Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo VIII

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Capo VIII

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CAPO VIII.

Soverchio numero di condottieri nel romano esercito e poca loro concordia. — Appione questore delle truppe. — Vergognosa fuga di Areobindo. — Disfatta dei capitani Patriziolo ed Ipazio. — Scorreria di Celere nella regione degli Arzaneni.

I. L’imperatore Anastasio all’udire Amida cinta d’assedio mandovvi sollecitamente un forte esercito capitanato da Areobindo1 prefetto delle truppe orientali [p. 31 modifica]e genero di Olibrio già imperatore d’occidente2, da Celere prefetto degli ordini in palazzo, o con voce romana maestro; da Patrizio frigio e da Ipazio3 prole del fratello dell’imperatore, e dapprima entrambi duci del bizantino presidio. Eranvi parimente con essi Giustino salito in trono dopo Anastasio, Patriziolo col figlio suo Vitaliano4, il quale non guari dopo, armatosi contro l’imperatore, si fe tiranno, e Faresmana colco, prode nell’arte militare, e Gogidasclo e Messa, ammenduni goti, di nobile prosapia senza disparità, non seguaci di Teodorico al suo venire dalla Tracia in [p. 32 modifica]Italia5, e valentissimi nella guerra. Altri uomini illustri da sezzo erano alla testa di quelle truppe, in guisa che di leggieri potea dirsi non avere mai più i Romani messo in campo un esercito maggiore contro il reame di Persia. Se non che i mentovati duci non marciavan tutti di compagnia, nè rendevansi allo stesso punto, ma ciascheduno iva di per sè colle proprie truppe ad affrontare il nemico.

II. Appione egizio nobilissimo tra’ patrizj, assai destro nel governo delle cose pubbliche e consigliero di Anastasio, fu eletto supremo questore di guerra con piena facoltà di regolare come giudicasse meglio le occorrenti spese.

III. A tale esercito impertanto, raccoltosi più tardo che non era il bisogno e procedente con molta lentezza, non venne fatto di sorprendere i barbari nelle terre imperiali, essendosene già costoro, dopo un orribile saccheggio, ritirati con tutta la ricca preda. Nè dei tanti suoi capitani fuvvi chi si proponesse andare oltre a combattere l’oste nemica in Amida, pretestando ognuno che voleasi attendere in prima l’occorrente all’uopo, e ch’era miglior consiglio intrattanto quello di molestar e con iscorrerie il suolo persiano; così stabilito adunque e’ procedevano di continuo nell’antedetto modo, non riuniti cioè, ma l’una parte dell’esercito dall’altra disgiunta. Cavado informato di tutto, sendo loro vicino, corre prestamente verso le romane [p. 33 modifica]frontiere ad incontrarli; e queglino assai lontani dal supporlo in marcia coll’intiero esercito, credeansi aver che fare appena con qualche frazione di esso. Areobindo era attendato in quel degli Arzanenii, lunge due giornate di pedestre cammino6 da Costantina7, e Patrizio ed Ipazio presso di Sifrim, non più che stadj trentacinque da Amida; Celere proseguiva ancora la sua andata.

IV. Areobindo all’udire che moveagli contro tutto l’esercito persiano, abbandonati di gran fretta gli alloggiamenti, riparò colle truppe entro Costantina, ed appena datosi alla fuga l’inimico ne sorprende il campo, e rinvenutolo vuoto di gente lo mette a guasto; [p. 34 modifica]quindi senza temporeggiare va in traccia delle altre armi romane. Mentre però avanzava contro di esse, i loro duci Patrizio ed Ipazio avvenutisi ad ottocento Eutaliti, in vanguardia dell’esercito, aveanli combattuti ed uccisi; il perchè tronfii del prospero successo, tenendosi men del dovere in guardia, ed al tutto fuor di notizie del condottiero e dell’esercito nemico, già come vincitori, deposte le armi, miravan di apprestare lor cibi, essendochè fattasi l’ora più tarda dell’ordinario, maggiore sentivanne il bisogno. Quivi presso correva un ruscello dove altri de’ soldati bagnavansi, ed altri purgavan l’annona.

V. Cavado pervenatagli la sconfitta degli Eutaliti mosse tosto ad incontrare i vittoriosi, ed in passando vicino a quelle acque, scorgendole torbide comprese di leggieri ch’e’ ristoravansi là sbandati; fatto pertanto accelerare il passo alla cavalleria li sorprese inermi, ed occupati della sola vittuaglia. Al che i Romani deposto ogni pensiero di resistenza prendon, laddove ciascuno spera salvezza maggiore, la fuga; ma chi di essi perseguitato dall’assalitore vien raggiunto ed ucciso, e chi asceso un monte vicino e dalla cima precipitando alle opposte radici vi trova miseramente la morte. Si pretende che i soli Patrizio ed Ipazio campassero la vita togliendosi prima d’ogni altro al pericolo nel mirare il nemico.

