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Il nemico (Oriani)/Parte prima/IV

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IV

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Parte prima - III Parte prima - V

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IV.

La mattina seguente Olga Petrovna si levò di pessimo umore, e vestitasi in fretta da sola, giacchè in casa non aveva serva, uscì per visitare un’ammalata. Aveva la bocca pastosa e gli occhi pesti. Mai come in quel mattino aveva provato il peso della propria professione, che in principio l’aveva fatta tanto insuperbire. Non aveva nè molta clientela nè molto ricca; doveva correre tutto il giorno senza riuscire sempre a guadagnare abbastanza da mantenere decentemente sè stessa e la madre. Il popolo aveva poca fiducia nelle dottoresse, la borghesia restava diffidente malgrado il largo moto di emancipazione femminile iniziatosi nei libri, e dai libri propagatosi ai costumi delle classi più studiose: l’aristocrazia si serviva di medici illustri proteggendoli specialmente se stranieri.

Si sapeva che quasi tutte le dottoresse erano nichiliste; agli inconvenienti di una professione, inadatta alla natura femminile, s’aggiungevano quindi le difficoltà politiche e le stravaganze rivoluzionarie. Le donne nichiliste, costrette la maggior parte ad emigrare in Svizzera per addottorarsi, ne ritornavano paradossali di empietà; quasi tutte portavano gli occhiali e i capelli corti, con certi vestiti di una trascuratezza spinta talvolta [p. 121 modifica]oltre la volgarità, affettando modi e costumi cinicamente maschili. Se questo concorreva a precisare la modernità del loro tipo, non procurava loro nelle masse nè molta simpatia, nè abbastanza stima.

Olga aveva dovuto constatarlo più volte con dolore.

Sbollita quella prima effervescenza rivoluzionaria, durante la quale si era precipitata nelle nuove idee come in un abisso, la sua mite e affettuosa natura aveva ripreso presto il sopravvento: non osava confessarlo interamente neppure a sè stessa, e nullameno una critica minuta ed assidua le saliva dal cuore malcontento a distruggere tutte le opinioni rivoluzionarie, entro le quali aveva composto il disegno della propria vita. La mascolinità dell’educazione aveva in lei falsificato la donna senza degradarla, giacchè il suo cinismo era rimasto piuttosto d’intelletto che di sentimento. Quindi, cedendo a molti compagni, li aveva scelti solo per la superbia materialista di mostrarsi superiore a tutte le vecchie leggi dell’onestà femminile. Ma quel libertinaggio, più brutale di ogni altro appunto per la dialettica scientifica che lo accompagnava, non aveva esaurita la gioconda spontaneità e la vivace esuberanza della giovinezza, che trionfa a forza di poesia di tutte le proprie vergogne. Olga ne soffriva. La vita cominciava ad apparirle sotto l’aspetto terribile della sua immutabilità nelle funzioni e nelle gerarchie; tutto quanto ella aveva giovanilmente negato, [p. 122 modifica]credendo così di distruggerlo, rimaneva inalterato intorno ad essa oltre la potenza visiva del suo pensiero; la rivoluzione era ancora di là da venire, lenta, difficile e tanto indeterminata che non se ne vedevano neppure le masse incerte e fluttuanti all’orizzonte. Ciò che aveva sofferto e vedeva soffrire tutti i giorni la manteneva nella fede alla necessità di una rivoluzione; ma se il malcontento per gli inevitabili contatti della vita aggiungendosi all’altro nel quale era cresciuta, sola colla mamma, povere, chiuse nel dolore del padre giustiziato e in un odio sublime di assurdità e di costanza contro lo Czar, acuiva in lei il bisogno di una riparazione, invece il senno e l’esperienza quotidiana le insinuavano nell’animo un amaro scetticismo di tutto e di tutti. Spesso il sogno della rivoluzione, eccitato dalle escandescenze paradossali de’ suoi giovani compagni, si confondeva in un’aspirazione di sacrificio: una desolata stanchezza morale le faceva desiderare i rischi di un complotto per morirvi, mentre una subita puntura all’orgoglio le ravvivava l’odio rivoluzionario succhiato ai discorsi della mamma e al settario costume delle università.

L’ultima avventura del povero Rodion, e quell’incontro con Loris l’avevano singolarmente sconvolta.

