Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia (1891)

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Vincenzo Monti

1784 Indice:Poesie (Monti).djvu Poemi Letteratura Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia Intestazione 1 agosto 2021 75% Da definire

Sulla morte di Giuda Invito d'un solitario ad un cittadino (1891)
Questo testo fa parte della raccolta Poesie (Monti)
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alla marchesa

ANNA MALASPINA DELLA BASTIA


Contenuto: Questi versi divini dell’Aminta, dettati a Torquato da Amore, dedico, o Anna, a te e alla tua figlia nel dí delle sue nozze; perocchè nulla piú si conviene ai misteri d’amore di volume amoroso, e nulla piú della poesia può riuscir grato a’ Malaspina (1-22). Essi, in fatti, ospitarono cortesemente l’esule Alighieri, che nella tranquillità della loro casa poetò e che, grato agli antichi benefattori, infonde nel cuore dei nipoti di essi il santo amore delle Muse (22-55). N’è prova la protezione che tu, o eccelsa donna, desti a Comaute, che fu in Parma quando vi rifiorirono, sotto gli auspici di Ferdinando, le arti e le scienze (56-91), e vi splendé il mio dotto Paciaudi, che mi sarà acerba e onorata rimembranza per sempre (92-97). Ombra diletta, se laggiú nell’Eliso vedi Torquato, salutalo per me e digli delle cure ch’io ho poste nella novella edizione del suo Aminta, e anche del bel nome che le accresce splendore (97-113). Egli ne sarà ben lieto, e solo si dorrà che Anna non sia vissuta a’ tempi suoi, chè certo avrebbe trovato in lei una valida protettrice contro le ingiurie degli uomini e della sorte (113-130). — La marchesa Marianna (Annetta) Malaspina, figlia di Azzo Giacinto dei signori di Mulazzo e della n. d. Lucrezia di Scipione Avogadro di Brescia, sposò nel 1747 il march. Giovanni, ch’era figlio di Serafino Malaspina della Bastia e della contessa Teresa Borri di Parma, e che morí in questa città il 6 gennaio 1783. Da tale matrimonio nacquero cinque femmine, due delle quali morirono una celibe, l’altra bambina. Delle tre altre, Enrichetta andò sposa, nel 1769, al march. Demofilo Paveri di Piacenza, gran scudiere di Ferdinando di Borbone; Adelaide, nel 1775, al conte Alessandro Arrivabene di Mantova; Giuseppina Amalia (quella che a noi importa), nel 1783, al conte Artaserse di Leonardo Baiardi (non Boiardi) di Parma. A perpetuare la memoria di queste ultime nozze il celebre tipogr. saluzzese Gian Battista Bodoni (1740-1813) pubblicò l’anno appresso una splendida ediz. dell’Aminta di T. Tasso curata dall’ab. Pier Antonio Serassi (Parma, colla data di Crisopoli, 1789), e pregò il Monti che a nome suo ne scrivesse la dedica ad Anna. Altre maravigliose ediz. dell’Aminta fatte dal Bodoni sono una del ’93 e due del ’96. La prima ediz. contraffece (nel 1792, ma con la data dell’89), per fini industriali, Giuseppe Bodoni, fratello e collaboratore di G. B. Cfr. Gamba, p. 283 e Graesse, p. 37. Tornando ad Anna, è a sapere ch’essa, donna di straordinaria bellezza, di colto ingegno, generosa, ma piena d’orgoglio, fu lo splendore della corte borbonica al tempo del duca Filippo (1720-1763), che l’aveva prescelta a dama di compagnia di sua moglie Luisa Elisabetta di Francia; e anche di Ferdinando (1751-1802), almeno nel principio. Fiorí allora in Parma, tra gli altri, C. I. Frugoni (cfr. la nota al v. 56), che cantò la sua bella protettrice, la Malaspina, in mille modi e volle ch’ella fosse inscritta all’Arcadia, col nome di Fiorilla Deianeia. E Fiorilla compose anche qualche verso. Fu amicissima dell’illustre ministro di quella corte Guglielmo Du-Tillot (1711-1774), che aveva saputo, colle sue provvide leggi e disposizioni, rendere Parma il centro del [p. 40 modifica]sapere e della civiltà di que’ giorni, tanto da meritarle il titolo di Atene italiana. Cfr. Botta, vol. I, p. 33 e Albic. p. 407 e segg. Ma quando l’austriaca Maria Amalia sposò, nel 19 nov. 1768, il duca Ferdinando, succeduto al padre nel ’65, il Du-Tillot, per l’odio che Maria aveva contro i Francesi, cadde in disgrazia, ed Anna con lui, che, d’ordine sovrano, fu relegata nel 1771 nella sua villeggiatura del Pantaro, a sei ch. circa da Parma sul torrente Enza. Dopo, a poco a poco, tornò a riacquistar grazia; ma non molto si faceva vedere a corte, ché il piú dell’anno soggiornava, con isquisita compagnia d’amici e di letterati, nella villa su detta, ove furono festeggiate le nozze delle due ultime figlie. Morí di apoplessia il giovedi grasso 5 marzo 1797, essendo a mensa. Delle notizie che riguardano questa donna insigne, necessarie alla piena intelligenza de’ versi divini del M., alcune abbiamo ricavate dal Litta (Malasp. tav. XXII); altre, e le piú, ci sono state comunicate dalla gentilezza squisita del direttore dell’archivio municipale di Parma, sig. E. Scarabelli Zunti. — Il metro è il verso sciolto: cfr. la nota d’intr. a p. 22.

