Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XVIII

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CAPO XVIII.

Belisario, venute le truppe ad ostinatissima battaglia, cavalcando un destriero balan pugna valorosamente, e con propizia sorte. — I Gotti fuggenti mettono in rotta gl’imperiali; rinnovamento del conflitto. — Il romano duce ripara alle mura, e sbaraglia altra fiata il nemico. Mirabile caso del gotto Visando. I cittadini romani da Vitige instigati alla ribellione.

I. I Gotti col seguente giorno fracassate di leggieri le porte della torre, non rincontrandovi resistenza valicarono il fiume. Belisario fin qui non sapevole per niente della fuga de’ custodi, pigliati seco mille cavalieri indirizzossi a quella volta per meglio allogare gli accampamenti. Venutivi da presso trovano già il nemico di qua dal fiume, ed avvegnachè a malincuore assalgonne una schiera combattendo ambe le parti in arcione. Questa fiata il duce, sebbene per lo addietro mai sempre guardingo, non si rimase nell’officio di capitan generale, ma come privato fantaccino iva pugnando nelle prime file con sopraggrande pericolo delle armi romane, su di lui gravitando tutto il peso di quella guerra. Cavalcava durante la mischia un destriero bellissimo e valente nel togliere d’impaccio il suo cavaliere, erane l’intiero mantello di color fulvo, se non che nell’anterior parte del capo dalla sommità della fronte alle froge gli vedevi una pezza bianca di mirabil candore. Falion1 sarebbe stato il suo nome presso de’ Greci, [p. 89 modifica]e balan presso de’ barbari. Molti Gotti pertanto aveanlo fatto, unitamente al suo cavaliere, bersaglio dei dardi e del saettamento loro. Imperciocchè alcuni disertori, capitati il giorno prima nel campo, non appena ebbero veduto Belisario a combattere nelle prime file che, sapendo il morir di lui trascinar seco l’immediata rovina de’ Romani, esortarono con altissime grida a ferire il destriero balan. Di là tal voce corse per tutto l’esercito de’ Gotti, ma costoro, siccome accader suole ne’ grandi tumulti, non davansi carico d’indagare che si volessero quelle grida; nè aveano punto conosciuto il duce. Congetturando impertanto non essere fuor di proposito il ripetere da per tutto l’avviso fecer sì che molti, posto in non cale ogn’altro, volgessero le armi contro il duce supremo. E di già i valorosissimi tra loro punti dagli acuti stimoli della gloria, spronati i cavalli, erangli sopra per averlo comunque potessero, ed accesi di grandissimo sdegno tentavano ferirlo d’asta e di spada; ma Belisario al venirgli innanzi or gli uni, ora gli altri, senza darsi tregua mettevali a morte. Nel quale trambusto chiaro apparve in ispecie quanto si fosse l’amore portatogli dai pavesai ed astati della sua guardia, conciossiachè tutti circondandolo fecero pruova di tal valore, quale, a mio avviso, non ha fin qui esempio nelle storie. Eglino covertando e duce e destriero co’ loro scudi ricevevan sopr’essi i dardi avventati dai Gotti, né cessavan ad una di respignere chiunque osasse approssimarsi: per sì fatta guisa tutto l’impeto del nemico inveiva contro il corpo d’un solo uomo. In questa fazione caddero spenti non meno di mille [p. 90 modifica]barbari; così pure della famiglia di Belisario vi giuntarono la vita molti e valentissimi personaggi, intra quali Massenzio sua lancia rendutosi immortale con azioni da eroe. Ma soprattutto in quel giorno il duce ebbe sì la fortuna dalla sua, che quantunque fosse addivenuto nel combattimento il bersaglio universale, pure ne campò salvo ed illeso da ogni maniera di percosse e ferite.

II. Il romano coraggio finalmente riuscì a mettere in rotta i barbari, il cui sterminato numero non cessò dalla fuga che al raggiugnere del suo campo, dove pedoni freschi ed ancora invulnerati fecero petto al furore degli imperiali e ributtaronli senza pena. Sorvenute quindi nuove turme di cavalieri in loro aiuto costrinsero i Romani a riparare precipitosamente sopra un colle, ma assalitili pur quivi co’ loro cavalli tornossi a nuovo equestre cimento. In questo Valentino pavesaio di Fozio prole d’Antonina fe’ chiaro in singolar modo il valor suo; conciossiachè saltato per entro alle gottiche schiere e frenatone l’impeto fu salvatore de’ proprj compagni, i quali trattisi così dal pericolo corrono alle mura di Roma co’ barbari persecutori alle peste, e tutti insiememente arrivano alla porta Belisaria, ora così nomata. I cittadini paventando non entrasse co’ fuggenti il nemico ricusavano di aprire, quantunque il duce con preghiere e minacce ne desse loro ad alta voce il comando; sendo che le scolte della torre non potevanlo in conto alcuno ravvisare mirandone il volto coperto di polvere e sudore; il tramonto del sole inoltre offuscava i loro occhi, e per [p. 91 modifica]ultimo tenevanlo morto, dacchè tutti i volti in fuga nella precedente rotta e campati entro la città aveanvi sparsa la voce della sua uccisione mentre ch’e’ valorosamente combatteva nelle prime file. I barbari intanto accorsi in gran numero ed avvampanti di sdegno, erano per valicare la fossa, ed assalire quanti si stavano dalla opposta banda, e per guisa condensati presso le mura ed in sì breve spazio ristretti che gli uni addossavansi agli altri. Quelli poi entro le porte senza duce e niente in ordine, temendo per sè e per Roma non potevano soccorrere i compagni esposti a sì grave pericolo.

