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Italia e Grecia/L'Italia nella questione di Grecia e d'Oriente

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L'Italia nella questione di Grecia e d'Oriente
Pro Candia Per Antonio Fratti e gli altri Italiani caduti a Domokos
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L’Italia


nella questione di Grecia


e d’Oriente.


[p. 51 modifica]Discorso pronunziato, discutendosi in Parlamento le mozioni sulla politica del ministero Rudinì-Venosta nella questione orientale, nella tornata della Camera italiana dell’11 aprile 1897.1


[p. 53 modifica]Presidente. L’onorevole Cavallotti ha facoltà di parlare.

Cavallotti. (Movimenti d’attenzione. Molti deputati scendono nell’emiciclo). Non tedierò molto la Camera, perchè non amo dilungarmi sopra un tema che mi rattrista.

Presidente. Prego gli [p. 54 modifica]onorevoli deputati di non mettersi fra l’oratore e gli stenografi.

Cavallotti. ... Forse, e senza forse, or sono due mesi non avrei presagito che il primo mio voto nella Camera nuova dovesse essere un voto contrario al Governo.

(Molti deputati occupano ancora l’emiciclo).

Presidente. Prego, onorevoli colleghi, non si frappongano fra l’oratore e gli stenografi.

Cavallotti... Al Governo, che chiudeva onorevolmente in Africa un periodo funesto e restituiva [p. 55 modifica]al bacio delle madri italiane gli scarsi avanzi dell’ecatombe africana, tuttora aspettante sugli autori giustizia; al Governo, che nella politica estera accennava a qualche linea nuova e felice, mercè un miglioramento dei rapporti con la nazione occidentale vicina, promettitore di conseguenze benefiche per gli interessi delle due nazioni sorelle e per la pace del mondo; che prometteva restaurare l’impero rigido della giustizia ed il prestigio di questo nome profanato, stendente ancora innominabili veli su innominabili cose; [p. 56 modifica]al Governo che esternava il fermo proposito di ridare a questo travagliato paese un po’ di vita sana, d’aria sana, di alleviargli la triste sciagurata eredità di miserie morali ed economiche; d’iniziare riforme tributarie, economiche e sociali, assicuranti i diritti della vita umana e del lavoro, redentrici d’intere plaghe italiane e di milioni d’esistenze italiane; al Governo che, indicendo onestamente i Comizî, restituiva finalmente al popolo italiano il diritto da troppo tempo contesogli di ritornare giudice degli autori de’ [p. 57 modifica]mali suoi ed arbitro della propria vita, a questo Governo molto avrei voluto indulgere: ma il fato ha suscitato quest’ora. E se anche a quel posto, invece del ministro degli esteri, che l’altro ieri parlò con parola abile ed alta (più abile che alta), sedesse l’amico a me più intimo, se vedessi rivivere, apparirmi da quel banco il sembiante di mio padre o del mio fratello caduto, se la persona a me più diletta nel mondo mi chiedesse un voto per le cose che udii, risponderei anche a mio padre o a mio fratello: di me [p. 58 modifica]prenditi tutto, ti posso dar tutto, ma un voto contro la Grecia no. (Approvazioni).

Perchè vi sono parole, voti, sillabe che possono uccidere un uomo come un partito.

Io ho altri doveri da compiere, che mi tolgono a melanconie di suicidio: la democrazia ha altre battaglie che l’aspettano, e che la tolgono a melanconie di suicidio.

Si ha un bell’essere uomini politici, uomini di Stato anche preclari, come quelli che siedono a quel banco; ma viene l’ora, [p. 59 modifica]anche per gli uomini di Stato, di ricordarsi d’essere semplicemente uomini e di lasciar libero il varco a ciò che vive eterno nel cuore umano e che il cuore delle moltitudini ascolta e comprende. Ed i maggiori uomini di Stato meritarono questo nome perchè più compresero queste ore.