Da molti anni il vecchio partito nichilista le sembrava in decadenza; la sua dialettica finiva alla rettorica, la sua terribilità impallidiva nel ri[p. 123 modifica]dicolo: non più un attentato capace di commuovere il pubblico spaventando il nemico, non un moto veramente politico, non un accenno ad una idea novella. Loris le si era improvvisamente rivelato come una nuova onnipotenza rivoluzionaria, così che lo sentiva meglio che non lo intendesse. Quella sua guerra senza pietà e senza misura, le dava le vertigini, pensando che egli era un giovane di venticinque anni, bello, elegante, rigido come una statua, dagli occhi verdi come il mare in certi giorni e in certi punti, dalla voce metallica, senz’altra passione che l’odio millenario di tutti coloro che soffrivano, e altra idea che la loro vendetta. Le era sembrato un eroe come nessun romanziere, di quelli che avevano cercato di raffigurare la rivoluzione, era riuscito ancora ad immaginare, e nessuno dei cento processi, ove tanti intrepidi erano periti, aveva rivelato.

Tornando a casa sulle undici per la colazione riandava nel pensiero la breve conversazione con lui nella notte. Bisognava che egli fosse ben forte per essere rimasto così cortese con lei in quel momento.

A casa la mamma Sofia Semenowna l’accolse al solito brontolando.

Viveva sola con lei in un appartamentino composto di un salotto, nel quale Olga riceveva i pochi clienti, e due camere da letto: dietro quella della mamma uno stambugietto serviva da cucina. La mamma faceva da cuoca, una donna veniva [p. 124 modifica]dalle due alle quattro di ogni pomeriggio per i servigi più bassi. Era una povera famiglia, della quale Olga doveva fare tutte le spese. La mamma vivendo sempre sola aveva finalmente preso il vizio di ubbriacarsi, mentre l’amore al marito giustiziato le si era mutato in monomania: ne parlava ad ogni proposito, assiduamente. Poi era avara; avrebbe voluto che Olga guadagnasse molto e le desse tutto il danaro: le rinfacciava sovente i sacrifici fatti per mantenerla a scuola, sebbene non fossero stati troppi, giacchè avevano potuto vendere la casa del babbo, unico loro patrimonio, sopperendo così a tutto senza che il loro povero sostentamento peggiorasse. Olga era figlia di un sellaio, la mamma era nata da meschini falegnami. L’educazione di Olga era stata per Sofia Semenowna un’idea del padre, eseguita per devozione e con segreti intendimenti di speculazione.

Una dottoressa avrebbe sempre guadagnato più di un’operaia.

Quella mattina mamma e figlia si bisticciarono più acremente.

— Il sarto Opernaumoff ti ha pagato? quella le disse sul viso aprendole la porta.

— No, rispose l’altra seccamente voltandole le spalle per entrare nella propria stanza.

La mamma ve la seguì. La camera di Olga sembrava una camera da uomo; era semplice sino alla povertà. Dove avrebbe dovuto esservi l’armadio delle sacre immagini, v’era una scansia [p. 125 modifica]di libri; da un attaccapanni pendevano alcune sottane; la specchiera non aveva dinanzi nè vasetti, nè barattoli.

Una piccola busta di ferri chirurgici era aperta sopra un tavolo ingombro di libri presso la finestra.

Un ritratto grande di Wirchow in litografia dominava sul letto.

Sofia Semenowna era corta e grassa, coi capelli bianchi e i denti gialli: le sue guancie floscie avevano il colore che solo le carceri sembrano dare. Quella vita fra quattro mura le aveva fatto una fisonomia di cera, che gli eccessi del bere avevano macchiato di chiazze livide. I suoi occhi grossi tiravano al giallo per la malattia di fegato, frequente nei bevitori.

— Non hai riportato un kopek da tutte le tue visite: sei dunque uscita per spassartela con qualcuno de’ tuoi colleghi? le disse cinicamente nella schiena, mentre Olga si levava il mantello.

L’altra si contentò di alzare le spalle.

— È venuto qualcuno a cercarmi?

— Chi doveva venire? Bisogna sapere condursi per avere dei clienti.

— Se ne avessi, voi li disgustereste col modo di riceverli.

— Ah! sono io, ribattè alzando la voce rauca; non hai saputo nemmeno guadagnarti il posto di assistente all’ospedale; curi solo la canaglia, che non ti paga. Perchè hai ricusata la cura di Teresa Paulowna? Suo marito, il mercante, è ricco. [p. 126 modifica]

— Lo sapete pure quello che Teresa è sempre andata dicendo di me: per la sua malattia non vi sono rimedi, non si può nemmeno più tentare l’estirpazione. Smettiamola dunque. Avete preparata la colazione?

