Il mistero del poeta/XVIII

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Capitolo XVIII

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XVII XIX
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XVIII.


Erano appena suonate le due pomeridiane quando m’avviai a casa Treuberg. Camminavo a capo basso e ho nette in mente le ombre delle case lungo il marciapiede che seguivo. Fino al momento di uscire dall’albergo avevo molto fantasticato se la vedrei, se non la vedrei, se potrebbe parlarmi o no; postomi in cammino, non fui più in grado di pensare a niente.

Suonai e domandai della signora. La cameriera mi rispose che tutta la famiglia era uscita, che c’era in casa soltanto la signorina Yves.

Mi balzò il cuore. Provai una sensazione di sgomento e di riverenza, di gratitudine violenta verso Dio quasi come quando rifeci il sogno [p. 184 modifica]memorabile, come, quando, a Belvedere, intesi per la prima volta la dolce voce.

— Allora — risposi — vedrò miss Yves.

La cameriera non domandò il mio nome, mi credette forse uno straniero amico della signorina straniera e m’introdusse. Attraversammo l’anticamera; la cameriera aperse un uscio e disse: — Un signore cerca di Lei. — Vidi Violet che stava scrivendo.

Non era sola; una bambina leggeva presso lei, un’altra giuocava con la bambola, silenziosamente. Miss Yves alzò la testa e mi diede il buon giorno con un lieve sorriso, tranquillamente. Non vidi che viso avesse, perchè voltava le spalle alle finestre. Le bambine mi guardavano, attonite.

— Lei scriveva? — dissi in tono di scusa.

Violet mi rispose sotto voce, in inglese, qualche cosa che non intesi bene.

— Per me — domandai.

— Sì — diss’ella.

— È subito finito — soggiunse. — Non posso dirle questo a voce.

Aspettai accarezzando la piccola lettrice. L’altra piccina aveva posata la sua bambola ed era [p. 185 modifica]venuta a porre il capo in grembo a miss Yves. Questa mi porse il foglio e si mise pure a baciare ed accarezzare la testolina bionda. Lessi stando in piedi presso al tavolino.

Violet non aveva cuore di dir ciò che scrisse, e io non ho cuore di riferirlo qui nella soave, squisita forma in cui lo conservo. Mi perdoni, amica mia, non lo darei a leggere nemmanco a Lei. Miss Yves si doleva, con parole accorate, ch’io non l’avessi obbedita, e diceva di aver consentito a parlarmi ancora, solo per la fiducia che dopo il suo racconto mi allontanerei da lei per sempre. Mi pregava quindi di usarle pietà, di non dirle parole dure, di congedarmi da lei con clemenza.

Io ero commosso sino al fondo dell’anima, mi mancava il respiro; Violet pure ansava, con una faccia smarrita. Stesi le mani come per prendere le sue. Ella accennò rapidamente alle bambine, onde compresi che, sola, me le avrebbe concesse.

— Lo prometto — le dissi in italiano, con voce soffocata. — Mi crede, non è vero?

Violet rispose, pure in italiano: — Sì. [p. 186 modifica]

E si alzò.

— Crede — diss’io — di potermi parlare subito?

— Ella rispose ancora:

— Sì.

Penava a reggersi in piedi e si appoggiò alla parete fra le finestre. Le venni vicino; ero tra lei e le bambine.

— E se — le susurrai — dopo il Suo racconto La pregassi di essere mia moglie?

Ella teneva ora il capo chino sul petto, e lo scosse un poco senz’alzarlo.

— No? — chiesi angosciosamente — No?

— Non mi pregherà — rispose. La voce soave non s’udiva quasi più.

Restammo alquanto senza parlare.

— Allora... — diss’ella.

Si accostò alla bambine e parve ritrovare l’usata grazia serena. Diede loro un libro illustrato, le pregò di star tranquille e poi mi offerse di mostrarmi un albo di fotografie inglesi.

Sedemmo ad un altro tavolino nell’angolo più scuro della stanza. Nell’aprire l’albo Violet urtò leggermente un vaso di porcellana che [p. 187 modifica]portava delle rose sciolte. Una piccola rosetta incarnatina cadde sulle fotografie.

Miss Yves cominciò il suo racconto sottovoce, con gli occhi fermi alla rosetta. Parlando e parlando prese il fiore nelle mani, che si aprivano e si chiudevano con lenti motti convulsi, e non lo lasciò più.

Mai non vorrei raccontar per disteso la sua storia dolorosa e forse non lo potrei neppure. Molte cose non intesi, ed ella soffriva tanto nel dirle che non osavo pregarla di ripeterle. Io stesso soffrivo e preferivo cento volte non intender tutto.

Fino ai diciannove anni ell’aveva pensato che la sua imperfezione le togliesse di esser amata. Uscita di questo errore si era sulle prime alquanto difesa, poi aveva risposto alla passione con tale fuoco ed impeto che non si credeva capace di amare così mai più.