Alla Grecia madre, che ci ha dato due civiltà, a cui chiedemmo la luce delle arti divine, che all’Italia serva e divisa furono unico orgoglio, unico alimento di vita e le prepararono negli affetti del mondo la sua vita seconda; alla [p. 60 modifica]Grecia, nelle pagine della cui storia, nei canti dei cui poeti tanti nostri precursori impararono ad amare la libertà, tanti nostri martiri impararono a morire, alla Grecia nell’ora che difende il diritto suo, che fu il nostro, bisogna pure che il cuore d’Italia lo dica: Sì, questo tuo è il diritto, o questa parola suonerà bestemmia nei secoli; sì, la causa che tu difendi è santa, o non c’è nulla più di santo nel mondo. (Bravo!)

Lo dica con le parole di Vittorio Emanuele, che qui furono ricordate l’altro giorno, o lo dica [p. 61 modifica]con le parole del biondo Nizzardo, o del pallido Genovese, o con quelle del Visconti-Venosta d’un tempo, o lo scriva col sangue di Santarosa, non importa: la parola del cuore d’Italia non può essere che quella: e in quest’ora ha il dovere di farsi sentire.

Il ministro ha parlato un altro linguaggio, che volle essere o parere il linguaggio della fredda ragione. Il solo averlo tentato fu atto di coraggio, e glie ne do lode, ma coraggio infelice. È bello sfidare l’impopolarità, è gloria dello statista sotto di essa [p. 62 modifica]cadere, opponendo al sentimento gli interessi di un paese: ma quando lo statista sa levarsi su su in alto fino là dove a lui splendono le ragioni supreme ed i principi supremi della vita di uno Stato; e da quell’altezza sa scernere gli interessi veri, maggiori, più riposti, dagli interessi minori, artificiali, apparenti. Ed allora spesso avviene che, guardando da così alto, il divario fra il sentimento e la ragione, nei grandi interessi di un popolo, gli appaia assai minore di quello che al volgo dei pretesi savii non paia. Indi è che [p. 63 modifica]i maggiori uomini di Stato ebbero tutti odore di rivoluzionari. E questa fu la forza di Cavour, che qui si è ricordata; questa fu la forza di Vittorio Emanuele, e può essere la debolezza di chi non lo imiti.

Diversa dalla vostra ragione poteva parlarvi la ragion di Stato; il linguaggio della ragione di Stato, in bocca vostra, io pensavo che potesse, che dovesse essere un altro; perchè la posizione dell’Italia nel problema orientale ed i suoi interessi sono molto diversi da quelli degli altri.

[p. 64 modifica]Voi ci avete parlato del Concerto europeo; ne avete parlato in un momento poco propizio, proprio nel momento in cui esso, di fronte alla resistenza greca (tanto più forte della ragione dei prepotenti è la ragione intima delle cose) sta rivelando, rispetto al suo scopo, la sua impotenza o la sua inutilità. Voi ci avete dipinta, in un linguaggio in cui passava una ombra indefinibile di tristezza, come un’eco, un rimpianto di ricordi di un tempo, ci avete dipinta l’Italia rassegnantesi a subirlo, questo Concerto, a malin[p. 65 modifica]cuore, come inseguita da rimorso, chinante, rassegnata, il capo ad una necessità maggiore di lei, contro cui non le resta altro scampo; prestantesi, riluttante, ad una opera che nell’intimo della sua coscienza riprova.