— Con che cosa?

Olga si volse indispettita:

— Vi ho dato otto rubli al principio della settimana: ve li sarete bevuti o li tenete nascosti.

— Io!

— Voi, sì: me ne vado. Se qualcuno viene a cercarmi, ditegli di aspettare. Quanto a voi, aggiunse con sorriso sprezzante rimettendosi il mantello, farete colazione come vorrete.

— Ma non ho denari. Come si fa a vivere con quello che mi dai per la casa? Tu spendi tutto nei vestiti e nelle cene coi tuoi amici.

Olga, senza rispondere, si disponeva ad uscire. Il suo volto era più stanco che sdegnato: la mamma le girava intorno come per chiederle qualche cosa, ma l’altra era già nel salotto, quando fu picchiato alla porta.

— Andate ad aprire, disse Olga rientrando nella propria camera.

Era Loris. Olga riconoscendolo alla voce provò un’emozione così violenta che dovette appoggiarsi al tavolo: la mamma, che alla vista di quel magnifico signore era ridiventata istantaneamente mansueta, si affacciò all’uscio dicendole dolcemente: [p. 127 modifica]

— Olga, un signore.

Loris vestiva un abito elegantissimo da mattina, di taglio inglese. Olga gli venne incontro, senza essersi tolto nè il mantello nè il berretto.

— Vi disturbo forse? In ogni modo vengo per una cosa abbastanza grave, e volse un’occhiata fredda alla mamma, che si sarebbe potuta scambiare per una serva. Olga, ingannandosi sul significato di quello sguardo, sentì in fondo al cuore il morso di una cattiva vergogna, ma l’altra credendolo un cliente fu pronta ad uscire.

— Vorrei parlarvi segretamente, disse Loris.

Olga lo invitò a passare nella propria camera, e ne chiuse l’uscio. La miseria dell’arredo la fece allora arrossire. Non vi era che una poltroncina, Loris glie la offerse prendendo la sedia presso il letto.

Ella non osava guardarlo: si sentiva ridicola in quella camera, col berretto in testa, tutta chiusa nel mantello. La stufa spenta aveva lasciato scendere la temperatura troppo basso.

— Vi ricordate le vostre parole di ieri sera a cena? le si volse Loris sorridendo.

Ella parve non comprendere.

— Ah! esclamò poi, se io vi credo?

— Io pure vi ho creduto. Volete entrare in campagna con me?

La terribile semplicità di questo invito la sbigottì, il suo volto pallido divenne addirittura bianco. [p. 128 modifica]

— Pensateci bene, seguitò fissandola negli occhi. La campagna sarà orribile, non posso ora dirvi dove e come cominceremo, ma bisogna essere decisi a tutto. Vi sentite il coraggio di Sofia Perowskaia? Consultatevi freddamente: le donne educate nella nostra società hanno ancora il diritto di aver paura.

Ella, già dominata dal suo sguardo, aveva abbassata la testa: provava una grande soggezione e, dentro di sè, come una specie di gioia. Non si ricordava quasi più la discussione alla cena di Ogareff, ove ella medesima non aveva avuto il coraggio di difendere Loris; era sotto un fascino inesplicabile dinanzi a quell’uomo, che veniva a domandarle la vita per un’impresa, della quale neppure egli poteva precisare qualche cosa. Non le rimaneva più che il sentimento di un pericolo mostruoso, che raggirasse come un vortice.

Loris proseguì:

— Vostra madre....

Olga ebbe un sussulto.

— A lei non pensateci, provvederò io: sono già informato sul suo conto. Le assegneremo una piccola pensione, che le permetterà di vivere come ora. Se siete sola nella vita vi sarà più facile decidere che cosa volete farne. Siete sola?

— Ma che cosa dovrò fare? le sfuggì con voce trepidante.

— Che cosa si fa in una guerra? tutto, finchè si vince o si muore. I vostri amici pensano di[p. 129 modifica]versamente, aggiunse con disprezzo; essi non vogliono nè vincere, nè morire. Voi sola ieri sera gettaste un grido generoso fra le stupidaggini rettoriche di quei signori; voi sola, sbagliando, cercaste nei giorni passati di salvare Rodion dal patibolo. Io vi ho creduto; se mi sono ingannato sul valore delle vostre parole, potete dirmelo francamente; i vostri amici ve ne faranno complimenti.