I bei carmi divini onde i sospiri
     In tanto grido si levâr d’Aminta1,
     Sí che parve minor della zampogna
     L’epica tromba2, e al paragon geloso
     5Dei primi onori dubitò Goffredo3,
     Non è, donna immortal, senza consiglio4
     Che al tuo nome li sacro, e della tua
     Per senno e per beltate inchta figlia
     L’orecchio e il core a lusingar li reco,
     10Or che di prode giovinetto in braccio
     Amor la guida. Amor piú che le Muse
     A Torquato dettò questo gentile
     Ascreo5 lavoro; e infino allor piú dolce

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     Linguaggio non avea posto quel dio
     15Su mortal labbro, benché assai di Grecia6
     Erudito7 l’avessero i maestri
     E quel di Siracusa8 e l’infelice
     Esul di Ponto9. Or qual v’ha cosa in pregio
     Che ai misteri d’Amor piú si convegna
     20D’amoroso volume? E qual può dono
     Al Genio Malaspino esser piú grato
     Che il canto d’Elicona? Al suo favore
     Piú che all’ombre cirrèe10 crebber mai sempre
     Famose e verdi l’apollinee frondi,
     25«Onor d’imperatori e di poeti»11.
     Del gran padre Alighier ti risovvenga,
     Quando, ramingo dalla patria e caldo
     D’ira12 e di bile ghibellina13 il petto,
     Per l’itale vagò guaste contrade14
     30Fuggendo il vincitor guelfo crudele,
     Simile ad uom che va di porta in porta
     Accattando la vita15. Il fato avverso
     Stette contra il gran vate, e contra il fato
     Morello Malaspina16. Egli all’illustre
     35Esul fu scudo: liberal l’accolse
     L’amistà sulle soglie; e il venerando
     Ghibellino parea Giove nascoso
     Nella casa di Pelope17. Venute

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     Le fanciulle di Pindo18 eran con esso,
     40L’itala poesia bambina ancora
     Seco traendo, che gigante e diva
     Si fe’ di tanto precettore al fianco;
     Poiché un nume gli avea fra le tempeste
     Fatto quest’ozio19. Risonò il castello
     45Dei cantici divini, e il nome ancora
     Del sublime cantor serba la torre20.
     Fama è ch’ivi talor melodïoso
     Errar s’oda uno spirto, ed empia tutto
     Di riverenza e d’orror sacro il loco.
     50Del vate è quella la magnanim’ombra,
     Che tratta dal desío del nido antico
     Viene i silenzi a visitarne; e grata
     Dell’ospite pietoso alla memoria,
     De’ nipoti nel cor dolce e segreto
     55L’amor tramanda delle sante Muse.
     E per Comante21 già tutto l’avea.
     Eccelsa donna, in te trasfuso: ed egli,
     Lieto all’ombra de’ tuoi possenti auspici,
     Trattando la maggior lira di Tebe22,
     60Emulò quella di Venosa23, e fece
     Parer men dolci i savonesi accenti24;
     Padre incorrotto di corrotti figli25,

