Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXII

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CAPO XXII.

Totila richiama in Roma parecchi senatori. Zelo romano diretto a conservare i pubblici ornamenti. Descrizione della nave di Enea. — Conghiettura di Procopio intorno all’isola di Calipso. Nave di pietra in Corcira dedicata a Giove Casio, ed altra nell’Eubea, a Diana. — Sepolcro di Anchise.

I. Mentre in Salona Giovanni attende Narsete, il quale impedito dalle unniche ruberie lentamente procede, Totila nell’aspettazione di lui richiama in Roma alcuni de’ cittadini e de’ senatori lasciandone il resto nella Campania, ed ordina che sia con ogni possibile diligenza governata la città, mostrando quasi pentimento dei recativi danni, come pure dell’averne arsa parte non piccola di là in ispecie dal fiume Tevere. Questi disgraziati abitatori poi quantunque ridotti alla condizione de’ mancipj, spogli di tutti que’ loro beni ed interdetti dal possedere un che del proprio o del pubblico, mettono tuttavia grandissimo studio, non avendo noi veduto genti più affezionate dei Romani alla città loro, nel mantenere e conservare le patrie memorie. Nè per quanto lungamente si vivessero ligi de’ barbari desistettero mai dal custodire come seppero il meglio que’ sontuosi edificj ed ornamenti, ai quali d’altronde l’industria degli artefici procurato avea sì grande solidità che nè i moltissimi anni trascorsi, nè [p. 524 modifica]l’interrompimento delle necessarie cure giunsero a consumarli, esistendovi ancora per testimoniare ai posteri la origine di quell’impero. In fra essi ti sorprende la nave di Enea edificatore della città, spettacolo di vero inaccessibile dalla nostra immaginazione. La vedi nel mezzo di Roma in un porto alla ripa del Tevere, e qui, avendola di persona osservata, ne descriverò la forma. Essa, quantunque assai grande, solcava le onde spinta da un sol ordine di remi; è lunga cenventi piedi, larga venticinque, alta da poterla col palamento governare, e sebbene composta di legname non apparisconvi menomamente segni di commessure, nè ferramenta a connetterne le varie parti, mirandovisi da per tutto una semplicità inarrivabile dalla mente di chi ne oda i racconti, nè havvene altra, per quanto mi sappia, da poterla affrontare. La carena, tutta formata dal tronco di un solo albero, va dall’estremità della poppa insino alla prora con dolce curvatura stupendamente immergendosi nell’acqua, per quindi a grado a grado sorgerne verso le estremità. Tutte le coste poi, o vogliam dire i più grossi legni a compimento della stessa, nomati dai poeti greci δρυόχοις1 e dagli altri νομείς2, tale son lunghi che aggiungono, ciascheduno, ambo i fianchi della nave, e da quivi discendendo abbasso con elegantissima curva stabiliscono la circonferenza di quell’alveo; nè saprei dire se natura di questo modo crescesse il legname facendolo così opportunamente [p. 525 modifica]vegetare, o pure dobbiamo all’arte ed agli stromenti la idoneissima loro flessione. Ciascheduna tavola poi dall’una estremità del navilio procedente all’altra t’accenna la lunghezza del tronco dal quale venne segata, e soli ferrei chiodi assicuranla forte alle coste per compierne i fianchi: per fermo tutta la sua costruzione è tale uno spettacolo che indarno cercheremmo descrivere. Ed affè di Dio che la natura delle cose mai consente agli uomini di esprimere chiaramente colla favella la maggior parte delle opere assai lontane dalla comune immaginazione, e sempre che rendonsi queste superiori ai nostri consueti pensamenti s’avvantaggiano ad uno del potere della parola. Intra que’ legni, arrogi, non ve ne ha di putrefatti o tarlati, ma tutta la nave in sorprendentissima guisa conservasi ancora egualmente perfetta come apparve non appena uscita delle mani del suo artefice, chiunque egli si fosse; il dettone basti.

II. Totila mandò soldieri, empiutene trecento lunghe navi in Grecia coll’ordine di manomettere quanto si parasse loro innanzi; nè quest’armata di mare insino alla Feacide (oggi detta Corcira) fu apportatrice di sventure, imperciocchè nel tragitto, avente da banda Cariddi, non trovi isola con abitatori, di maniera che trasferitomi di spesso in quelle parti rimaneami incerto ove cercare la dimora di Calipso. Quivi appresentaronsi a’ miei sguardi tre sole isole, non più di trecento stadj lontane dalla Feacide, intra loro vicine, piccolissime, ed affatto spoglie di gente, di bestiame e d’altra cosa comunque. Hanno ora nome Otonie, nè mancherà forse chi pongavi l’abitazione della [p. 526 modifica]Ninfa aggiugnendo che Ulisse, per ciò non molto discosto dalla terra de’ Feaci, con una schidia 3, come dice Omero, o con nave, o in altro qual tu vuoi modo vi approdasse; ma noi riferiamo quel tanto ne fu dato conietturando rilevare. Nè Dio mercè vi sara chi opini agevol impresa il discorrere antichissimi avvenimenti con tale verità da non potervi obbiettare contro, la molta distanza delle epoche solendo cambiare grandemente i nomi, ed anche indurre varianze nelle notizie de’ luoghi. Si pretende inoltre che la nave formata di candidissimo marmo ed a tutti visibile sul feacico lido si fosse quella montata da Ulisse nell’approdare ad Itaca, ma siffatta nave anzichè essere tutta d’un pezzo componesi di molte pietre, ed i caratteri incisivi testimoniano pienamente che là si stesse dedicata a Giove Casio per voto d’un negoziatore. Nè v’è a ridire che quest’isolani venerassero in altri tempi il Dio, dal quale ebbe ed ha tuttavia nome Casiope città, ove ammiri la nave. Di molte pietre a simile è pur costruita l’altra che Agamennone figliuolo d’Atreo dedicò a Diana in Geresto dell’Eubea ad espiazione del fattole oltraggio; la Dea in allora placata colla morte d’Ifigenia rendè libero il mare ai Greci. E che sì andasse la bisogna lo hai da un epigramma, scolpito a que’ dì o poscia sulla nave stessa, composto di esametri cancellati il più dal tempo; rimangonvi non di meno ancora i due primi versi, e sono:

Qui pose Agamennon la nera nave
De’ Greci a rimembrar l’oste sull’onde.

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I quali versi preceduti erano dalle seguenti parole: Tenico faceva a Diana Bolosia; di tal guisa ab antico nomandosi Lucina per la credenza che i dolori del parto βολὰς (frecce) fossero avventati dalla Dea; ora torniamo a bomba.

III. I Gotti con armata di mare afferrati in Corcira la posero a sacco insieme con tutte le vicine isole nomate Sibote; passati quindi sul continente diedero con repentino e gagliardo assalto il guasto ai luoghi accerchianti Dodona, vie più danneggiando Nicopoli ed Anchiso; questa traendo il nome, a detta di que’ paesani, dall’esservi approdato Anchise, padre d’Enea, col figlio dopo la caduta d’Ilio, vissuto qualche tempo ed anche morto. Preso poscia a trascorrere la piaggia marittima ed avvenatisi nelle greche navi, non poche di numero, tutte coi carichi predaronle, avendovene tra esse di quelle spedite dalla Grecia a fornire di vittuaglia le truppe di Narsete; non altramente qui furono le cose.

Note

  1. Omero; da δρῦς quercia.
  2. Erodoto in ispecie.
  3. Navilio tumulturiamente fatto.