Questa fu l’intonazione melanconica della vostra difesa. Ebbene, in quel linguaggio, che vi onora come uomo, è la censura maggiore dell’uomo di Stato. Ed io provavo, in udirlo, una melanconia anche maggiore della vostra. Costa un po’ cara, dicevo fra me, costa cara all’Italia quest’ [p. 66 modifica]ambizione, di fare il passo lungo, per imbrancarsi tra i grandi che lo fanno più lungo di lei! Ah, dunque, perchè l’Italia è una potenza grande, deve compiere cose di cui arrossirebbe qualunque libero popolo piccino, che qualunque povero e piccolo popolo non vorrebbe scrivere nei suoi annali? Ah, come sarebbe stato meglio per lei che, invece di queste ambizioni, se le dovevano costar tanto care, invece di questi sogni, avesse, con meno ambizioni pel capo e più conoscenza di sè, e più carità pei suoi figli, rivolto l’occhio, da [p. 67 modifica]tempo, ai suoi interni dolori, alle sue miserie interne!... pensato a farsi, all’interno, un po’ di vita sana, a prepararsi prima ad essere prospera e ricca, e quindi forte, e quindi grande, per poter poi far valere tra i grandi la sua parola!... Come, più grande di questa grande Italia, giganteggia nella storia quel Piemonte piccino che, prima di avviarsi ai cimenti, ostentava dinanzi all’Europa il superbo assioma: Un paese non è grande pel suo territorio, ma per le idee che rappresenta! (Bene!)

E come più grande si erge [p. 68 modifica]oggi nel concetto dei popoli e del mondo questa piccola Grecia che all’Europa intimante e coalizzata, nelle sue note diplomatiche e nel contegno del suo popolo, oppone quella serenità calma ed energica che la coscienza del suo diritto le dà! E come mi ripiombava, riudendola dianzi, sull’animo la dolorosa rampogna uscita pochi giorni addietro dal presidente della Camera greca! «Io spero che la Grecia compirà il suo destino; ma se un dì fatta grande dovesse della sua grandezza abusare per offendere il diritto dei deboli, [p. 69 modifica]meglio per lei e pel suo onore che essa resti piccola in eterno!» Per chè anche di onore i popoli vivono: per un popolo che non sente questa idealità, non vi è orgoglio del vivere, non vi è luce del domani.

Ebbene lasciatemi ripetere: poichè eravate entrati in quella compagnia, in quel Concerto, io speravo che il vostro linguaggio fosse un altro. L’Italia, io pensavo, non può dimenticarsi, ed esimersi dal rammentarlo agli altri, che la sua posizione nel problema orientale era troppo diversa da quella [p. 70 modifica]degli altri. Io speravo di trovare nel discorso dell’onorevole ministro, nel suo contegno verso i Governi alleati ed amici, una nota tutta sua, speciale, una nota tutta italiana, un’eco sola, anche un’eco lontana di quelle vive, nobili energie, per le quali, or sono 34 anni, Emilio Visconti-Venosta, come fu nei discorsi ricordato, salito appena al Governo, augurava all’Italia, ancora incompleta, ancor priva di Venezia e di Roma, tanto più debole d’oggi e in condizioni tanto inferiori alle odierne e più difficili, augurava all’I[p. 71 modifica]talia ambizioni ben superiori alle odierne.

E non si offenda il ministro degli affari esteri. Confrontando il suo linguaggio d’allora e di ora, mai mi è apparso esempio più istruttivo, di quanto sia pericoloso errore, comune d'altronde all’Italia e ad altri Stati, che l’iniziativa e l’azione degli Stati in certe ore solenni trovinsi governate da uomini (siano pure di animo nobile, elevatissimi, com’egli è, di mente e di coltura) ma nei quali gli anni abbiano sopito le energie, le fiamme giovanili [p. 72 modifica]attraverso a cui passa nell’età forte il rapido intuito degli alti destini.

No, io non ammetto nè penso che il vostro compito fosse tutto e solo quello che ci avete narrato; fosse tutto e solo di dover limitarvi a recitare quella parte remissiva, rassegnata, in cui non ho trovato, per quanto cercassi, una traccia, un’ombra d’una resistenza, d’una controazione, efficace, seria, intesa a ritardare e ad arrestare gli eventi.