III. In tale frangente destossi nell’animo di Belisario un ardito pensiero, che fuor d’ogni aspettazione apportò salvezza ai Romani. Conciossiachè animati colla sua voce quanti erangli dattorno pigliò ad assalire il nemico; questo ed in pessima ordinanza per le tenebre, e sbigottito dalla prontezza degli assalitori al vedersi attaccato improvvisamente da que’ medesimi che avea poc’anzi messi in fuga, tenendoli in possesso di nuove truppe venute dalla città volta pieno di grandissimo terrore le spalle. Dopo di che il duce imperiale contenendosi dall’incalzarli tornò di fretta alle mura: i Romani allora da questo felice successo incorati accolgono entro le porte con tutte le truppe dimoranti seco lui. A cotanto risico soggiacquero le imperiali faccende e il capitan supremo! La notte del resto pose fine al battagliare cominciato nella mattina prima di giorno, ed in esso dalla parte romana egregiamente in fe’ mia portossi Belisario, e da quella gotica Visando Bandelario, [p. 92 modifica]avendo costui sempre combattuto intra’ primi nel bollor della mischia intorno al romano duce, e solo dato tregua al suo braccio quando gli fu d’uopo cadere grondante di sangue in tredici parti del corpo; qui estimando i compagni che tramandato avesse l’ultimo spiro, il piansero ucciso, e abbandonaronlo, quantunque vincitori, sul campo. Se non che dopo tre giorni, piantate le tende sotto le mura di Roma, inviarono a seppellire ed a rendere gli estremi uffizj ai trapassati loro; quelli pertanto di ciò incaricati nel rimestare ed esaminare i cadaveri posero le mani su di Visando che stavasi tuttavolta in transito. Alcuno de’ commilitoni allora procaccia averne con preghi qualche voce, tenendosi il meschino tutto silenzioso a motivo delle esaurite sue forze per la grande arsura fatta più intensa nelle viscere dall’inedia e dagli altri malori. Domandò finalmente il duce che nella sua bocca s’infondesse dell’acqua, e da questa rinvigorito si potè levare dal suolo e condurre nel campo. In grazia di che Bandalario, cresciuto in altissima fama presso de’ Gotti, lungo tempo sopravvisse con gloria somma. Tali cose avvenivano correndo il terzo giorno dopo il conflitto.

IV. Belisario colle sue genti postosi in salvo, e ragunate vicin delle mura le truppe e quasi tutto il popolo romano, comandò che si accendessero spessi fuochi, e si stesse durante l’intiera notte in guardia; facendone poscia il giro commise, tra gli altri provvedimenti, la custodia d’ogni porta a un duce. Bessa in seguito, da cui dipendeva la Prenestina2, [p. 93 modifica]mandò a lui annunziandogli l’entrata in Roma de’ nemici per la porta di là dal Tevere avente con S. Pancrazio comune il nome. Alla riferta quanti erano ai fianchi del condottiero persuadevangli di campare la vita uscendo per altra parte. Ma egli intrepido e fermissimo nell’accusare di falsità la nuova spedì all’istante parecchi cavalieri oltre il fiume, i quali di ritorno, esplorata la regione, manifestarono che nulla da colà i Gotti aveano tentato contro le difese. Laonde inviò subitamente comandando ai duci incaricati di guardare le porte, che se per ventura odano altra simigliante cosa non istiano ad accorrere nè partansi dalla propria stazione, ma silenziosi vi rimangano a lui fidando la cura del resto; e sì operava perchè non fossero una seconda volta messi in iscompiglio da menzognere voci. Roma poi era tuttavia in agitazione e tumulto quando Vitige destina contro la porta Salaria Vaci, nome non oscuro tra suoi guerrieri, il quale avvicinatovisi principia a rimproverare que’ cittadini di perfidia verso de’ Gotti, ed a rimbrottarli del tradimento fatto, e’ diceva, contro sè stessi e contro la patria coll’anteporre alla potenza [p. 94 modifica]gottica quella de’ Greci, inetti a difenderli, e da cui l’Italia non avea mai veduto uscir fuori che tragèdi, istrioni e pirati: terminate quindi tali ed altrettali dicerie retrocedette alla volta de’ suoi. A’ Romani sembrava intanto meritevolissimo di riso Belisario, il quale a grave stento campato dai nemici volea ch’e’ si stessero tranquilli, e tenessero a vile i barbari aggiungendo essere più che certo di pervenire a sconfiggerli con la forza; ed in qual modo concepito avesse cotanta fiducia del valor suo formerà l’argomento de’ miei futuri discorsi. Era ben avanzata la notte quando sua moglie e tutti gli amici quivi presenti, vedendolo ancora digiuno, lo indussero a trangugiare almeno qualche bricciolo di pane. Alla perfine senza nulla imprendere si passarono le ore notturne da ambe le parti.

Note

  1. Bianco, splendente, da φαος, luce.
  2. Questa porta fu eretta dall’imperatore Claudio in forma d’arco trionfale, e per lei passava l’acquidotto dell’acqua Claudia, detta anche Anio novus (Teverone). Fu quindi riedificata da Vespasiano e Tito; ora ha nome Porta Maggiore. — La porta S. Pancrazio conserva tuttavia questo nome. Altre volte dicevasi Aureliana o Janiculensis. — Per la porta Salaria entrò Alarico ai tempi di Onorio, e venne sostituita dal prefato imperatore all’antica porta Collina eretta da Servio Tullio; la via Salaria che la traversava diedele il suo nome.