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     Che prodighi d’ampolle e di parole26
     Tutto contaminâr d’Apollo il regno.
     65Erano d’ogni cor tormento allora
     Della vezzosa Malaspina i neri
     Occhi lucenti; e corse grido in Pindo27
     Che a lei tu stesso, Amor, cedesti un giorno
     Le tue saette, nè s’accorse l’arco
     70Del già mutato arciero: e se il destino
     Non s’opponeva, nel tuo cor s’apría
     Da mortal mano la seconda piaga28.
     Tutte allor di Mnemosine le figlie29
     Fur viste abbandonar Parnaso e Cirra
     75E calar su la Parma30; e le seguía
     Palla Minerva, con dolor fuggendo
     Le cecropie ruine31. E qui, siccome
     Di Giove era il voler, composto ai santi
     Suoi studi il seggio, e degli spenti altari
     80Ridestate le fiamme32, d’Academo
     Fe’ riviver le selve33, e di sublimi
     Ragionamenti risonar le volte
     D’un altro Peripato34, che di gravi
     Salde dottrine, dagli eterni fonti35

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     85Scaturite del ver, vince a l’antico.
     Perocché, duce ed auspice Fernando36,
     D’un Pericle novel37 l’opra e il consiglio,
     E la beltate, l’eloquenza, il senno
     D’un’Aspasia miglior38, scïenze ed arti,
     90Che le città fan belle e chiari i regni,
     Suscitando, allegrar Febo e Sofia39.
     Tu fulgid’astro dell’ausonio cielo,
     Pieno d’alto saver, splendesti allora,
     Dotto Paciaudi40 mio; nome che dolce
     95Nell’anima mi suona, e sempre acerba,
     Cosí piacque agli dei, sempre onorata
     Rimembranza sarammi. Ombra diletta
     Che sei sovente di mie notti il sogno,
     E pietosa a posarti in su la sponda
     100Vieni del letto ov’io sospiro, e vedi
     Di che lagrime amare io pianga ancora
     La tua partita; se laggiú ne’ campi
     Del pacifico Eliso41, ove tranquillo
     Godi il piacer della seconda vita,
     105Se colà giunge il mio pregar, né troppo
     S’alza su l’ali il buon desío42, Torquato
     Per me saluta, e digli il lungo amore
     Con che sculsi per lui questa novella
     Di tipi leggiadria43; digli in che scelte
     110Forme piú care al cupid’occhio offerti
     I lai del suo pastor44 fan dolce invito;
     Digli il bel nome45 che gli adorna, e cresce
     Alle carte splendor. Certo di gioia

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     A quel divino rideran le luci,
     115Ed Anna Malaspina andrà per l’ombre
     Ripetendo d’Eliso, e fia che dica:
     — Perché non l’ebbe il secol mio! memoria
     Non sonerebbe sí dolente al mondo
     Di mie tante sventure. E, se domato
     120Non avessi il livor46 (che tal nemico
     Mai non si doma, né Maron lo vinse
     Né il meonio cantor47), non tutti almeno
     Chiusi a pietade avrei trovato i petti.
     Stata ella fôra tutelar mio nume
     125La parmense eroina; e di mia vita,
     Ch’ebbe dall’opre del felice ingegno
     Sí lieta48 aurora e splendido meriggio,
     Non forse avrebbe la crudel fortuna
     Né amor tiranno49 in negre ombre ravvolto
     130L’inonorato e torbido tramonto.

