Il prato maledetto/VII

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VII. Dove si vede quali effetti sortisse una predica sul giglio delle convalli

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VII. Dove si vede quali effetti sortisse una predica sul giglio delle convalli
VI VIII
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Capitolo VII.

Dove si vede quali effetti sortisse una predica sul giglio delle convalli.

Il povero canonico, rimasto solo, pensò:

— Vedete che vecchio pazzo, quel mio Dodone! Ha paura del lupo, e va a confessarsi da lui, appena escito da me. Ma sarei pazzo, ad aprirgli l’animo mio un’altra volta. Dirò quel che devo alla sua figliuola; al resto ci pensino loro. —

Con questo ragionamento, che metteva in pace la sua coscienza con le necessità della vita, il canonico Ansperto si dispose ad attendere la visita della bianca Getruda. La bianca Getruda! Così l’aveva chiamata il castellano, che aveva mariti a dozzine da offrirle, ma che sicuramente non gliene avrebbe dato nessuno. [p. 129 modifica]

E nessuno ne voleva la bianca Getruda. La nuova Fredegonda correva col pensiero ambizioso alle grandezze che le aveva fatte balenare agli occhi il furbo castellano. E in mal punto capitò suo padre, a raccontarle di aver veduto il canonico Ansperto per via, a riferirle il discorso che questi gli aveva fatto per lei.

Getruda credette poco alla trovata di quell’invito e al pretesto della sacra reliquia. Quella del santo legno era una gran divozione del tempo. Erano scarse ancora le occasioni di pellegrini che andassero a Gerusalemme, ordinariamente per le vie di Costantinopoli, e ne ritornassero portando i pezzettini della croce di Cristo, comperati a poco prezzo, come era poca la fede nella loro autenticità, dai sacri mercanti di Bisanzio.

Poteva darsi benissimo che Ansperto volesse offrire alla sua giovane penitente un minuzzolo della croce, ritrovata parecchi secoli addietro da Elena imperatrice; ma a far ciò non gli sarebbero mancate le occasioni solenni. La chiamata improvvisa, mal colorita [p. 130 modifica] da un incontro casuale, significava chiaraniente a lei che Ansperto si fosse assunto l’incarico di persuaderla alle nozze volute dal padre. Andò preparata: udì la lunga esortazione di Ansperto, e così brevemente rispose:

— Mio padre vuol rompermi il collo. Faccia egli a sua posta, con un nodoso bastone, come mi ha minacciato. Ma non col marito che ha in mente. Io non voglio Marbaudo.

— Figliuola mia, — disse il prete, sospirando. — So bene quali pensieri consigliano questa tua resistenza ai desiderii di un padre. Troppo orgoglio ti è entrato nell’animo, troppo orgoglio della tua bella persona. Con le immagini della vanità, ricordalo, il maligno, il gran nemico, suol perdere le donne, fragilissime tra tutte le creature di Dio. Nella tua casa è uno specchio, antico dono della nobile Gerberga a tua madre. Ma fu un presente fatale, come quello del pomo alla prima madre degli uomini. Pensa, o Getruda, che Iddio ti ha dato la gioventù e la bellezza, doni fugaci, perchè tu piacessi ad un uomo della tua condizione, e da lui avessi figliuoli, per educarli [p. 131 modifica] alla pietà, alla fede, alla virtù, secondo i precetti della Chiesa. Invanire di quei doni fugaci, nutrir pensieri superiori al proprio stato....

— Padre! — interruppe Getruda. — Io ti ascolterò volentieri in ogni discorso che ti piaccia di farmi. Ma questo è vano per me. Io non sento orgoglio della bellezza che tu dici. So io medesima quanto sia povera cosa, e come poco varrebbe, se fosse maggiore. Chi potrebbe ammirarla? chi si degnerebbe di riconoscerla, in quest’umile veste di fanciulla dei campi?

