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Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXV

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CAPO XXV.

Totila esorta l’esercito all’assedio di Perugia, e adopera scolparsi delle sue disgraziate imprese.

I. Le truppe inviate per lo avanti da Totila ad assediare Perugia, postivi gli accampamenti intorno alle mura, vi teneano rinchiuso il presidio romano. Quindi avuto sentore che il nemico principiava a patire di vittuaglia mandarono pregando il re ch’egli stesso vi conducesse tutto l’esercito, siccome il più agevole e pronto mezzo di conquistare la città e di sconfìggere gl’imperiali che aveanla in custodia. Se non che Totila mal comportando la negligenza de’ suoi militi nell’eseguire gli ordini passò da prima ad ammonimenti, al qual uopo ragunatili parlava loro in questa sentenza: «Vedendovi, o commilitoni, fuor di proposito meco sdegnati e di mal animo tolleranti la percossa d’ una contraria fortuna v’ho di presente qui raccolti per isgombrare dalle menti vostre ogni sinistra opinione e ridurvi a migliori consigli, onde vi guardiate dall’addivenire turpemente rei appo me d’ingratitudine, e stoltamente colpevoli appo il Nume. Le umane cose, in fe mia, di sua natura vanno tal fiata soggette a variazione, e chiunque di noi mortali s’appalesa offeso nell’animo dalle sciagure adduce manifesta pruova d’imperizia, nè potrà tuttavia esimersi dal chinare la fronte ai capricci del fato. Piglio adunque [p. 370 modifica]a rammentarvi le passate imprese non tanto per confutare i vostri rimproveri a cagione delle ultime a noi funeste, quanto per dimostrarvi quelli convenirsi meglio altrui che non alla mia persona. Allorchè Vitige diede cominciamento a questa guerra sebbene atterrasse le mura delle marittime Fano e Pesaro, e risparmiasse quelle di Roma e di tutte le altre italiche città, pure da cosiffatto provvedimento mal di sorta non ne venne ai Gotti; anzi di tali risoluzioni portarono grande utile, come ben sapete, al re vostro. Io adunque assunto da voi al regno ho voluto piuttosto seguire il parutomi di maggior profitto, che non, appigliandomi a divisamenti esperimentati di già infelici, arrecar danno alle nostre faccende. Gli uomini per verità non sembrano molto tra loro differenti nell’ingegno, ma se in taluno accoppiovvisi l’esperienza maestra di subito il costei discepolo ti comparisce le secento volte1 superiore ai molto approfondati nella dottrina. Il perchè non appena caduto in poter nostro Benevento e sfasciatala di muro, occupammo nuove città, le quali ordinammo soggiacessero all’egual sorte, acciocchè le truppe nemiche impedite ad indugiare la guerra dovessero venire in campo e tenzonare apertamente con noi. Allora di netto rincacciatele io comandava la distruzione de’ luoghi vinti, e voi ammirando il prudente consiglio per modo lo eseguivate che sarebbesi con ragione detto opera vostra. E di vero chi anima con lodi gli [p. 371 modifica]imprendimenti altrui, egli del paro fassene autore. Ma da poi che per inesplicabile temerità Belisario venne a vittoria, scorgovi, carissimi Gotti, all’in tutto cambiati e presi da ammirazione di lui, come d’uom forte; nè v’ha dubbio che l’andar fornito di cieco ardire più di leggieri procacci nome di valoroso, che non un cauto e guardingo operare. Imperciocchè lo sprezzatore delle consuetudini e de’ limiti assegnati all’imprendere s’acquista rinomea di grand’animo eziandio quando abbiane le sole apparenze; in cambio un prudente indugiatore ne’ pericoli se vadan colla peggio sue geste ne riporterà odio e tutta la colpa dell’avversa fortuna: e dato pure all’operar suo glorioso fine, si parrà non di meno ai dappoco aver egli fatto un vero nulla. Oltre ciò quanti di voi mi tengon ira sono ben lunge dal porre mente alla vera cagione che li addolora ed offende. Pensate forse che a Belisario sia per venir lode in virtù dei vantaggi ottenuti sopra voi, i quali frante le catene della schiavitù ed impugnate meco le armi lo avete spesse fiate vinto in campo? Ora se di tali imprese compieste sotto gli auspizj del mio valore, la mercè loro almanco raffrenare dovete le vostre lingue, e riflettere come sia voler di natura che nessuna delle umane cose abbia lungamente da tenere l’egual carriera. Se dunque da contraria fortuna vi fu tolta quella vittoria, v’è giuocoforza tuttavia anzi onorarla che mostrarvene irosi per tema non sdimentichi, offesa, l’antica benignità sua. Ed affè d’Iddio come purgarci dalla colpa d’una smodata [p. 372 modifica]indiscrezione se dopo le tante e grandissime vittorie di questa guisa sbigottiamo per sì lieve sinistro e ci lasciamo signoreggiare dall’impazienza? Converrete meco di più che noi operando siffattamente disdegniamo e rineghiamo l’umanità nostra, del solo Nume essendo il serbarsi mai sempre al tutto scevro da errore. È mio avviso pertanto che messe in dimenticanza le passate traversie moviate ad assalire coraggiosamente i nemici entro Perugia, e tolti questi di mezzo la fortuna ci riporrà in ottimo stato; del rimanente indarno affaticheremmo procacciando mutare le cose avvenute e se già vittime di contrarj destini, al godere di miglior ventura cancelleremo ogni rimembranza del sofferto. Ben di leggieri poi avrete Perugia, tolto ai vivi, per sua buona sorte e per nostro consiglio, Cipriano, preposto dagli imperiali a quella guernigione, quasi impossibile addivenendo che militi privi di capo difendansi valorosamente, ed in ispecie quando abbiavi penuria di vittuaglia. Nè paventeremo insidie dagli omeri, a bella posta rovinati già per mio ordine i ponti sul fiume onde guarentirvi da repentine scorribande. Favoriranno di più la nostra causa le scambievoli diffidenze tra Belisario e Giovanni, come testimoniano i fatti, pubblicatori irrefragabili degli umani sdegni. E per verità li vedete sin qui impotenti ad unire lor forze, poichè il sospetto intromessosi rende l’uno mal fido dell’altro, e pervenuto ad impadronirsi degli animi di necessità vi alberga l’odio e l’invidia; nè con tali mezzani [p. 373 modifica]perverremo giammai a compiere nobili gesti.» Totila dopo l’aringa si diresse colle truppe alla volta di Perugia e arrivatovi comandò si costruissero i campi presso dalle mure, e cintele di trincee diede principio all’assedio.

Note

  1. Espressione greca equivalente al nostro le mille volte.