Varianti

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N.B. Queste varianti sono state ricavate dalla citata ediz. principe del Bodoni.
7-8. e della chiara Per senno e per beltade amabil figlia
12. A Torquato ispirò
13-15. e infine allor sí dolce Linguaggio non area quel Dio parlato Almeno in terra, benché

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18. Or qual v’ha cosa dunque
23. crebbero sempre
33. contro il gran vate e contro il fato

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41. che robusta e grande
47-48. talor s’oda uno spirto Lamentoso aggirarsi ed empia tutto
50. Quella del vate è la
55. L’amor trasfonde delle
58. Eccelsa donna, in te trasmesso [p. 43 modifica]
67. Occhi sereni
69-70. Le tue saette pel mutato arciero Non men certe o men care; e se il destino
76. Minerva anch’essa, con dolor
78-84. Di Giove era il voler, l’egida e l’asta Trasportò lieta e l’oleosa coppa E la dotta lucerna, e d’Academo Fe’ riviver le selve e sonar feo Di romor filosofico le volte D’un altro Peripato, e piú sicuro Al suo mistico augel compose tl nido.

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90-91. Trassero in luce e di non vani onori Giovando, rallegrâr Febo e Sofia.
93. Pieno d’alto saver, tu vi splendesti,
105-114. Se colà giunge il mio pregar, Torquato Per me saluta, e avvisalo con quanto Leggiadri tipi di mia mano sculti In candido volume al cupid’occhio I lai del suo pastor fan nuovo invito; Qual nome accresce ai fogli onor. Di gioia Certo al buon vate rideran le luci, [p. 45 modifica]
123. Chiusi a pietade trovato avrei [sic] i petti.
128-130. Non forse allora la crudel fortuna D’ombre sí nere e tempestose cure Avvolto avrebbe il torbido tramonto.


