Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo VII

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CAPO VII.

Indugiare di Massimino. — Imperiale armata di mare agitata da procella, e male accolta dai Gotti. — Il prigioniero Demetrio per ordine di Totila, esorta i Napolitani ad arrendersi. Totila stesso persuadeli a cedere quelle mura, che alla per fine ottiene.

I. Dappoi Massimino con tutta l’armata di mare accostossi alla Sicilia, e navigato a Siracusa ivi tutto in [p. 299 modifica]preda ai timori della guerra si tenne. I romani duci, informatine, per via di messi preganlo instantemente che di fretta muova a soccorrerli, e più d’ogni altro lo eccita dalla città di Napoli Conone cinto da strettissimo assedio, e già in diffalta somma d’annona. Ma egli fermo ne’ suoi timori lascia sfuggire ogni opportunità di tempo, e solo da ultimo paventando gl’imperiali rimproveri, e mal comportando le altrui rampogne, standosi immobile tuttavia nella sua dimora, ed essendo ben inoltrato il verno, fa partire alla volta di Napoli Erodiano, Demetrio e Faza con tutte le truppe. Il costoro navilio era per giugnere a Napoli quando al sorgere di forte vento levossi una tempestosissima fortuna; e per verità Faza era onninamente sul disperare, non reggendo più i nocchieri, sopraffatti dalla burrasca, al governo dei remi, o ad eseguire altr’opera, nè tampoco pel terribile fragore de’ flutti intendendosi a vicenda; ogni cosa avvolgevasi in aperta confusione, di modo che la foga del vento, addivenuta sola nel comando, spinseli contro lidi occupati da nemici. Laonde costoro balzati nelle navi eran tutti sull’ucciderli e gittarne a talento i cadaveri ne’ flutti non incontrandovi fior d’opposizione. Molti eziandio ne ritrassero vivi, e di questi fu Demetrio maestro della milizia. Ad Erodiano e Faza riusci di fuggire con altri pochi, non essendo colle navi molto da presso alle nemiche stanze: tali furono i destini di quell’armata romana. Totila avvolta una fune al collo di Demetrio il trascinò sotto le mura di Napoli, ed obbligollo di esortare gli assediati a non volere, sedotti da vane [p. 300 modifica]promesse, fabbricare di per sè la propria rovina, ma spalancassero tosto le porte ai Gotti onde liberarsi da tristissime sciagure, più non dovendo porre speranza in nuovi soccorsi dell’imperatore, colla perdita di quell’armata di mare essendo loro venuti meno tutti gli aiuti e tutta la fiducia in lui riposta; così parlò Demetrio per comandamento del re. Gli assediati oppressi dalla fame e da ogni altro bisogno della vita allorchè e di vista e di udita ebbero certezza dell’infelice sorte di Demetrio, perduti affatto d’animo, abbandonaronsi al pianto, e si rimasero privi di consiglio. La città era tutta in cordoglio ed in grave trambusto.

II. Lo stesso Totila di poi chiamatili ai merli tenne loro questo discorso: «Non abbiamo pigliato ad assediarvi, o Napolitani, in risarcimento di qualche vostra offesa, ma piuttosto perchè toltovi il giogo d’infestissima dominazione potessimo liberamente e compiutamente rendere grazie ad ognuno di voi per l’affetto mostratoci sofferendo a cagion nostra in cotal guerra i durissimi trattamenti dei comuni avversarj, essendo voi stati di tutti gl’Italiani i soli a darci pruova di singolar benevolenza, e col massimo rincrescimento vostro doveste sommettervi alla autorità e forza de’ Romani. Ora dunque noi costretti ad assediarvi seco loro abbiamo rispettato, com’è uopo, la vostra fedeltà, adoperando accuratamente che i rigori dell’assedio per nulla ricadessero a danno dei cittadini; laonde se v’è forza patirne disagi guardatevi dal corrucciarvi coi Gotti, non essendo meritevoli di riprensione coloro, i quali studiandosi di gradire agli [p. 301 modifica]amici pur non giungono a sottrarli da ogni molestia. Rassicurate gli animi vostri da qualunque timore degli imperiali, nè vogliate persuadervi, rimestando il passato, ch’e’ sieno per uscire vittoriosi di noi. Conciossiachè gli ammirabili avvenimenti della vita originati da impreveduta fortuna cangiano di spesso nel correr d’un giorno interamente d’aspetto. Vi facciamo pertanto la seguente proposta: Conone si parta con tutto il presidio, sani e salvi trasferendosi ovunque vorranno, purchè entrati noi al possesso della città e’ vadansene tosto con Dio. Nè cosa alcuna ratterracci dal sanzionare con giuramento e la libera partenza loro, e la salvezza di voi tutti.» Questo parlar di Totila fu accetto ai Napolitani, a Conone, ed all’intero presidio, trovandosi gli uni e gli altri bene alle strette colla fame. Bramosi nondimeno di serbar fede all’imperatore, e non privi ancora della speranza di venire soccorsi promisero la consegna di quelle mura entro giorni trenta, e Totila per distorli da qualunque aspettativa stabilì tre mesi di tempo al compimento delle convenzioni, e protestò che nel correr di essi non avrebbe per nulla molestato la città, o fatto altra impresa, ed in questi termini furono sottoscritti gli accordi; se non che la somma carestia d’annona ridusse gli assediati a tale da non potere attendere il fissato giorno, e poco dopo vennero aperte le porte al monarca ed ai Gotti. Con ciò ebbe fine il verno e l’anno ottavo della presente guerra scritta da Procopio.