Ella titubava. L’accento di Loris le produceva un gran freddo nell’anima; non le pareva più quel Loris, che aveva ammirato due volte in casa di Andrea Petrovich e di Ogareff. Egli la guardava freddamente, la sua voce non aveva un fremito; avrebbe potuto essere vecchio malgrado lo splendore della sua giovinezza e l’eleganza raffinata de’ suoi abiti. Olga sentì di essere non davanti a un uomo, ma ad un’idea.

Loris tacque aspettando.

Allora quel silenzio, che ella doveva rompere, divenne a ogni istante più greve; eppure bisognava rispondere. Si trattava della vita. Evidentemente Loris era pronto a gittarla in chi sa quale attentato: nessuna reticenza era più possibile dopo quel grido a cena, col quale aveva affermato di credergli e di seguirlo. Tutta la vita passata le riapparve in un lampo al pensiero. Loris aveva indovinato, era sola. La miseria della sua condizione era esposta in quella stanza e in quella casa, dove viveva colla mamma, che le fa[p. 130 modifica]ceva da serva e da strozzino; il suo futuro era qualche cosa di così vuoto e sconfortante, che ella evitava sempre di pensarci: presso a poco sarebbe stato il presente peggiorato dalla vecchiaia. Una nausea dolorosa le salì dal cuore alla bocca, torcendogliela in un sogghigno.

Loris aspettava: ella lo guardò. Su che decidersi? A che riflettere prima? La necessità di rispondere subito l’invadeva.

Ma quella tensione troppo forte la spezzò, quindi senza nemmeno comprendere quello, che si dicesse:

— Debbo decidermi subito?

— Siccome vi supponeva sola, come me, nel mondo, credevo che lo avreste potuto.

— Infatti sono sola.

— È dunque il coraggio di Sofia Perowskaia, che vi manca?

Ella avrebbe voluto ribattere che Sofia Perowskaia era innamorata di Jeliaboff, e seguendolo nell’attentato contro Alessandro II e sul patibolo non era stata sola, ma non l’osò: invece abbassò la testa come un bambino, cui la mamma imponga un compito dopo averlo sgridato, e mormorò:

— Verrò dove vorrete.

Loris le tese la mano.

— Sentite, Olga, le disse alzandosi per fare due passi nella stanza, ma tornando subito a fermarlesi dinanzi: la nostra impresa è la più grande [p. 131 modifica]che si sia mai tentata nella storia russa: non vi arrischieremo più della vita. Quando si è decisi a tutto si arriva; Sofia Perowskaia non voleva uccidere che Alessandro II, e riuscì. Ma dovremo prendere delle precauzioni: tornerò domani o posdomani per dire a vostra madre che vi propongo di assumere la cura di una signora, di mia moglie, e sorrise, al villaggio di Oudin nel governo di Kazan; le dirò quanto vi assegno e quanto le do, perchè mi permetta di portarvi alla mia casa di campagna. La cura sarà lunga. Vostra madre vi cederà, la conosco, concluse con accento duro, del quale Olga capì questa volta il significato. Voi tenetevi pronta; non porterete con voi che la vostra piccola busta chirurgica. Non parlate, non salutate alcuno; muteremo nome. Vostra madre non deve conoscere il mio.

Era tornato gentile parlandole con intimità.

— Verrete a prendermi?

— Non lo so: vi avviserò appena tutto sarà deciso.

Loris si rimise distrattamente il cappello per andarsene: questa volta fu Olga, che gli tese la mano.

— Dunque siete ben sola? le ripetè stringendogliela: badate! vi voglio sola.

— Sì.

Olga avrebbe voluto accompagnarlo sino all’uscio, ma l’altro glie lo proibì.

Loris tornò a casa. [p. 132 modifica]

Nella lunga notte, dopo la cena in casa di Ogareff, aveva ripensato il proprio disegno, rimproverandosi di essersi così volgarmente ingannato sul conto di quei giovani. Bisognava iniziare il moto da solo. Come tutti i veri organismi, i partiti si formano inconsapevolmente, non acquistando coscienza di sè medesimi che ad un grado molto alto del proprio sviluppo. Gli pareva che quei due smacchi coi vecchi e coi giovani rivoluzionari fossero come le condizioni preliminari della impresa, le stimmate della sua originalità. Quindi alzatosi di buon umore era passato prima dal proprio banchiere per combinare l’invio delle somme, che potrebbero servirgli, poi da Olga. Il suo disegno era di fingersi mercante di grano in qualche villaggio per ottenervi così rapidamente una supremazia, distribuendo soccorsi sotto forma di prestiti, ed entrando in rapporto con tutti.

