Invito d'un solitario ad un cittadino (1891)

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Vincenzo Monti

1793 Indice:Poesie (Monti).djvu Odi Letteratura Invito d’un solitario ad un cittadino Intestazione 1 agosto 2021 75% Da definire

Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia (1891) In morte di Ugo Bassville


Questo testo fa parte della raccolta Poesie di Vincenzo Monti


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INVITO D’UN SOLITARIO AD UN CITTADINO

Contenuto: Tu che vivi giorni dolorosi nelle corti, vieni fra questi boschi e sarai beato (1-4). Qui né pianto d’afflitti, né rumori d’armi: sola legge la natura, che saggiamente ci ammaestra con le piú piccole cose (5-36). Vieni dunque e fuggi le empie città, fuggi i pericoli e gli orrori dei sollevamenti politici, oggi, in ispecie, che i Francesi sgomentano le genti con le armi e co’ pensieri e tentano perfino di distruggere Dio (37-60): ma egli è lí lí per vendicarsi di tanti delitti e di tanta audacia (61-61). — Quest’ode fu composta nella fine del ’92 e «dapprima, afferma il Ticchi (VII, p. 62), non girò che manoscritta». Certo venne pubblicata solo l’anno appresso nelle note all’edizione che della Bassvilliana fece il Salvioni in Roma. — Chi fosse il cittadino che il p. invitava nella solitudine in cui era o si fingeva, non si ea, nemmeno per ipotesi. — Il metro è il saffico, rimato secondo questo schema ABBa: ma del saffico latino non conserva piú nulla, perché i primi [p. 46 modifica]tre versi endecasillabi dovrebbero, per simulare perfettamente il saffico minore, avere la cesura dopo la quinta, e l’ultimo sarebbe necessario fosse non un settenario, ma un quinario e coll’accento per lo piú su la prima, al fine di imitare l’adonio. Cfr., per la storia della strofa e dell’ode saffica in Italia, il mio studio Dell’ode Alla Musa di Giuseppe Parini: Firenze, Sansoni, 1889, p. 7 e segg. [p. 47 modifica] [p. 48 modifica]


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Tu che servo di corte ingannatrice1
     I giorni traggi dolorosi e foschi,
     Vieni, amico mortal, fra questi boschi,
                         4Vieni, e sarai felice.
Qui né di spose né di madri il pianto,
     Né di belliche trombe udrai lo squillo2;
     Ma sol dell’aure il mormorar tranquillo
                         8E degli augelli il canto.
Qui sol d’amor sovrana è la ragione3,
     Senza rischio la vita e senza affanno;
     Ned4 altro mal si teme, altro tiranno,
                         12Che il verno e l’aquilone.
Quando in volto ei mi sbuffa e col rigore5
     De’ suoi fiati mi morde, io rido e dico:
     Non è certo costui nostro nemico
                         16Né vile adulatore.
Egli del fango prometèo6 m’attesta
     La corruttibil tempra, e di colei
     Cui donaro il fatal vase gli dei7
                         20L’eredità funesta.

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Ma dolce è il frutto di memoria amara8;
     E meglio tra capanne e in umil sorte,
     Che nel tumulto di ribalda corte,
                         24Filosofia9 s’impara.
Quel fior che sul mattin si grato olezza
     E smorto il capo su la sera abbassa
     Avvisa, in suo parlar, che presto passa
                         28Ogni mortal vaghezza10.
Quel rio che ratto all’oceàn cammina,
     Quel rio vuol dirmi che del par veloce
     Nel mar d’eternità mette la foce
                         32Mia vita peregrina.
Tutte dall’elce al giunco11 han lor favella,
     Tutte han senso le piante: anche la rude
     Stupida12 pietra t’ammaestra, e chiude
                         36Una vital fiammella.
Vieni dunque, infelice, a queste selve:
     Fuggi l’empie città, fuggi i lucenti
     D’oro palagi, tane di serpenti
                         40E di perfide belve.
Fuggi il pazzo furor, fuggi il sospetto
     De’ sollevati13; nel cui pugno il ferro
     Già non piaga il terren, non l’olmo e il cerro,
                         44di Ma de’ fratelli il petto14.
Ahi di Giapeto iniqua stirpe15! ahi diro