Note

  1. 2. in tanto grido ecc.: «Accenna alla grande celebrità dell’Aminta, dramma pastorale di T. Tasso; che, venuto alla luce la prima volta nel 1581, aveva avuto prima di quella del Bodoni intorno a ottanta ristampe, ed era stato quasi subito tradotto in francese, in ispagnuolo, in inglese, in tedesco e in altre lingue». Cas.
  2. 3. parve minor ecc.: sembrò inferiore all’Aminta il poema epico della Gerusalemme lib. Chi non sa che la zampogna è simbolo della poesia pastorale?
  3. 5. Goffredo di Buglione, l’eroe «Che ’l gran sepolcro liberò di Cristo» (Tasso, I, 1), nel luglio 1099.
  4. 6. senza consiglio: senza grande ragione. Questa forma di affermare, che risulta di due negazioni (non... senza), è propria dell’alta poesia antica e moderna. Virgilio En. II, 777: Non haec sine numine Divûm Eveniunt. Petrarca Parte III. canz. II, 18: «Ma non senza destino alle tue braccia. ... È or commesso il nostro capo Roma». Leopardi Ad Ang. Mai, 16: «Certo senza de’ numi alto consiglio Non è....» Cfr. anche Orazio Od. III, iv, 20 e Dante Purg. vii, 48 ecc.
  5. 13. Ascreo: poetico. Ascra, villaggio della Beozia alle falde d’Elicona, patria di Esiodo, era sacra alle Muse.
  6. 15. di Grecia.... i maestri: i poeti d’amore greci.
  7. 16. Erudito: imparato.
  8. 17. quel di Siracusa: Teocrito, che fiorí nel 270 circa av. Cr. e fu il piú grande dei bucolici greci. Quintiliano lo dice admirabilis (X, i, 55).
  9. l’infelice ecc.: P. Ovidio Nasone, nato a Sulmona nel 43 av. C. e morto nel 17 dell’e. v. a Tomi (oggi Kostendje) sul mar Nero (il Pontus Euxinus degli antichi: cfr. Ovidio Trist. IV, iv, 55), ove l’avea, non si sa bene per qual cagione, relegato Augusto. Qui è ricordato come poeta d’amore.
  10. 23. all’ombre cirrèe: all’ombra dei laureti di Cirra, città presso il Parnaso, sacra ad Apollo.
  11. 25. Onor ecc. È un verso del Petrarca P. I, son. 205. Cfr. Mascher. V, 30.
  12. 27. caldo d’ira.... il petto: Accusat. di relaz. Cfr. la nota al v. 26, p. 3.
  13. 28. di bile ghibellina: Cfr. Foscolo Sep., 173. «Dante nacque Guelfo, Guelfo crebbe, Guelfo combatté. Guelfo amò, Guelfo governò la sua patria: Inf. x, 40. Per i piú si volle che dopo l’esilio mutasse parte e co’ Ghibellini tenesse, anzi per antonomasia fu chiamato il poeta ghibellino... La somiglianza de’ casi e l’esilio raccozzò i Bianchi co’ Ghibellini, non per essere d’uno stesso sentimento, ma perché avevano comune la mira di tornare in patria... Ben presto sentí il bisogno di dividersi da loro, procacciarsi ventura da sé; e di fatti si elesse un partito tutto suo, tendente ad un fine piú alto e universale». Ferraz. p. 97 e seg.
  14. 29. itale... guaste contrade: Dante, Par. ix, 25: «In quella parte della terra prava Italica...».
  15. 31. Simile ecc.: Dante, Par. xvii, 58: «Tu proverai sí come sa di sale Lo pane altrui, e com’è duro calle Lo scendere e ’l salir per l’altrui scale».
  16. 34. Morello Malaspina accolse nel 1306, con grande ospitalità, l’esule poeta in uno de’ suoi castelli di Lunigiana. Cfr. Purg. viii, 133.
  17. 38. Pelope: figlio di Tantalo re di Lidia, che sposò Ippodamia e regnò sul Pelopon- Peloponneso, a cui diè nome. Dicesi che Giove fosse una volta ospite di lui.
  18. Le fanciulle di Pindo: le Muse. Cfr. Manzoni In morte di C. Imb., 191.
  19. 43. un nume' ecc.: È il virgiliano (Ecl. I, 6): Deus nohis haec otia fecit.
  20. 45. e il nome ecc.: Fraticelli, St. della vita di Dante: Firenze, 1861, p. 328: «In Mulazzo, noi contro del vecchio castello, esiste un avanzo di torre, che pur
         oggi si chiama la torre di Dante, e là presso si trova pure una casa, ov’egli per piú tempo (secondo si dice) fece dimora, e che pur oggi si chiama la casa di Dante; e queste tradizioni si sono colà tramandate di padre in figlio, e serbansi tuttora tenacemente».
  21. 56. Comante: Comante Eginetico, nome arcadico dell’ab. Carlo Innocenzo Frugoni, nato in Genova il 21 nov. 1692, morto in Parma il 20 dic. 1768. Cfr. la nota d’intr.