A casa Marfa lo avvertì, che un vecchio signore, venuto a cercarlo, se n’era andato senza dire il proprio nome, dichiarando che tornerebbe verso le tre.

Loris ne profittò per ripassare dal banchiere, ma prima delle tre era già in casa ad attendere.

Lo sconosciuto fu puntuale.

Era un signore sulla cinquantina, molto magro, vestito con severa eleganza. Due grandi occhi neri sopra un naso camuso, che tradiva la sua razza tartara, rendevano anche più triste il [p. 133 modifica]giallo della sua faccia, alla quale due rade fedine lunghe e grigie davano un’aria signorile. Non portava baffi.

Si era inchinato leggermente dinanzi a Loris, seguendolo nel salotto. Quando si furono seduti sul divano, gli disse subito:

— Mi riconoscete?

Loris, che in quei pochi secondi lo aveva già studiato, rispose:

— Siete uno del Comitato; eravate a sinistra del presidente; riconosco l’anello, e gli indicò il sottile cerchietto d’oro, che portava all’anulare della mano sinistra.

L’altro ne convenne. Così seduto in faccia a Loris pareva anche più malandato: il petto gli si incurvava. Sotto i calzoni larghi due lunghe coscie magre gli facevano una figura più squallida, ma la sua faccia gialla si era fatta grave di pensiero.

Loris presentì una scena importante.

— Comincerò col dirvi il mio nome: sono il principe Vladimiro Gregorevich Tewceff.

— Il senatore?

— Sì.

Vi fu una pausa; il principe proseguì:

— Ora ci conosciamo; vengo a trattare con voi.

— In nome del Comitato?

— No, a nome mio.

— Aspettate: avete detto che ci conosciamo, ma ho inteso appena qualche volta pronunziare il vostro nome; che sapete voi di me? Il presi[p. 134 modifica]dente, lo chiamerò così, mi ha detto dinanzi a voi che sono un figlio abbandonato di pope, studente, povero e solo; poi ladro di giuoco all’estero, ritornato finalmente in Russia per manìe letterarie. Sapete qualche cosa di più preciso sul conto mio?

— Poichè il Comitato vi ha ricevuto in seduta segreta, era ben informato sul vostro carattere. Ignoro le piccole vicissitudini della vostra vita, ma vi conosco abbastanza per giustificare a me stesso il passo che tento presso di voi.

Loris s’inchinò attendendo.

— Ieri sera esponeste il vostro disegno ad una riunione di studenti in casa del conte Ogareff: fu respinto.

— Come dal Comitato.

— Che pensate ora di fare?

— Che cosa venite a propormi?

— Certamente l’insuccesso di ieri sera non può aver modificato una risoluzione, nella quale impiegaste molti anni. La vostra analisi sulle condizioni del partito nichilista, quantunque non esatta in molti particolari, è nullameno troppo vera nell’insieme perchè possiate voi stesso evitarne le conseguenze; v’ingannaste solo nel modo di esporla, pretendendo che il Comitato Esecutivo si arrendesse a discrezione. Per quanto giovane, dovevate indovinare, che non potevano cedere alla vostra idea per la stessa ragione che lo Czar non può sottomettersi alla nostra. [p. 135 modifica]

— Ammetto questa irritazione del Comitato: ma il momento politico impone a tutte le forze russe di spostarsi. Coloro che si fermano saranno sorpassati.

— Non temiate che ci fermiamo: quello che voi veniste a dirci duramente, lo avevamo già pensato.

— In una rivoluzione non si pensa davvero se non ciò che si ha il coraggio di eseguire.

Il principe parve non sentire l’ingiuria.

— Voi avete bisogno di molte forze per il vostro disegno, ma vi sarà impossibile trovarne per ora fuori del vecchio partito nichilista, come voi lo chiamate. Vengo ad offrirvele.

— Quali sono le vostre condizioni?

