Il tesoro del presidente del Paraguay/21. Una detonazione misteriosa

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21. Una detonazione misteriosa

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20. I giaguari delle pampas 22. Attacco notturno


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XXI.

Una detonazione misteriosa.


I
giaguari (felix onca), senza essere i più grandi animali del continente americano, sono i più terribili e i più sanguinari; non la cedono che agli orsi grigi delle Montagne Rocciose, dei quali è già fin troppo nota la ferocia e la forza, che è veramente irresistibile.

L’Asia ha le tigri, l’America ha i giaguari: due razze che si somigliano per la struttura, per gl’istinti, per lo slancio e per la vigoria, che in certi casi è superiore a quella dei leoni. Non diversano che nel mantello, poichè, mentre nelle prime la pelle è striata di nero e di arancio, nei secondi invece è irregolarmente picchiettata di macchie color rosa con grossi punti neri nel mezzo su di un fondo giallognolo che è veramente superbo; sono anche un po’ più piccoli delle prime, poichè di rado superano i due metri di lunghezza dall’estremità del muso alla radice della coda.

I giaguari s’incontrano in tutta l’America del Sud, ma non sono rari anche nel Messico, nella California e nel territorio indiano fin presso le Montagne Rocciose. Ma, come dicemmo, la loro vera patria è l’America del Sud e più specialmente le fitte boscaglie del Brasile, delle repubbliche meridionali e le grandi praterie della Patagonia. Formidabili distruttori di carne, poichè sono dotati di una voracità straordinaria, fanno vere stragi di selvaggina, e nelle pampas [p. 180 modifica]recano immensi danni ai mandriani, abbattendo indistintamente cavalli e buoi. È tale la loro forza, che basta un colpo di zampa per ispezzare la colonna vertebrale al più grosso animale, e non di rado se ne sono veduti taluni varcar d’un salto un recinto, portando in bocca un grosso capo di selvaggina o un vitello.

La loro audacia vince talvolta quella della stessa tigre, poichè non teme l’uomo, anche se formidabilmente armato. Attacca indistintamente qualunque essere vivente, si avvicina ai villaggi per rapire le donne e i fanciulli, e si narra perfino che un giaguaro, entrato una volta in una chiesa, sbranò tre preti e un sagrestano prima di venire ucciso.

Il felino ucciso dai marinai era uno dei più superbi campioni, poichè toccava i due metri. Le due palle lo avevano ridotto in cattivo stato, poichè quella di Cardozo gli aveva fracassata la spalla destra, e la seconda gli aveva spaccato il cranio, mettendo a nudo un buon tratto della scatola ossea. La morte, dopo il secondo colpo di carabina inviatogli dal mastro, doveva essere stata istantanea.

— Corpo d’un treponti sventrato! — esclamò il degno lupo di mare, che girava e rigirava attorno al cadavere. — Ecco davvero un bel colpo e sparato proprio a tempo; un momento di ritardo, e tu, mio povero ragazzo, eri spacciato.

— Ti giuro che me la son vista brutta, marinajo, — disse Cardozo, che non si era ancora completamente rimesso dall’emozione. — Si ha un bel dire che una palla può uccidere anche un elefante, ma ti confesso che ho provato una gran paura.

— Bah! Sei stato anche troppo bravo, ragazzo mio. Ho conosciuto degli uomini due volte più forti di te, che tremavano tanto dinanzi ad un giaguaro da non essere capaci d’alzare il fucile.

— Dimmi, marinajo: che sia stato questo a divorare il piccolo patagone?

— Non te lo so dire; ma, sia stato questo o un altro, per noi è tutt’uno. Lo porteremo al campo e al capo diremo che l’abbiamo ucciso mentre stava rosicchiando la vittima. [p. 181 modifica]

— Ritorniamo?

— Aspetta un momento.

Sciolse una lunga corda di pelle intrecciata, una specie di lazo, legò la belva pel collo e provò a tirare.

— È un po’ pesante, ma verrà — disse. — Andiamo, ragazzo, che ho una fame diabolica.

Si attaccarono tutti e due alla corda e, riunendo le loro forze, si misero a trascinare il carnivoro attraverso la foresta. Dopo parecchie fermate onde dar riposo ai loro piedi, che in causa del taglio aperto dallo stregone si erano gonfiati mettendo sangue, giunsero nella prateria, dove si fermarono di comune accordo, in preda ad una certa inquietudine.

Ad un centinaio di passi dal margine del bosco, una cinquantina di cavalieri pareva li aspettassero. Erano tutti armati di lance, di bolas, di lazos e di coltelli d’ogni forma e dimensione, e dipinti di bianco dalle anche fino al collo. Dinanzi a loro, ad una breve distanza, stava il capo Hauka, pure dipinto di bianco e con una grande penna infissa nella pezzuola bianca che stringevagli la fronte.

— Corpo d’un cannone! — esclamò il mastro. — I nostri pagani colla pittura di guerra! Cosa vuol dir ciò?

— Ehi, marinajo, — esclamò Cardozo. — Che abbiano intenzione di giuocare qualche brutto tiro?