Ansperto avrebbe potuto risponderle: “il castellano, mia cara, il castellano Rainerio, di cui tu ascolti i consigli, come Eva quelli del serpente ingannatore.„ Ma egli si guardò bene di toccare quel tasto. Col nome di Rainerio non c’era da scherzare.

Quella cara fanciulla avrebbe potuto riferire il discorso al castellano, e il castellano non avrebbe risparmiato le sue vendette alla chiesa.

— Capisco.... — diss’egli invece — capisco.... vivi ignorata nella tua dimora campestre; come il giglio delle convalli. Serbati pura [p. 132 modifica] com’esso, figliuola, e Dio ti guardi dall’aspide velenoso, che striscia tra l’erbe e i fiori, tutto inquinando della sua immonda bava. Così vengono ancora all’animo delle fanciulle i brutti pensieri, ed io non posso prevedere chi possa ispirarli. Ben posso raccomandarti di scacciarli da te, di sottrarti ad ogni tentazione, obbedendo ai consigli di tuo padre.

— Non voglio Marbaudo! — ribattè l’ostinata Getruda. — Iddio può forse comandarmi, per obbedienza a mio padre, che io sposi un uomo che non mi piace, e per cui egli non mi ha ispirata nessuna inclinazione? Debbo io obbedire, certa di odiare quell’uomo a cui apparterrò?

— No, figlia mia, non devi andar incontro a questo pericolo. So bene che avversioni e ripugnanze non si vincono, neanche quando sono irragionevoli. E già molto che noi speriamo di poter vincere le nostre affezioni, quando sono colpevoli.

— Ebbene, — ripigliò Getruda, — anzichè diventar cattiva, accettando un uomo che non amerò, preferisco invecchiare nella casa dove son nata. E dicano pure che nessuno [p. 133 modifica] mi ha voluta; io non mi lagnerò. Del resto, non si può fare il bene, anche restando a custodire la casa?

— Certamente, — rispose il prete; — e cosi fecero donne di santa vita, meritando la lode degli uomini e il favore di Dio, Marta e Maddalena vissero senza marito nella loro casa di Betania, ed ambedue, seguendo i precetti di nostro Signore, meritarono di giungere alle beatitudini celesti. Ma io ti raccomanderò allora più particolarmente l’esempio di Marta. Sei tu disposta a seguirlo? 0 non piuttosto li sedurrà quello di Maddalena, la cui giovinezza non fu tutta raccomandabile come l’età matura? Figliuola, io temo per te, così giovane ed inesperta delle lusinghe del mondo. Chiuditi nel silenzio della tua casa, vivi nel cedro della tua onestà, che è buona e fida custodia alla bellezza, e la fa odorare come il nardo di cui Maddalena un bel di non volle più ungere i suoi biondi capegli, ma i piedi del Salvatore. Questo esempio che la donna pentita mi porge, t’insegni a far sacrifizio e tributo dei più preziosi doni, delle ambizioni, delle [p. 134 modifica] vanità che essi portano con sé, all’altare del Dio vero, in cui solo è consolazione, e premio e salvezza. —

Così girava alla predica il buon canonico Ansperto. La predica era il suo forte, o il suo debole, come vi piacerà meglio di dire. Ed è naturale che si caschi da quel Iato verso il quale si pende.

Nè più si parlò del castellano; e la bianca Getruda se ne parti dal chiostro di Santa Maria senza essersi udita ricordare, come temeva, il nome di Rainerio, del tentatore. L’immagine del serpente biblico aveva decorato e coperto ogni cosa.

Ma il serpente, o, per dir meglio, il castellano, aspettava al varco la bella figliuola di Dodone. Essa lo incontrò fuor della porta del borgo, e fu accompagnata da lui un buon tratto di strada, fra Cairo e Croceferrea.

Il barbuto tentatore sapeva dire le coso più tenere, quando voleva, e far risplendere le più belle immagini agli occhi delle donne ambiziose. Dei suoi discorsi sa già qualche cosa il lettore. E poi, si parla sempre bene quando [p. 135 modifica] si trova un orecchio disposto ad accogliere la vostra parola. Rainerio parlò lungamente, volentieri ascoltato da quella imitatrice di Fredegonda.

