Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XIX
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XIX.
I Gotti formano sette campi. — Tagliano gli acquidotti della città e demoliscono i molini eretti da Belisario. Questi ne ordina il rifacimento.
I. Apparso il nuovo giorno i Gotti speranzosi d’impadronirsi a tutto bell’agio di Roma assediandola, in causa della vastissima circonferenza, e gl’imperiali guerreggianti per la salvezza di lei distribuironsi della seguente conformità. Le romane mura avendo quattordici porte maggiori ed altre minori il nemico pigliò a scorrazzare nell’intervallo compreso tra cinque delle maggiori, dir vogliamo dalla Flaminia1 alla Prenestina, erettivi sei campi, non essendo in numero sufficiente per cingerne l’intiera periferia con vallo; ed i mentovati campi stavan tutti di qua dal fiume Tevere. Oltre di che temendo non gli assediati rotto il ponte nomato Milvio impedissero il transito in tutta la spiaggia che dalla banda opposta del fiume conduce sino al mare, liberandosi così da ogni disagio entro le mura, piantò di là dal Tevere nel campo di Nerone il settimo steccato colla vista di chiudere il ponte tra gli accampamenti suoi di modo che venisse a molestare altre due porte, l’Aurelia, vo’ dire, celebre di già pel nome di Pietro, principe degli Apostoli di Cristo e vicino a lei sepolto, e la Trasteverina. Egli di questa fatta cinta co’ suoi campi al sommo la semicirconferenza delle mura, e da ogni parte padrone del fiume, movea dovunque attalentasselo di battere la città. E qui m’è uopo narrare di qual modo i Romani accogliessero il Tevere nel mezzo de’ suoi fabbricati. Questo fiume abbondante di acqua trascorreva da lunge, ed il luogo ove il muro soprastavagli più da vicino era piano e provveduto di comodissimi appressamenti. Dal suolo poi oltre il fiume sorge un alto colle2 sopra cui ab antico esistevano tutti i molini della città, essendo che l’acqua trasportata con forza grandissima per un alveo artefatto sino alla sua cima precipita quindi con veemente impeto al basso. Laonde gli antichi abitatori impresero a circondare di muro il poggio e l’opposta riva del fiume, acciocchè non potesse il nemico di leggieri o far danno ai molini, ovverosia, valicata la corrente, rendersi alla cittadinanza molesto. Quivi poscia unite le ripe del fiume con un ponte divisarono estendere di là da esso la cinta, e fabbricate nell’opposto suolo molte case ebbero quelle acque per entro delle porte; ma basti il detto su tale argomento.
II. I Gotti muniti di ben profonde fosse i loro campi trasportarono la terra scavata nel lato interno erigendovi un alto argine, e conficcativi gran numero di acutissimi pali fortificarono ognuna di quelle stazioni tanto, quanto sogliono esserlo i battifolli de’ castelli. Ora alle truppe situate nel campo di Nerone era preposto Marcia, il quale, di ritorno già co’ suoi dalla Gallia, aveavi piantate le tende, e gli altri erano subordinati a Vitige di stanza nel sesto, avendovi in tutti un particolar comandante. Eglino adunque disposte così le forze loro tagliano dal primo all’ultimo gli acquidotti acciocchè non possa la città trarne goccia d’acqua, e questi romani edifizii giungono al numero di quattordici, costruiti per intiero di mattoni cotti, e larghi ed alti sì che un uomo in arcione vi può cavalcare. Quanto agli imperiali, Belisario a fine di provvedere alla salvezza di Roma volle assumersi egli stesso la custodia della minor porta Pinciana e della maggiore alla destra di lei nomata Salaria, essendo che il muro da quivi poteasi di leggieri espugnare, e dava agli assediati la opportunità di movere contro i nemici. Assegnò a Costanziano la Flaminia a sinistra della Pinciana, serratala dapprima ed accatastatavi in buon ordine quantità di grosse pietre, acciò non fosse lecito a chicchessia l’aprirla, temendo in causa della vicinanza di altro de’ gottici campi non si fossero da questa parte macchinate insidie; delle rimanenti affidò la guardia a duci scelti dal ruolo de’ fantaccini. Chiuse di più fermissimamente con solido muro tutti gli acquidotti per togliere affatto il mezzo di penetrarvi.
III. Ora siccome dopo il taglio de’ prefati acquidotti non aveavi più acqua da volgere in giro le mole, nè fattibil era supplirvi coll’opera de’ giumenti, appena avendo i Romani, qual è il caso degli assedj, quanta pasciona loro occorreva pe’ cavalli necessarj alle altre bisogne della vita; ora, dicea, il duce escogitò l’artifizio seguente. Innanzi all’antedetto ponte compreso nelle mura legò a funi, congegnate e tese con forza da ambe le ripe del fiume, due barche, distanti tra loro due piedi, laddove appunto con veemenza maggiore l’acqua scorreane dall’arco. Quindi acconciate sopra di esse delle mole applicovvi nel mezzo gli ordigni soliti a farle girare. Vi connette in fine coll’artifizio medesimo, le une appresso delle altre, e nuove barche e nuove macchine, le quali tutte messe in giro dall’impeto della corrente roteavano le sostenute mole, macinando il bisognevole alla popolazione. Se non che i nemici avutane pe’ disertori contezza demolironle col portare alla ripa del fiume grossi alberi ed i cadaveri de’ Romani di fresco uccisi, e col gittarli nella corrente, mercè di che il maggior loro numero trasportato a seconda del fiume intrà le barche, giunse a rendere vana, fracassandola, un’opera di tanto ingegno. Ma Belisario veduto il danno recatogli perfezionò il primo suo trovato col tirare da ripa a ripa per tutta la larghezza dell’alveo tiberino lunghe catene di ferro innanzi al ponte, nelle quali dando i solidi trascinati dal fiume accumulavansi nè potevan ire più oltre, ed allora genti destinate all’uopo traevanli incessantemente a terra. Nè il duce così provvedea soltanto in grazia de’ molini, ma eziandio perchè era in grande sospetto e timore non il nemico su di molti battelli riuscisse ad oltrepassare il ponte, ed a comparire improvviso nel mezzo di Roma. I Gotti da ultimo vedendo fallita la impresa loro ne deposero il pensiero, ed i Romani proseguirono a valersi di questi molini, dovendo tuttavia, colpa e difetto della grande penuria d’acqua, far senza dei bagni. Quanto è al bere non pativanne diffalta, conciossiachè ove le case eran lungi dal fiume, supplivasi co’ pozzi. Del resto Belisario potè ommettere ogni precauzione intorno alle cloache destinate a purgare la città dalle immondizie e spazzature, imperocchè esse venendo tutte a scaricarsi nel fiume non destavan timore di sorta che i Gotti ne approfittassero per macchinare un qualche insidioso tentativo.
Note
- ↑ Era essa innalzata un poco più alla diritta della presente nomata Porta del Popolo, ed eretta ai tempi d’Onorio, anno 402 dell’Era Cristiana. — Porta Pinciana venne aperta da Onorio, e riparata da Belisario; ora è murata. — Porta Asinaria sotto il pontificato di Gregorio XIII fu chiusa, sostituendovi un poco più lunge alla sua diritta la porta Lateranense.
- ↑ Monte Vaticano, nome derivatogli dalla parola Vaticinium, conciossiachè da questo colle rendevansi gli oracoli quando esso appartenea agli Etruschi di Veia, ai quali fu tolto da Romolo. Quivi era il circo di Nerone.