Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XI

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CAPO XI.

Vitige presidia molti luoghi. Provvedimenti di Belisario in Arimino. — Il fortilizio Pietra espugnato dagli imperiali. Inobbedienza di Giovanni ad un comandamento del supremo duce.

I. Vitige ricalcando co’ rimasugli dell’esercito la via di Ravenna munì di presidio tutti i luoghi idonei, ponendo in Clusio1, città dei Toscani, il duce Gibimere con mille armati, ed altrettanti in Urbivento2, sotto gli ordini di Albila, uom de’ Gotti. In Tudera3 fe’ [p. 184 modifica]rimanere Uligisalo con quattrocento militi, e nell’agro de’ Piceni guardossi dal rimovere i quattrocento ivi di stanza a guernigione del castello Pietra. In Aussimo, città superiore ad ogni altra di questa regione, collocò quattro mila Gotti, fior dell’esercito, cui presiedeva Uisandro valentissimo duce; ed in Urbino due mila con Murra. Hannovi di più due castelli, Cesena e Monteferetro, ed in ciascheduno di essi lasciò cinquecento militi per lo meno; dopo di che ritto sen corse alla volta di Arimino col proposito di assediarla. Ma Belisario non appena veduto il nemico abbandonare i contorni di Roma avea spedito Ildigero e Martino con mille in arcione per altra via a fine di prevenirne a marce forzate l’arrivo in quella città, e di costrignere Giovanni colle sue genti a tosto sloggiarne; affiderebbero poscia la difesa di Arimino a molti valenti militi cavati dal castello nomato Ancona, solo due giornate da ivi lontano, posto sul Ionico seno, e del quale erasi poco prima impadronito mandandovi Conone alla testa di non poca isaurica e tracica soldatesca. Di questa guisa operando sperava che le superbe schiere de’ Gotti al rimirare Arimino presidiato da soli duci e fanti d’una non grande riputazione, mai più sarebbonsi abbassati a cingerla d’assedio e, messala per dispregio in non cale, diritto e senza indugiamenti trarrebbero a Ravenna, ove, se pigliassero a tenerne i passi, ben sapea avervi annona da alimentare lungo tempo i fanti, e potere i due mila cavalieri colle altre truppe scorrazzando al di fuori essere di grave molestia al nemico, e più di leggieri costringerlo a levarsi di là. Con tale divisamento [p. 185 modifica]egli comandava le prefate cose a Ildigero e Martino, i quali cavalcavano prestamente la Via Fiaminia lasciando per lungo tratto indietro il nemico. Imperciocchè questo, oltre essere ritardato dall’immenso numero, dovea fare più lungo cammino tanto a cagione della carestia di vittuaglia, quanto per evitare i luoghi muniti della Via Flaminia, sapendo in mano de’ Romani, come scrivea, Narni, Spoleto e Perugia.

II. Le romane truppe assaltarono transitoriamente il castello di Petra. Questo fortilizio è opera della natura, non dell’arte; l’ertissima strada che vi conduce ha le acque a destra d’un fiume cotanto rapido quanto è uopo ad impedirne comunque il valicamento. Da sinistra gli vedi sovrastare una rupe scoscesa ed elevata per modo che se avvi gente alla sommità sua in rimirandola da basso non sembra eccedere la taglia de’ piccolissimi augelletti. In altri tempi procedendo non ti si appresentava alcun passo, da che l’estremità della rupe aggiugneva l’alveo del fiume, dove pervenuti non v’era mezzo d’inoltrare. Laonde i nostri antenati pertugiatala costruironvi un usciuolo, e chiusa la massima parte dell’altro accesso n’ebbero, serbando la sola nuova apertura, un naturale fortilizio, che nomarono con adatto vocabolo Pietra. Da principio adunque Martino e Ildigero assalendo l’altra porta nulla ottennero col foltissimo saettamento loro, sebbene il barbarico presidio non v’opponesse la minor resistenza. Di poi inerpicati sullo scosceso tergo della rupe cominciarono a lanciar pietre contro de’ Gotti, i quali trepidanti ripararono ne’ luoghi coperti, e rimaneanvi inoperosi. Allora i [p. 186 modifica]Romani, vedendo affatto inutile il gittar delle pietre, divisarono coll’unito sforzo di molte braccia rotolare sopra le sottoposte case massi d’enorme volume; questi per poco che colpissero alcuna parte dell’edificio v’arrecavano grande scossa con timore gravissimo delle barbare genti rinchiusevi, mercè di che esse tendendo lor palme a que’ della porta s’arrenderono insiem col castello al nemico, avuta la giurata promessa di andarne salvi della vita passando agli stipendj romani sotto di Belisario. Ildigero e Martino pigliaronne molti seco per condurli laddove eran diretti colle truppe loro, mescolandoveli senza distinzione alcuna; ed il resto unitamente alle donne ed alla prole rimasero in custodia della romana guernigione. Proceduti quindi sino ad Ancona e levatavi gran parte de’ fanti ivi di stanza giungono col terzo giorno ad Arimino, e vi comunicano le intenzioni del supremo duce. Se non che Giovanni rifiutossi di seguirli, e volle pur anche ritener seco Damiano con quattrocento armati; così quelli, depostavi la pedonaglia, ne partirono prontamente in compagnia delle lance e de’ pavesai di Belisario.

Note

  1. Chiusi, sede una volta del re Porsena.
  2. Urbino, capitale del ducato dello stesso nome.
  3. Todi, nell’Umbria.