La udii raccontar le vicende angosciose di questo amore dicendo tutto, fermandosi quando la parola era dura a metter fuori, non togliendo mai nè le mani nè gli occhi vitrei della rosetta. La sua voce diventava sempre più rotta, [p. 188 modifica]sommessa e torbida; quanto a me, la gelosia, la pietà, il dolore, l’ammirazione e l’amore mi facevano in mente una sola tempesta. Era la storia del più appassionato e cieco fra i cuori, dell’anima la più fiera e insieme la più equa verso chi l’aveva fatta soffrire, la più grande persino negli errori suoi, nello sdegno, forse talora ingiusto, di ciò che la comune opinione pronuncia. Il suo amore era stato distrutto d’un colpo, non dirò come; ella s’era trovata quasi senza cuore fino al giorno in cui aveva letto il mio libro.

Non versò, parlando, una lagrima sola, ma tutta la povera rosa perì, e sulla fine, le convulse mani che l’avevano unita si stringevano a vuoto come in delirio. Io le raccolsi, le chiusi nelle mie, le serrai sul mio petto, dissi piano qualche parola di conforto. Mi parve che la cara persona si elettrizzasse tutta, che piegasse a me, che gli occhi avessero un lampo di sereno. Le bambine la chiamarono in quel momento: miss! miss! Ella ritirò le mani e accennò che tacessero; non ci fu verso, dovette alzarsi, trascinarsi a stento fino a loro. Mi alzai pure. L’avevo confortata, ma col petto oppresso da un [p. 189 modifica]dolor mortale. Mi posi a camminar lentamente su e giù per la stanza, e feci alquanti giri prima d’accorgermi che miss Yves era ancora là al tavolino, col viso tra le mani. Me le accostai, le domandai:

— E questo matrimonio?

Ella scostò le mani dal viso ma non alzò gli occhi a me.

— Per i miei parenti — rispose. — Lo hanno tanto desiderato. Sono povera, sono un peso per essi. No, mi vogliono bene, ma non sono una figlia. Mio padre e mia madre sono morti.

Che pietà udirla parlare così sconsolata, con quella infinita dolcezza di voce, vederla tanto pallida e affranta, pensare che coraggio magnanimo e che tormento era stato il suo di raccontarmi tutto così. Avrei voluto stringermi la sua testa sul cuore, ma forse anche senza la presenza delle bambine non l’avrei potuto. No, non l’avrei potuto contro il dolore e l’orgoglio. Non sapevo che mi facessi nè che mi dicessi. Mormorai:

— Grazie, Dio La consoli, Dio La benedica.

Ella scosse ancora il capo in silenzio come [p. 190 modifica]per soffocar le lagrime e si mise a brancicar i petali sparsi della rosetta. Sapevo bene che la mia dolorosa pietà, il mio turbamento dovevano essere terribili per lei, quantunque preparata. Era uno strazio per me di saperlo, ma pure non potevo ancor dirle la parola che sentivo lottare e lottare in fondo all’anima mia. Violet fece atto di gittar da sè le foglie di rosa. Allora finalmente posai la mia sulla sua mano e le dissi con dolcezza:

— No.

Trassi una vecchia lettera, vi raccolsi ad uno ad uno i poveri petali dispersi. Ella mi guardava la mano senza dir niente e solo dopo alcuni momenti mormorò:

— Cosa fa?

Non potei rispondere, continuai a raccoglier le spoglie della rosetta ed ella non mi interrogò più. Una fogliolina era caduta sul pavimento. Violet si chinò a raccoglierla e me la porse.

— Povera rosa! — diss’ella.

Le presi la mano, gliela strinsi forte, ripetei: — povera rosa! — Subito gli occhi suoi s’empirono di lagrime. [p. 191 modifica]

— Starà con me — dissi — sempre con me. Nessuna rosa mi sarà più cara di questa che ha sofferto tanto.

Miss Yves non parve intendere ciò che volevo dire.

— Ho ucciso qualche cosa — diss’ella a voce bassissima — anche nell’anima Sua, non è vero?

— Credo di sì — risposi — ma vi è anche nata qualche altra cosa.

Era vero; mi pareva di esser passato per un gran fuoco e che i momenti fossero stati anni, e che il mio amore e il mio cuore si fossero trasformati interamente.

— Adesso — ripigliai — Ella mi è cara in un modo più profondo, in un modo più sacro; è tanto più unita a me di prima.

Miss Yves ansava, ansava e non rispondeva.

Le sedetti accanto, le susurrai all’orecchio:

— Violet, vuol essere unita a me interamente, davanti a Dio, davanti a tutti?

Ella trasalì, mi afferrò una mano, la strinse con lo spasimo nervoso di prima e mi disse piano, tenendo sempre il viso chino e gli occhi bassi: [p. 192 modifica]

— Non può essere! Non lo dica! Non lo dica!

L’uscio dell’anticamera si aperse; Violet ebbe appena il tempo di ritirare la mano, ed il signor Treuberg entrò. Sua moglie era presso un’amica malata e faceva avvertire miss Yves che non avrebbe potuto rientrare prima di notte. Promisi al signor Treuberg di ritornare presto per riverire madama, e mi congedai portando meco l’ultimo sguardo di Violet, uno sguardo appassionato e triste in cui mi si abbandonava tutta per un lampo e mi ripeteva insieme: Non può essere, non può essere!