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     Secol di Pirra! Insanguinata e rea
     Insanisce la terra, e torna Astrea16
                         48All’adirato empiro.
Quindi l’empia ragion del piú robusto,
     Quindi falso l’onor, falsi gli amici,
     Compre le leggi, i traditor felici,
                         52E sventurato il giusto.
Quindi vedi calar tremendi e fieri
     De’ Druidi i nipoti17, e violenti
     Scuotere i regni e sgomentar le genti
                         56Con l’armi e co’ pensieri.
Enceladi novelli18, anco del cielo
     Assalgono le torri; a Giove il trono
     Tentano rovesciar19, rapirgli il tuono
                         60E il non trattabil telo20.
Ma non dorme lassi la sua vendetta,
     Già monta su l’irate ali del vento;
     Guizzar già veggo, mormorar già sento
                         64Il lampo e la saetta.


Varianti

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N.B. Queste varianti sono state ricavate dalla prima stampa citata.
2-3. I giorni meni travagliati e foschi, Vieni, afflitto mortal,
5. Qui non di spose né
6. Né di galliche trombe
7. Ma sol dell’aure il susurrar
13. Quando in volto mi soffia e col rigore
19. Cui del vaso fatal fêr dono i dei

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25. sí vago olezza
38-43. Fuggi l’empie città, fuggi i vestigi Di Marte sanguinosi e di Parigi Le vagabonde belve. Fuggi l’avaro suol di colpe infetto, Ove crudo impiagar sí vede il ferro Non il pigro terren, [p. 48 modifica]
47-48. Lasciò la terra un’altra volta Astrea E riserrò l’Empiro.
63. Già nella destra mormorar gli sento.