— Non ne so più di te. Vedi il signor Calderon?

— Eccolo là in mezzo. Mi pare che abbiano dipinto anche il povero uomo.

— È carico il tuo fucile?

— A doppia palla.

— Tienti pronto a tutto, figliuol mio, e quando darò il comando fa’ fuoco sul capo.

Hauka, che aveva scorto i due cacciatori, s’avanzava di carriera, spronando vivamente il suo superbo cavallo. Giunto a pochi passi, si arrestò e, rivolgendosi al mastro, disse:

— Sei un brav’uomo.

— Lo credo, capo, — rispose il mastro.

— Conosci le nostre pitture? [p. 182 modifica]

— Sì.

— Andiamo alla guerra, come ben vedi.

— Contro chi?

— Lo saprai; lascia il giaguaro e vieni.

— Ma noi siamo stanchi.

— I figli della luna sono forti.

— Ma io muojo di fame.

— Si parte, — disse il capo ruvidamente.

Mandò un lungo fischio, servendosi di un osso che pareva un flauto. Tosto due guerrieri si fecero innanzi, conducendo per la briglia due vigorosi cavalli di prateria, dalla testa leggera, i fianchi stretti, le gambe secche e nervose come quelle dei cervi.

— In sella, — comandò il capo.

Cardozo e il mastro, ben sapendo che ogni resistenza sarebbe stata pericolosa, balzarono in arcione. I guerrieri che stavano schierati nella prateria raggiunsero il capo, conducendo con loro il signor Calderon, che montava un mustano dal mantello bianco, adorno di ogni sorta di amuleti.

Due uomini ad un ordine del capo scesero di sella, si caricarono del giaguaro e s’avviarono verso il campo, le cui tende rapidamente venivano sciolte e arrotolate; gli altri si avviarono di galoppo verso il Rio Negro, dove un’altra banda, formata da una cinquantina di uomini che pareva appartenessero ad un’altra tribù, li attendevano.

— Ma dove andiamo noi? — chiese Cardozo, che non si era ancora rimesso dallo stupore cagionatogli da quell’improvvisa partenza.

— Ne so meno di te, figliuol mio, — rispose il mastro, che gli cavalcava vicino. — Pare che sia accaduto qualche cosa di grave, poichè noi andiamo alla guerra a giudicarlo dalle pitture dei nostri uomini.

— Ma contro chi?

— Contro gli uomini del Nord, — rispose una voce dietro di loro.

Si volsero e videro l’agente del Governo, il quale, cosa veramente strana, pareva che fosse di buon umore. [p. 183 modifica]

— Gli argentini forse? — chiese il mastro.

— Dei cavalieri hanno recato la notizia che gli argentini si battono, e i Patagoni accorrono per saccheggiare le frontiere assieme ai Pampas.

— Pare che siano un po’ in ritardo in fatto di notizie questi signori selvaggi, — disse Cardozo. — Per Giove! Sono parecchi mesi che la guerra è scoppiata fra le repubbliche del Sud e il nostro paese.

— Arriveranno sempre a tempo.

— Sono arcicontento di questa spedizione, — disse il mastro. — Ci avvicineremo ai paesi civili e ci sarà più facile darcela a gambe.

— Lo spero, — rispose il signor Calderon.

La banda era allora giunta sulla riva del Rio e si era arrestata. Due guerrieri si avanzarono verso il fiume, scandagliando colle loro lance il letto, a fine di assicurarsi della profondità dell’acqua, poi entrarono risolutamente nella corrente.

— Cerca di rimanere indietro, Cardozo, — disse il mastro. — Possono giungere da un istante all’altro quei dannati mondongueros e causare una confusione funesta.

— Sarò uno degli ultimi, — rispose il ragazzo.

I cavalieri, a tre, a quattro, senza ordine di sorta, entrarono nel fiume, spronando i cavalli, che pareva avessero fiutato qualche pericolo, poichè si mostravano recalcitranti, sferrando calci per ogni dove. In breve tutta la banda si trovò immersa, coll’acqua fino alle anche. Si trovava già a mezza via, quando si udirono i due cavalieri che si trovavano in testa mandare delle grida che parevano improntate di un vivo terrore. Quasi subito si videro i loro cavalli inalberarsi, sollevando intorno delle vele ondate.

— I mondongueros? — chiese Cardozo a Diego.

— Temo che vi sia qualche cosa di peggio, — rispose il mastro, che scrutava la corrente.

Ad un tratto, tra i cavalli che seguivano le guide, si manifestò una grande confusione. Nitrivano disperatamente, balzavano a destra e a sinistra urtandosi furiosamente, sfer[p. 184 modifica]ravano calci, s’impennavano tentando di rovesciare i cavalieri, che non parevano meno spaventati e che mandavano grida di vero terrore.

In mezzo alla onde sollevate dai destrieri si vedevano apparire e scomparire dei lunghi corpi nerastri, che somigliavano a grosse anguille, le quali pareva si accanissero contro i disturbatori della quiete acquatica.

— Tuoni e lampi! — esclamò il mastro impallidendo.