  22. 59. trattando ecc.: imitando Pindaro, tebano (522-442 circa av. C), il piú grande poeta lirico dell’antichità. Cfr. Orazio Od. IV, ii o Quintiliano X, i, 61.
  23. 60. quella di Venosa: quella di Orazio. Cfr. la nota al v. 260, p. 18.
  24. 61. i savonesi accenti: i versi di Gabriello Chiabrera (1552-1637), il maggior lirico italiano del secolo xvii. Tutti noteranno la lode fuor d’ogni misura esagerata che qui si dà al Frugoni, che ha, credo, la sua causa e certo la scusa nell’essere questi versi dedicati ad Anna, protettrice di lui.
  25. 62. Padre ecc.: Incorrotto non fu; ma piú corrotti di lui furono certo i suoi imitatori, tra’quali sembra che qui il M. volesse ferire specialmente il Mazza, che, com’è noto, aveva criticato con asprezza l’Aristodemo, quando nel 1786 era stato «stampato, rappresentato e premiato»
  26. 63. Prodighi ecc.: Orazio Art. poet., 96: uterque Proiicit ampullas, et sesquipedalia verba.
  27. 67. e corse grido ecc.: «Accenna probabilmente a una poesia del Frugoni, nella quale è narrato come Amore, deposto l’arco e la faretra, rapisse un giorno la bella Silvia (nome, sotto il qnale è forse nascosta la Malaspina) e a lei piangente, parlasse cosí (Carducci, Poeti erot. del sec. XVIII, p. 196): «Perché piangi? e che paventi? Mira, disse, o ninfa amata, Di chi preda tu diventi. Tuo nemico, no, non son. Giusto è ben ch’io te rapissi, Se tu il cor pria mi rapisti E superba mi feristi Coi begli occhi l’alma in sen». Cas.
  28. 72. la seconda piaga: la prima piaga fu fatta nel petto di Amore da Psiche.
  29. 73. di Mnemosine le figlie: le Muse. Cfr. Musog., v. 27 e seg.
  30. 75. la Parma: fiume che passa per la città del medesimo nome.
  31. 77. le cecropie ruine: le ruine d’Atene, donde Minerva era già lungo tempo prima fuggita per venire in Roma. Cfr. la nota al v. L a p. 2, e i vv. 125 e segg. a p. 7.
  32. 79. e degli spenti altari ecc.: e ridestato l’amore degli studi.
  33. 80. d’Academo ecc.: negli orti d’Academo, a poca distanza da Atene su le sponde del Cefiso, Platone (429 circa-346 av. C.) insegnò per venti anni la sua filosofia e fondò la scuola che fu detta Academia.
  34. 83. D’un altro Peripato: dell’università parmense. Peripato fu detta la scuola di Aristotile (384-322 av. C.) nel Liceo di Atene, perché questo grande filosofo insegnava passeggiando (gr. peripatéo). E il nome rimase a’ discepoli, che furono detti Peripatetici. Cfr. Cicerone Acad. IV, 17.
  35. 84. dagli eterni fonti... del ver: dalle dottrine del Cristianesimo.
  36. 86. duce ecc.: cfr. la nota d’introd. e Albic. op. e loc. cit.
  37. 87. Pericle novel: è, certamente, il Du-Tillot.
  38. 89. Aspasia miglior: la Malaspina. Non è dubbio si debba intender cosi, dopo quel ch’è detto nella nota d’int.
  39. 91. Febo e Sofia: la poesia e la scienza.
  40. 94. Paciaudi: Paolo Maria Paciaudi, nato in Torino il 23 nov. 1710 e morto in Parma il 1 febb. 1785, teatino, che fu, si può dire, il fondatore della biblioteca ducale di quella città. Scrisse varie opere dottissime in latino e in italiano, tra le quali i Monumenta peloponnesiaca (Roma, 1761, vol. 2) e le Memorie de’ gran maestri dell’ordine gerosolimitano (Parma, 1760, voi. 3), incomplete.
  41. 103. Eliso: cfr. la nota al v. 153, p. 8.
  42. 105. né troppo ecc.: né troppo ardire è il mio.
  43. 107. e digli ecc.: Cfr. la nota d’intr.
  44. 111. del suo pastor: di Aminta.
  45. 112. il bel nome: quello di .Anna.
  46. 120. il livor: l’invidia per la quale e colla quale fu perseguitata, al suo primo apparire, la Gerusalemme dal Salviati e compagni.
  47. 121. Accenna ad Aristarco (220-150 circa av. C.) e a Numitorio. Carvilio Pittore, Perellio Fausto, Mevio ecc.. critici acerbi l’uno di Omero (detto meonio o dalla Meonia - Lidia - o da Meone suo padre); gli altri, di Virgilio.
  48. 127. Sí lieta ecc.: La lieta aurora è il tempo de’ primi studi e del Rinaldo; lo splendido meriggio, della maturità dell’ingegno e dell’Aminta e della Gerusalemme; il torbido tramonto, degli ultimi anni infelici e della Conquistata.
  49. 129. amor tiranno: par qui alludere al vero o leggendario amore di lui per Eleonora d’Este.