— Non ne faccio alcuna; vi espongo la situazione. Bisogna che Alessandro III muoia come suo padre: non è solo un impegno d’onore del partito colla Russia, ma senza di ciò l’uccisione di Alessandro II perderebbe ogni significato. Oggi il governo fa maggior pompa di repressione che pel passato: sottomettervisi è un riconoscere la sua onnipotenza, mentre sciaguratamente il popolo sarà sempre col più forte. Se Alessandro III perisce, la fede nella invincibilità dello czarismo è perduta. Un suddito può uccidere da solo un imperatore, ma che in vent’anni di lotta non mai sospesa due Czar siano costretti a vivere prigionieri della rivoluzione, spendendo mezzo miliardo all’anno nella polizia senza salvarsi dalla [p. 136 modifica]vendetta della rivoluzione, e contro di essi non vi sarà stato un uomo ma un’idea.

— Colui che uccidesse lo Czar s’impadronirebbe di tutte le forze nichiliste?

— Sì.

— Non basta uccidere lo Czar, bisogna che egli muoia con molti, con quanti sarà possibile adunare intorno a lui, altrimenti siamo ancora allo scontro fra suddito e sovrano, che non modifica affatto le loro relazioni nel sentimento della moltitudine.

L’altro lo esaminò fissamente. Parlavano calmi; se qualcuno li avesse potuti udire, li avrebbe creduti due pazzi.

— In dieci anni il Comitato non è riuscito nemmeno, proseguì Loris, ad un attentato che, fallendo, potesse impressionare vivamente l’immaginazione del pubblico.

— Avete ragione; considerate però quale progresso abbia fatto nelle precauzioni per la vita dello Czar la III Sezione, dopo che si finse di abolirla.

— Così venite a propormi quest’impresa come un mezzo per impadronirsi del Comitato. Comprendo che la vostra offerta non possa venire da lui stesso, ma neppure dopo una simile vittoria questo abbandonerà senza resistere la direzione del partito. Non vi è peggior pedante di un rivoluzionario attardato.

Vi fu un intervallo. Loris colla fronte aggrot[p. 137 modifica]tata sembrava in preda ad un grande pensiero improvviso; l’altro l’osservava acutamente per indovinarlo, deciso a non proseguire prima che Loris parlasse. La terribilità di quella conversazione li aveva a poco a poco agghiacciati; fors’anco presentendola più difficile sul principio, si sentivano egualmente travolti verso la fine.

Loris sollevò la fronte.

— Mi affermate sulla vostra parola, che nessuno del Comitato sa quanto veniste a propormi?

— Sulla mia parola.

— Quindi supporranno che io abbia dimesso ogni pensiero d’azione; i letterati infatti sono così.

Il principe annuì con un gesto.

— Se si trattasse di uccidere solamente lo Czar nulla di più facile.

L’altro si scosse, ma Loris replicò:

— Non avreste potuto farlo voi stesso, che andate a corte? Un uomo non è mai che un uomo contro un uomo: ma non si tratta di questo, occorre di più. Bisogna far saltare tutto un teatro in una serata di gala. Czar, corte e aristocrazia.

— Impossibile! ricordatevi il tentativo al Palazzo d’inverno.

— Chi vi ha detto che occorra un tunnel? Trenta chilogrammi di melinite bastano a sprofondare un teatro senza che nessuno si salvi. Lo Czar deve perire a Mosca, nella città sacra dello Czarismo. L’impresa può essere estremamente pericolosa, ma [p. 138 modifica]non difficile per chi si consideri morto anticipatamente. I regicidii arrischiati fin qui fallirono, lasciando nella fantasia dell’Europa un profondo disgusto, perchè colui che li tentava non aveva davvero rinunziato alla vita. Bisogna essere vissuto qualche anno all’estero per comprendere tutto il ridicolo degli attentati contro lo Czar, mentre vi si crede che i nichilisti siano, non solo nell’esercito, ma a corte. Perchè coloro, che riuscivano a mettere un proclama nichilista nella camera dello Czar, non lo hanno ucciso?

Loris sostò.

— Voi stesso, principe, avete qualche volta partecipato al consiglio dello Czar; i giornali citano il vostro nome fra gli invitati ai balli di corte.

Il principe, che si aspettava questa obiezione, rispose prestamente:

— Mia moglie... essa ignora che io appartenga al partito.