— Cosa succede? — chiese Cardozo, che dava furiose speronate al cavallo e che stringeva fortemente le ginocchia per non venire buttato giù.

— I gimnoti! Sprona, Cardozo, sprona!

Il ragazzo stava per obbedire, quando ricevette un colpo che parve una vigorosa scarica elettrica. Il suo cavallo emise un nitrito di dolore e fece uno scarto violento, piegandosi poscia sulle gambe, come se le forze gli fossero venute meno.

— Cardozo! — esclamò il mastro.

Il povero ragazzo, intontito da quella strana scossa, che non sapeva ancora a chi attribuire, perdette l’equilibrio e cadde di sella; ma il mastro, che gli era vicino, fu pronto ad afferrarlo per la cintola e a trarlo sul proprio cavallo.

— Cardozo, figlio mio, — esclamò.

— Non spaventarti, marinajo, — rispose il giovanetto, che ebbe la forza d’animo di sorridere. — Ho perduto le forze: ecco tutto.

— Cerca di tenerti aggrappato a me.

Poi cacciò gli sproni nel ventre del cavallo, che si mise a balzare innanzi, tagliando la corrente obliquamente. Il bravo marinajo, sempre spronando e eccitando il destriero colle briglie e colla voce, evitò i cavalli dei Patagoni, che si dibattevano furiosamente in mezzo al fiume, scavalcando i cavalieri, correndo all’impazzata per ogni dove, cadendo e risollevandosi, e raggiunse la riva opposta.

Cardozo, rimessosi dalla scossa ricevuta, fu pronto a lasciarsi scivolare a terra. Parecchi cavalli erano già arrivati, ma quasi tutti privi di cavalieri, e giacevano distesi in mezzo [p. 185 modifica]all’erba, come se fossero impotenti a muoversi. Tremavano fortemente, mandavano nitriti dolorosi, i loro occhi brillavano più del solito ed erano straordinariamente dilatati, e dalla bocca lasciavano cadere un’abbondante schiuma sanguigna.

I Patagoni che giungevano, non sembravano in miglior stato, e si stropicciavano vigorosamente le membra indolenzite.

— Ma con quali nemici abbiamo avuto da fare? — chiese Cardozo, che seguiva con sorpresa i salti disordinati dei cavalli che si trovavano ancora in mezzo al fiume.

— Coi gimnoti, ti ho detto, — rispose Diego.

— Che pesci sono?

— Sono specie di anguille che si trovano nei nostri fiumi dell’America del Sud e che pare possiedano una vera pila elettrica, poichè lanciano delle scariche poderose, che talvolta riescono anche mortali per gli esseri deboli.

«Vivono in mezzo al fango; ma quando sono disturbati salgono a galla e attaccano i disturbatori con grande accanimento. Fortunatamente dopo la prima scarica i gimnoti perdono le loro forze e diventano pressochè innocui, poichè occorre loro un certo tempo per riprendere vigore e tornar a scaricare.

«Guarda: non li vedi galleggiare in gran numero mezzi morti?

— Infatti scorgo parecchie anguille.

— La lotta è finita, — riprese il mastro. — Ecco i cavalli che tornano tranquilli e che si affrettano a guadagnare la riva.

Infatti tutti i cavalli che si trovavano in mezzo al fiume si avanzavano frettolosamente, carichi di uomini che si erano aggrappati alle criniere e alle code, quasi tutti, dal più al meno, sofferenti per le scosse ricevute. Tanto i primi quanto i secondi, appena giunti a terra, si lasciarono cadere come se fossero privi di forze.

— E il signor Calderon? — chiese Cardozo, che era disceso incontro ai nuovi arrivati. [p. 186 modifica]

— Eccolo là sul suo cavallo, — rispose il mastro, che loro aveva seguìto. — Mi pare che non stia troppo male, poichè il suo viso non mi sembra niente alterato.

— Signor agente, come stiamo di salute? — chiese Cardozo. — Siete stato anche voi fulminato?

— No, — rispose seccamente Calderon.

— Fortunati stregoni! — esclamò il mastro ironicamente. — Possiedono persino la potenza di paralizzare le scariche dei gimnoti!

L’agente gettò sul marinajo uno sguardo obliquo, ma non rispose, e si avvicinò al capo Hauka, che stava discutendo calorosamente con parecchi guerrieri.

— Che brutto sguardo! — esclamò il mastro ridendo. — Pare che non sia contento dell’alta carica conferitagli dal capo.

— Bada che non ti faccia qualche brutto tiro, marinajo.

— Bah! Finchè abbiamo i milioni, non ardirà alzare un dito contro di noi, e poi sa bene che senza il nostro aiuto non sarà mai capace di sfuggire alle unghie del capo.

— Ma credi tu...

Cardozo si era bruscamente interrotto. Una detonazione si era improvvisamente udita verso il nord, dietro una grande macchia di carrubi che si estendeva lungo la riva sinistra del fiume.

Hauka e i guerrieri balzarono in piedi come un sol uomo colle lance in pugno, gettando sguardi inquieti sulla piccola boscaglia che nascondeva la grande prateria.