza del tempo, ogni minuto che passava era una nuova agitazione, un nuovo dolore, la testa mi scoppiava e mi pareva di diventar pazza.

Doveva esser l’ora del tramonto perchè le cose intorno a me prendevano dèi contorni indecisi e i colori si fondevano insieme nella tinta grigia di quell’ora. Le mie forze erano esauste e me ne stavo accasciata nella mia poltroncina, accanto al foco, la sola cosa che mettesse una nota gaia in quell’ambiente di tristezza, accresciuta anche da una giornata nebbiosa d’inverno.

Ero stanca e non pensavo più a nulla quando mi venne annunciata la visita di Ruggeri.

Egli era sempre il mio amico fedele e in quel momento l’accolsi come un salvatore. [p. 146 modifica]

Egli veniva infatti ad interrompere il corso dei miei tristi pensieri, e portarmi forse il conforto d’una parola amica.

Non gli sfuggì la mia agitazione e mi chiese se io fossi ammalata.

Il mio cuore traboccava, ero in un punto in cui mi sarebbe stato difficile sopportare da sola tutto il peso dei miei dolori, e mi confidai a lui, e gli apersi il mio cuore, gli raccontai le mie pene come ad un amico, ad un padre, ad un confessore.

Era tanto tempo che soffrivo, mio marito non mi amava più, non si curava più di me; peggio ancora, egli mi tradiva, non avevo più dubbi, ne ero certa, ed anche quella mattina.... forse in quel momento.... Oh era un pensiero terribile! soffrivo troppo e volevo morire.

Le parole mi uscivano di bocca mio malgrado, ero confusa, balbettavo, deliravo come se avessi la febbre. [p. 147 modifica]

Egli si era avvicinato e mi parlava dolcemente, con calma, ragionando. Non dovevo poi andare all’esagerazione, dovevo pensare un po’ meno a mio marito e un po’ più alla mia salute tanto preziosa; anche se fosse stato vero, erano cose che succedevano tutti i giorni e io non doveva crucciarmene oltremisura.

Il mio cuore era pieno di amarezza, mi veniva meno la parola, mormoravo solo frasi interrotte.

Egli continuava a susurrarmi nell’orecchio parole di conforto.

Facevo male, lo amavo troppo mio marito, non lo meritava; se me ne fossi curata un po’ meno sarei stata più felice. No, egli non voleva vedermi soffrire a quel modo, i miei occhi non erano fatti per le lagrime; e intanto mi si avvicinava sempre più, mi prendeva la mano ardente fra la sua e mi accarezzava come fossi stata una bimba. [p. 148 modifica]

Io lo lasciava dire e fare, non avevo la forza di reagire.

Intorno tutto era silenzio; mano mano che le ombre aumentavano, gli oggetti si facevano più confusi, le idee nel mio cervello si confondevano ancora di più, — quando sentii come in un sogno la voce di Ruggeri farsi più dolce e le sue mani più carezzevoli, egli teneva la mia testa appoggiata sulla sua spalla e parlava, parlava sempre colla sua voce lenta, melodiosa. Voleva consolarmi, valeva farmi felice lui; era tanto tempo che pensava a me, ma s’io fossi stata felice avrebbe soffocato il suo affetto e non avrebbe turbata la mia felicità, mentre ora invece.... Io ero nata per le gioie della vita, avea sofferto tanto anche lui, e mentre parlava così a scatti, mi veniva accarezzando la testa, i capelli, gli occhi, colla sua mano sempre più agitata e tremante. Fu come un lampo; [p. 149 modifica] compresi, mi riscossi e m’allontanai impetuosamente.

Era dunque vero! Non era più concesso fidarsi di nessuno, non esisteva l’amore, non si potea credere all’amicizia, che disillusione! e caddi sulla poltrona dando in uno scoppio di pianto.

Vi fu un momento di silenzio; fra le mie lagrime e il mio turbamento, sentivo il suo respiro affannoso, lo indovinavo agitato, confuso, tremante, poi lo udii fare alcuni passi per avvicinarsi a me; ebbi paura, mi alzai con impeto e toccai il bottone del campanello elettrico.

Egli fece per andarsene, gli feci cenno di rimanere un minuto, non volevo infliggergli quell’umiliazione davanti al mio domestico, al quale ordinai di accendere il lume sgridandolo d’averci lasciati al buio.

Avevo bisogno di sfogarmi, e quella sgridata mi fece bene. [p. 150 modifica]

Quando un raggio di luce rischiarò il mio salottino e tutti gli oggetti ripresero forma e colore e vidi Ruggeri in piedi, confuso come un delinquente, colla testa bassa, provai un sentimento di compassione. Infine non era peggio degli altri.

I miei sguardi si fermarono sul ritratto di Margherita, ebbi quasi un’allucinazione, mi parve di vederla viva in mezzo a noi e che ci guardasse con aria di rimprovero.

Quella luce ci avea posti entrambi in una situazione incomoda, bisognava rompere il silenzio, mi feci coraggio. Addio — dissi, — compiangetemi, tutto è crollato intorno a me, una vera rovina!

Egli tentò di balbettare qualche parola, mi parve d’udire la parola perdono; poi la porta si richiuse dietro di lui, udii un rumore di passi che si perdevano in distanza, poi più nulla, la solitudine, l’abbandono, e [p. 151 modifica] sempre il peso dei miei pensieri, l’ansia del mio povero cuore.

Non so quanto tempo rimasi sulla poltrona accasciata accanto al fuoco colla testa che pareva mi volesse scoppiare. Le tempie mi martellavano, e un dolore forte, terribile mi toglieva ogni sentimento, e quasi benedivo quel dolore che mi annientava la facoltà di pensare.

Il male fisico vinse; ebbi appena la forza di andare in camera mia, gettarmi sul letto e seppellire il mio capo ardente in mezzo ai guanciali; il mondo poteva ormai capovolgersi, mio marito tradirmi, non sentivo che la mia forte emicrania. La tortura fisica avea in quel momento preso il sopravvento, ed io non avevo fatto altro che cambiar sofferenza.