Ma intanto si venne ad un punto della strada ove era prudente consiglio che il castellano si fermasse, rinunziando alla bella compagnia di Getruda.

La chiesuola di San Donato era vicina, e laggiù nel fondo si vedeva il tetto di pietra della casa degli Arimanni.

— Posso io dunque sperare, — disse Rainerio, prendendo la mano della fanciulla, — che Ansperto, con le sue esortazioni, non abbia troppo mutato il tuo cuore? e che le grandi cose che io farò per la tua elevazione mi meriteranno qualche favore?

— Ah, le grandi cose! — esclamò Getruda, ridendo. — Bada, o mio signore! Io vedo una congiura di tutti, contro il tuo bel disegno. La povera Fredegonda cadrà nelle mani di qualche rustico marito, prima d’incamminarsi a diventar regina, nelle maravigliose contrade che tu le hai decantate. [p. 136 modifica]

— E sposeresti Marbaudo?

— O lui, o un altro, prevedo che mi opprimeranno tanto!...

— Oh, non sarà! — interruppe Rainerio. — Tu prevedi; io provvederò. Nè Marbaudo nè altri ti avrà. Rustica gente, tu l’hai detto, e non degna di te! Vedi quel prato, che si stende dalla cappella di San Donato fin sotto al podere degli Arimanni, dove alloggia il prescelto di tuo padre? Orbene, il tuo Marbaudo lo ha falciato, per gran valentia, nello spazio di otto giorni; e perchè ha fatto questa grande impresa, vorrebbero dargli in moglie Gctruda!

— Perchè non in due giorni di lavoro? perchè non tra un’alba e un tramonto? — sclamò Getruda, torcendo le labbra in un amaro sorriso. — Andrei superba tra tutte le donne di questa valle. Ma vedete, il mio maritino? In quattro colpi di falce, questo miracolo d’uomo ha tagliato tutto il fieno nel maggese di San Donato. Oh, oh, il bel maritino ch’io ho! —

Rainerio non potè trattenersi neppur egli dal ridere. [p. 137 modifica]

— Ecco una bella pensata, — diss’egli, — che potrebbe mettere a segno il pazzo Dodone e quell’altro sciocco predicatore del canonico Ansperto. Se trovano uno che falci il maggese di San Donato in quattro dì, lo antepongono a Marbaudo; se ne trovano un altro che sia capace di falciarlo in due dì, lo antepongono a quest’altro.

— Orbene, — riprese Getruda, — interponi la tua autorità, bel castellano. Persuadi mio padre a far questa prova.

— Farò meglio! — borbottò Rainerio. — Farò meglio! Non è neanche necessario persuadere Dodone. Una parolina al conte Anselmo, quando io gli porterò i lucenti oboli d’oro del fondo di Croceferrea, e avremo messo in un bell’impiccio quel rustico Marbaudo, che tutti vogliono dare per marito alla bellissima Getruda. Promettimi di tener fermo per tutta la settimana.

— Anche per due; — rispose Getruda. — Mio padre vuol rompermi le ossa; ma non vorrà mica ammazzarmi. —

Rainerio le prese la mano e la strinse forte [p. 138 modifica] traendola a sé, e ficcando i suoi neri occhi nei bianchi e fiammeggianti di lei.

— Fredegonda! — mormorò egli. — Rammentalo!

— Regina di.... Non posso mai ricordarmi del paese che hai detto; — soggiunse l’ambiziosa fanciulla.

— Di Neustria; — rispose il castellano. — Di là venne il mio nonno, con le lance di Guido di Spoleto. Laggiù andremo a prendere la fortuna pei capelli. Ma ch’io baci i tuoi, Getruda! —

La fanciulla volse un’occhiata intorno, e raffidata avvicinò la fronte al petto di Rainerio; poi ridendo fuggì.