VI. Dopo le narrate vicende il Persiano, renduto consapevole d’una scorreria unnica sopra il tener suo, ricondusse indietro le truppe, e venuto nel settentrione ebbe a sostenervi ben lunga guerra. In questo mezzo [p. 35 modifica]arrivarono gli altri duci romani, i quali nulla impresero che degno sia di memoria, imperciocchè sendo molti i comandanti e tutti di contrario parere tra loro, non fu possibile ridurli a formare concordemente un piano di militari operazioni.

VII. Celere poi valicato colle truppe il fiume Ninfio8, scorrente nei dintorni di Martiropoli9, e trecento stadj lontano da Amida, entrò nelle terre degli Arzanenii, e messele a ruba fecesi indietro.

Note

  1. Costui, detto altrove prefetto del pretorio di oriente e dell’Africa, fu il primo consorte di Proietta figlia di Vigilanza e di Dolcissimo nipote di Giustiniano.
  2. Anni dell’era volgare 472. Rimasa l’Italia senza imperatore per la morte d’Antemio, ucciso miseramente dal suocero Recimero, Leone vi mandò Olibrio, il quale non regnò che 3 mesi e 23 giorni. Di esso torna a parlare il Nostro nel lib. I, cap. 5 e 7 delle Guerre vandaliche.
  3. Vedremo la sua trista fine al cap. 24 di questo libro.
  4. Fu costui scita di nazione, servì nella milizia e quindi comparve tra’ capitani dell’esercito d’Anastasio. Ribellossi di poi nell’anno 498 dell’era volgare dall’imperatore, guerreggiandolo per terra e per mare, ed obbligandolo a comperare la pace con danaro. Pervenuto quindi all’imperio Giustino il chiamò presso di sè, fecelo maestro della milizia e poscia console, accordandogli lo ingerirsi cotanto nelle pubbliche faccende, che papa Ormisda non dubitò di scrivergli sopra gravissimi ecclesiastici affari. Quando però ebbe la chiamata di Giustino chiese, non fidandosi venirgli innanzi per la guerra fatta ad Anastasio, un salvocondotto, e Giustiniano assicurollo non solo a nome dell’imperatore, ma gli giurò fede fraterna sulla mensa sacra, cioè prendendo insieme l’Eucaristia com’era l’uso de’ cristiani in simili circostanze; da ciò provenne che Giustiniano gli fu largo tal volta del nome di fratello.
  5. Anno dell’era volgare 484 circa, e nell’anno 491, vinte del tutto le truppe di Odoacre, si fece re d’Italia.
  6. Il cammino pedestre secondo il N. A. era di stadj 105 (Guerre vandaliche, lib. I, cap. 1). Lo stadio greco, parlandosi di quello comune, agguagliava l’ottava parte del miglio romano, o sia tese parigine 94 ½, quindi le due giornate di cammino corrispondono a miglia romane 26 ¼.
  7. Costantina secondo Stefano, Costanza secondo Suida. È città della Mesopotamia sulle rive dell’Eufrate, dal quale ebbe il nome di Eufratesia. Isidoro Caraceno la dice: Opus regis Alexandri, appoggiato forse all’autorità di Plinio, il quale scrisse (lib. vi, cap. 26): In vicinia Euphrates Nicephorion, quod Alexander jussit condi propter loci opportunitatem. Si vuole poi da qualche storico che Seleuco, quarto di questo nome nella successione dei re di Siria, dopo averla fortificata la chiamasse Nicephorion in grazia delle sue vittorie contro gli Armeni. Giustiniano ristaurò splendidamente le sue mura, e v’introdusse gran copia d’acqua potabile molto difettandone gli abitatori. Ora è detta Nesrun.
  8. Questo fiume dividea le terre imperiali dalle persiane (cap. 21), e bagnava le mura della piccola città di Arzanene, rammentata dall’Autore al cap. 15 del lib. ii.
  9. «La città di Martiropoli è nell’Armenia detta Sofanene, posta sul fiume Ninfio, e prossima ai nemici, perciocchè in quel luogo il Ninfio separa i Rani dai Persiani, possessori ab antico al di là del fiume della provincia Arsanene» (Edifizj, lib. iii).