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Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo I

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Libro secondo Libro secondo - Capo II


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CAPO PRIMO

Corrispondenza di Gilimero in Cartagine.
Aringa di Belisario.


I. Gilimero allorchè ebbe raccolto tutti i Vandali mosse coll’esercito alla volta di Cartagine; ed appressatosi guastò un bellissimo acquidotto che fornivala d’acqua, e pose il campo: ma qualche tempo dopo levollo per retrocedere, non comparendo nemico a tentare la sorte delle armi, e nel farsi indietro commise alla soldatesca la custodia delle sole vie, nulla [p. 388 modifica]occupandosi de’ castelletti, come provvedimento sufficientissimo a ricuperare la capitale. Vietò di più all’esercito ogni bottino o danno per le campagne, considerandole tuttora sua proprietà, mai sempre nella speranza di un prossimo tradimento dal lato sì dei Romani che dei Cartaginesi favoreggiatori della setta ariana. Mandò similmente ai capi degli Unni pregandoli di aiuto, e promettendo loro molti e generosi guiderdoni ove soccorranlo, e questi niente affezionati ai Romani sendovi a malincorpo in lega (trascinati, e dicevano, a Bizanzio da un giuramento di Pietro e da lui stesso poco dopo violato); consentirono occultamente alla inchiesta, obbligandosi venuti a giornata di voltare le armi nel fervor della mischia contro l’esercito imperiale, se non che Belisario, consapevole già da gran tempo di siffatte mene per le confessioni dei disertori, non giudicò opportuno di attaccare sì presto i nemici, e tutto consacrossi a compiere il principiato lavoro delle mura. Fece poscia sopra un colle morir di laccio un Cartaginese, nomato Lauro, convinto di tradigione, al quale esempio ne aveanvi altri macchinatori di novità, furono tutti persuasi dal timore a cangiar sentenza. Co’ doni eziandio e avendoli spesso commensali indusse i Massageti, pigri e lenti a parer suo in quella guerra, a dichiarargli candidamente se attendessero premj da Gilimero, in grazia de’ quali adoperavano con trascuratezza seco. E quelli risposero nulla sperare dal Vandalo, ma cader loro il coraggio paventando non vinto costui abbiano da vedersi negato il permesso di ripatriare, costretti a durar la vita e morir [p. 389 modifica]nell’Africa, e sino esclusi dal partecipare alla preda. Ma il duce, confortatili a far buon animo, sagramentò loro che se col soccorso del Nume riuscisse a soggiogare intieramente i Vandali, subito e’ verrebbero rimandati nelle proprie regioni carichi di nemiche spoglie; e così da quinci in poi ebbeli più valorosi ed attivi. Mirando in seguito ristabilite le mura e pronta ogni cosa per venire alle mani, ordinò che i trombettieri sonassero a raccolta, volendo inanimire di questo modo le truppe:

II. «Non so, o guerrieri, trovar motivo di esortazioni prima di condurvi in campo, stato essendo io medesimo or ora testimonio della vostra prodezza, mercè cui, vinti i nemici, abbiamo ricuperato e Cartagine e l’Africa tutta dopo di che superfluo addiverrebbe con voi ogni incoraggiamento di parole, non parendomi verisimile che truppe una fiata vittoriose perdano all’istante la valentia degli animi loro. Tuttavolta non sarà fuor di proposito il rammentarvi che se vi mostrerete que’ dessi, i quali testè combatterono, porrete, a fe di Dio, termine ad ogni vandalica speranza, alle vostre fatiche ed alla presente guerra. Quest’ultimo cimento adunque che vi promette riposo e pace, e vi rinfranca da ogni tema sul conto de’ nemici, chiede grandissimo coraggio da voi, essendo tra le armi il solo valore peso e misura, non già la moltitudine de’ combattenti o la sterminatezza de’ corpi loro, a rendervi poi fortissimi nella mischia più che l’idoneo mezzo e il non perdere mai di vista la vergogna d’una sconfitta; e per verità come rinvenire [p. 390 modifica]obbrobrio uguale a quello che uomini generosi appariscano di sè stessi minori non adoperando secondo il cuor loro? e massime quando i nemici e per la incertezza degli avvenimenti, e per la memoria de’ tollerati disastri essere debbano meno andare di quanto appalesaronsi nelle passate battaglie: imperciocchè al mirare la fortuna contraria inviliscono gli animi abbandonati da lei, e tanto basta ad appianare la via della servitù. È mestieri altresì aggiugnere che motivi ben più gravi de’ precedenti armanci ora le destre; e il vero, se per ventura la prima giornata campale non si fosse riuscita conforme ai nostri voti ne avremmo a tutta somma riportato l’unico male d’una fallita conquista, mentre che adesso impugnamo il ferro per conservare il nostro; quanto più lieve calamità adunque il non fare nuovi acquisti che non il perdere i già fatti, di tanto maggior importanza de’ trascorsi estimar dobbiamo l’imminente aringo. Che se l’aspettazione della vittoria è forte stimolo a pugnar da prodi chi può mai avvantaggiarci in essa, protetti dal favore del Nume, ed in istato di schierare l’esercito intiero? Laonde se privi di fanti mettemmo in rotta il nemico vie meglio ne trionferemo ora, fanti e cavalli insieme. Non vi lasciate pertanto sfuggire la opportunità di terminare la guerra sinchè sta in voi il farlo, nè vogliate indugiare, memori che la fortuna trascurata una volta prontamente abbandona per sempre, e che disdegna lo stesso Nume ogni negligenza nel trarre profitto de’ beneficii suoi. Quanto in fine non andrebbe errato chi supponesse ora il [p. 391 modifica]Vandalo pieno di straordinario coraggio per liberare dalle nostre mani la prole, le donne, e gli altri suoi averi! affievolendo in iscambio la gravezza e l’acerbità del dolore assaissimo il corpo, e rendendo le menti incapaci di qualunque ardito pensiero. Queste mie parole sienvi ognora nell’animo, e disponetevi a meritare con valorose azioni quella gloria che attendesi da voi con diritto e la patria ed il nome vostro».