Note

  1. 1. corte ingannatrice: Prometeo I, 471: «Luogo sarà nelle cittadi impuro, D’ogni vizio sentina, a cui di corte Daran nome i mortai, d’abisso i numi».
  2. 6. Né di belliche trombe ecc.: Tasso VII, 8: «né strepito di Marte Ancor turbò questa remota parte».
  3. 9. d’amor... la ragione: la legge dell’amore.
  4. 11. ned: Alla particella né, per sostegno della pronunzia, s’aggiunse talvolta, come qui, il d. Petrarca P. I, son. 119: «Ned ella a me per tutto il suo disdegno Torrà già mai.... Le mie speranze e i miei dolci sospiri». Tasso V, 81: «Ned ella avrà da me, se non la sdegna, Men pronta aita, o servitú men fida».
  5. 13. rigore: la fredda forza.
  6. 17. del fango prometèo: della razza umana. Prometeo (il preveggente), figlio di Climene e del titano Giapeto, avvivò, col fuoco rapito a Giove, l’uomo ch’egli aveva plasmato di creta: per che fu dal dio fatto incatenare sul Caucaso; e il fegato di lui, rinascente ogni notte, divorava di giorno un’aquila. Cfr. Eschilo Prom. passim e Virgilio Ecl. VI, 42. Da un tale tormento fu poi liberato da Ercole. Cfr. Esiodo Teog. 521.
  7. 18. di colei ecc.: di Pandora, cosí chiamata, perché ebbe doni da tutti gli dei (pan: tutto; dóron; dono): da Venere, la bellezza; da Mercurio, l’eloquenza ecc. Con un’urna chiusa, che Giove le aveva data, andò a Prometeo: egli non accolse né il dono, né la donatrice. Non cosí Epimeteo fratello di lui, il quale, innamorato della bella fanciulla, prese il vaso, che, aperto, versò su la terra ogni sorta di malattie e di dolori. Cfr. Esiodo Op. e gior., 83 e Orazio Od. I, iii, 29.
  8. 21. Ma dolce ecc.: ma il ricordare la corruttibile natura dell’uomo, ch’è per sé stessa cosa dolorosa, può esserci di giovamento nel renderci men timorosi della morte.
  9. 24. Filosofia: una sana e retta norma di vita.
  10. 25. Quel fior ecc.: Similitudine e concetto comuni a poeti antichi e moderni. Di esempi rechiamo solo questi due, non molto noti: Poliziano (ed. Card. p. 213): «Fresca è la rosa da mattino, e a sera Ell’ha perduto suo’ belleza altera». Lorenzo de’ Medici, Corinto: «Cosí le (rose) vidi nascere e morire E passar lor vaghezza in men d’un’ora. Quanto languenti e pallide vidi ire Le foglie a terra, allor mi venne a mente Che vana cosa è il giovanil fiorire».
  11. 33. dall’elce al giunco: dalle piú superbe alle piú umili piante.
  12. 35. Stupida: insensata. — e chiude ecc.: Anche il Tommaseo, non so piú dove: «Tutto quel che ci è intorno, dall’atomo di polve al maggior de’ pianeti, tutto ci parla, purché sappiamo ascoltare».
  13. 41. Fuggi ecc.: «Ritraendoti nella solitudine dei campi eviterai di trovarti in mezzo ai furori e ai sospetti di un popolo sollevato». Cas.
  14. 43. Già non piaga ecc.: non è usato per i miti lavori dell’agricoltura, ma per commetter uccisioni di fratelli.
  15. 45. Ahi ecc.: «Si consideri che questi versi erano dettati al poeta dal disgusto provato alle notizie che giungevano ogni momento dalla Francia, dei nuovi delitti commessi dai rivoluzionari nel periodo del terrore; e si legga in confronto ad essi il seguente sonetto del Monti,... composto nel 1793: «Fingi, o scultor, di sangue umano lordo Sovra carro di fuoco il genio franco: E congiurati in vergognoso accordo Terrore e Crudeltà gli stiano a fianco. Ai preghi, ai pianti, alla pietà sia sordo Il ferreo cor di stragi unqua non stanco: Roti la spada il braccio destro; e ingordo Alloro slanci e alle ruine il manco. Sotto il piè vincitor l’iniquo prema Giustizia e Umanità; veli sua fronte Religïone per orrore, e gema. Ritto abbia il crine ed infocati gli occhi, E porti in petto queste note impronte: Son lo sdegno di Dio: nessun mi tocchi». Cas. — di Giapeto: cfr. la nota al v. 17. Orazio Od. I, iii, 27: audax Iapeti genus. — ahi diro ecc.: Il tremendo (diro) secol di Pirra (Orazio Od. I, ii, 6: grave saeculum Pyrrae) è quello in cui gli dei, stanchi delle colpe degli uomini, allagarono col diluvio la terra, restando soli in vita Pirra e Deucalione, che, gettandosi pietre dietro le spalle, ricrearono il genere umano. Cfr. Ovidio Metam. I, 350.
  16. 47. Astrea: figlia di Giove e di Temi, dea del giusto e dell’onesto.
  17. 54. De’ Druidi i nipoti: i Francesi. Cfr. la nota al v. 103, c. II della Bassvill.
  18. 57. Enceladi novelli: ribelli a Dio, come già Encelado, uno dei Giganti che combatté contro Giove e fu, vinto, sepolto sotto l’Etna. Ariosto, XII, 1: «Tornando.... Là dove calca la montagna etnea Al fulminato Encelado le spalle». Cfr. anche Virgilio En. III, 578. — anco del cielo ecc.: Orazio Od. I, iii, 58: Coelum ipsum petimus stultitia, neque Per nostrum patimur scelus Iracunda Iovem ponere fulmina.
  19. 58. a Giove ecc.: tentano negare perfino l’esistenza di Dio. Cfr. la nota al v. 325, e. III della Bassvill.
  20. 60. non trattabil telo: il fulmine non maneggiabile