— Non intendevo a questo; e la voce di Loris si fece subitamente dura, mentre il suo volto assumeva la severità insensibile di un giudice. È necessario spiegarci più chiaramente. Venni al vostro Comitato per offrirvi l’alleanza colle giovani forze russe, ignare ancora di sè stesse. Che io avessi o no mandato a rappresentarle, e possa stringerle un giorno in pugno come una scure, è un segreto dell’avvenire. Se non riuscirò, tanto peggio per me; altri potrà farlo. Perchè siete voi nella ri[p. 139 modifica]voluzione? Perchè siete voi uccidere lo Czar? Io sono figlio di un pope: mio padre, condannato innocente, morì nel viaggio in Siberia; mia madre si suicidò: son nato nell’ingiustizia, ho sofferto tutte le miserie, ho odiato sempre. Ecco perchè voglio distruggere questo mondo, che soffoca da migliaia di anni tanti milioni di uomini a beneficio di pochi, i quali non lo meritano nemmeno per una apparente superiorità della loro natura. Per me tutti i felici in conseguenza di un privilegio sociale sono nemici; chiunque viva meglio dei poveri, che muoiono di lavoro e di miseria, è colpevole, fosse egli più onesto di Socrate, più caritatevole di Cristo, più intelligente di Hegel, è colpevole. Che cosa avete di comune con coloro, che soffrono, voi che fate ancora soffrire, spendendo per voi solo tutte le vostre ricchezze?

— Non ammettete che si possa amare il popolo senza appartenervi?

— No, non credo ai rivoluzionari per amore. D’altronde chi può amare il dolore del popolo senza averlo diviso? L’ambizione ha spesso gettato nelle file rivoluzionarie signori come voi, ma non vi produssero mai che un ingombro, quando non vi commisero tradimenti. Che cosa vi ha fatto diventare nichilista?

A questa domanda il principe fremè, ma Loris senza lasciargli tempo a rispondere proseguì:

— Ve lo domando, perchè è necessario per entrambi l’intenderci bene prima di unirci per ope[p. 140 modifica]rare. Io sono la miseria; io, figlio di pope, rappresento l’incredulità segreta del clero, il tradimento della religione, che garantiva i ricchi spostando il problema dei poveri in un altro mondo. Mio padre scoperse il proprio ateismo, e fu abbandonato dal popolo. Era giusto: il clero non aveva tradito il popolo per mille anni? Perchè il popolo avrebbe creduto alla sincerità del primo pope, che dichiarava di passare dal suo canto? Poi il popolo non può ancora intendere coloro, che sono pronti a morire per lui. Voi siete principe e milionario: avevate dei servi prima dell’emancipazione, e non li emancipaste; ne avete ora degli emancipati, e non li assolveste dal riscatto; vostra moglie brilla a corte, voi stesso vi occupate più di una carica; perchè tradite lo Czar? Perchè venite nel popolo, volendo rimanere principe e milionario?

— Garibaldi, il maggiore eroe moderno, non ha mai chiesto ad alcuno de’ suoi volontari perchè venissero ad arrolarsi sotto la sua bandiera.

— Garibaldi non era che un soldato, aveva per nemici gli eserciti di un piccolo stato, e conchiudeva la propria rivoluzione appunto dove noi l’incominciamo. Una campagna militare non può durare che sei mesi, la nostra campagna sociale durerà forse più di una generazione: ecco perchè occorre sapere se i volontari, che vi entrano, siano sinceri. Perchè siete voi rivoluzionario?

— Perchè soffro più del popolo. [p. 141 modifica]

— Non direste così se foste popolo. Ma non è l’assetto sociale che vi fa soffrire, perchè nessuno può davvero patire per essere principe e milionario: se tale sublime delicato esistesse, se vi fosse un altro Lisogub, rinuncierebbe subito ad essere principe e milionario gettando alla rivoluzione tutte le proprie ricchezze, e allora ridiventerebbe popolo. Insisto su questo per dovere di combattente. Mi avete proposto la morte dello Czar, vi ho risposto che bisogna spingersi ad un eccidio, nel quale perisca parte della corte e dell’aristocrazia. Manterrò la mia parola; per me lo Czar è appena un simbolo; voi invece non odiate che lui, e non avete osato ucciderlo.

— Mi credete un vigliacco?

— Non è ancora il tempo di giudicarvi. Lo Czar vi ha offeso?

Il volto del principe Vladimiro era diventato livido: un’espressione di odio febbrile ne scomponeva i lineamenti, rivelandone la bestialità, mentre la sua fronte alta ed aggrondata dominava ancora quella tempesta. Evidentemente il principe soffriva.

— Vostra moglie è giovane? gli chiese Loris con spaventevole ironia.

Il principe scattò in piedi; Loris l’imitò.

— Voi odiate, e staccò lentamente le sillabe, lo Czar, perchè vostra moglie lo ha amato.

Il principe parve vacillare.

— Comprendo, l’altro seguitò: non è che un [p. 142 modifica]odio di maschio invece di essere una passione di uomo. Senza ciò non sareste nel partito. L’amore di una donna, che vi ha preferito forse per vanità lo Czar, e che voi amate doppiamente appunto per questo, ecco la vostra rivoluzione.

— Chi siete voi per indovinare così? esclamò il principe indietreggiando di un passo.

— Un uomo, che non ama. Perchè sareste diventato altrimenti rivoluzionario? Non potevate soffrire che così. L’amore per una donna vi ha gettato nell’odio popolare, un amore, del quale non guarirete: ecco perchè vi accetto nella mia impresa; guarendone, forse tradireste. Sedete dunque, dobbiamo ancora parlare.

E d’un gesto l’invitò da capo sul divano.

Allora discorsero dell’impresa. Il principe gli spiegò come egli solo del Comitato Esecutivo facesse questo passo, mentre gli altri quantunque vivamente impressionati dal colloquio si mantenevano entro le vecchie rotaie. Appena uscito Loris, una violenta discussione era scoppiata nel Comitato: il principe aveva sostenuto vivamente il disegno senza riuscire a persuaderli, però due membri alla fine sembravano scossi; il presidente rimaneva irremovibile. L’intenzione del principe, in quell’abboccamento con Loris, era dunque di affrettarlo all’opera, perchè un primo successo gli consentisse d’intendersi col Comitato, e dominarlo. Loris, accettando l’idea di un supremo attentato contro lo Czar nel teatro di Mosca, supererebbe quanto il Comitato [p. 143 modifica]avrebbe appena osato sperare; quindi la rivoluzione passerebbe dallo stadio di setta a quello di guerra.

Il principe parlava lentamente: una lieve balbuzie dava alla sua pronunzia uno stento quasi grazioso, che contrastava colla terribilità dei propositi, ma una più profonda preoccupazione sembrava ogni tanto distrarlo dal discorso. Quell’idea di un attentato nel teatro di Mosca aveva troppo bisogno di essere maturata per discuterne sul momento tutti i particolari; a Loris invece premeva sopratutto di fare sul principe, come membro del Comitato Esecutivo, una grande impressione. Una superbia di autore lo esaltava quindi davanti a quel vecchio, del quale aveva saputo indovinare il tragico segreto, e cui seguitava a studiare acutamente sul volto le traccie della passione, che finirebbe forse coll’ucciderlo. Questo principe diventato rivoluzionario per gelosia di una donna, la quale non capirebbe forse mai la profondità dell’amore ispiratogli, rappresentava la parte più viva dell’aristocrazia russa. La rivoluzione profittava così di tutte le debolezze dei propri nemici, voltandoli contro la società, che doveva distruggere.

Lentamente la conversazione languì: Loris si alzò.

— Voi mi credete un vigliacco, disse il principe improvvisamente, quasi compiendo un lungo ragionamento mentale.

— Non vi è amore senza vigliaccheria. [p. 144 modifica]

— Non avete dunque mai amato?

Loris non rispose: il principe parve rianimarsi.

— Avrei potuto uccidere lo Czar: me lo avete rinfacciato colla durezza dei giovani, che si credono impeccabili perchè non hanno ancora abbastanza vissuto. Avrei potuto ucciderlo, ma non sarebbe stata una vendetta. Ella mi avrebbe trovato doppiamente ridicolo; io marito avrei così valuto sempre meno del suo amante, io principe sarei sempre stato inferiore allo Czar.

La sua voce tremava; si sentiva un dubbio in questa affermazione.

— Non si può amare una donna e la rivoluzione nel medesimo tempo, ribattè Loris.

— Siete dunque più vecchio di me per parlare così!

— Voi domandate alla rivoluzione la rivincita sopra una donna: badate, anche la rivoluzione è donna, e vuole essere amata esclusivamente.

Quindi, correggendo la durezza delle parole colla cortesia dei modi, lo congedò.