All’Italia, uscita appena da immeritate sventure, un’occasione [p. 73 modifica]alta offerivasi di afferrare nel Concerto delle Potenze una posizione morale tutta sua, di riguadagnare nelle simpatie, nel concetto de’ popoli, tanta parte di terreno perduto, di svegliare delle iniziative che le fossero conforto di non meritate umiliazioni. E l’occasione era tale che più bella non poteva a lei crearla apposta la mano di un destino compensatore ed ammonitore. Sì; dopo Adua, l’Italia, come chi esce da un lungo e doloroso sogno, dallo stordimento, dall’accasciamento di terribili mali, sentiva intenso il bisogno di [p. 74 modifica]affacciarsi ad una qualche nuova soddisfazione della vita. Il suo amor proprio sentiva il bisogno di una qualche cosa che di ferite immeritate le desse meritato, immediato conforto. E per questo un fremito corse tutta la penisola, non appena una voce parve dirle dal mare: — Tu che cercavi la gloria per le vie lontane dell’onde, non andare tanto lungi; assai da vicino una gloria migliore ti invita! Volevi portare con armi non giuste la tua civiltà a barbari che non sapevano che farsene e che non la volevano; soccorri colei [p. 75 modifica]che te l’ha data; perchè è essa la madre della tua civiltà, essa sì che ti vuole, essa sì che ti chiama! (Approvazioni) E l’entusiasmo divampò da un capo all’altro della penisola. Partirono volontari dalle città, dove si levavano le rotaie per impedire il passo ai partenti per l’Africa. In quest’anima di popolo, dove parevano sopite tutte le idealità della sua storia, eccole tutte d’un tratto risorgere vive, giganti: e quanto più dai ricordi de’ suoi giorni più belli si era venuta allontanando, [p. 76 modifica]con più violento ritorno il cuore ve la riportò.

Questo ritorno non era, no, un fatto accidentale; era il fatto più capitale della nuova vita italiana, un fatto provvidenzialmente riparatore. Questo fenomeno, che si svolge grandioso, imponente sotto i nostri occhi, che confonde migliaia di voci in un grido solo, questo fenomeno non è di quelli che un Governo possa, a certe ore, ignorare.

Quando l’anima di un paese si rivela in questo modo, un governo savio porge l’orecchio e vi [p. 77 modifica]cerca le voci che gli segnino la via.

Non è retorica questa, no: perchè il Concerto, il famoso Concerto disegnavasi, da bel principio, già tale, che una politica abile vi avrebbe trovato larghissimo margine per destreggiarvisi dentro. La Grecia, per la prima, ne avea fatto, in suo pro’ l’esperimento. Questo decantato Concerto si era venuto, per i casi di Creta, stentatamente formando, fra il sospettoso tastarsi d’una Potenza con l’altra, più che per chiara visione di uno scopo collettivo, per un timore confuso d’interessi cozzanti, [p. 78 modifica]come l’incontrarsi di gente, che una volontà energica, individuale raduna, ma che si trovano a disagio e che aspettano il primo pretesto per riprendere ciascuno la sua via.

Due soli vi portavano una volontà determinata: i due giovani imperatori del Nord: ed erano anche i soli che ci si trovassero a loro agio nel linguaggio della prepotenza. Vi si trovavano in perfetto accordo con se stessi, coi sistemi, con gl’interessi dei loro paesi.

L’Austria già ci metteva un [p. 79 modifica]impegno assai minore, e se la pigliava assai meno calda, come tirata a rimorchio, come non ben certa se, al postutto, lo scoppiare di complicazioni nei Balcani avrebbe nociuto a’ disegni suoi o non li avrebbe giovati affrettandone il corso.

Ma le due potenze occidentali si trovavano alle prese con la grande resistenza del sentimento pubblico, attraverso alla quale e sulla quale passava, suscitatrice, quasi sintesi della coscienza del mondo civile, la parola formidabile di Gladstone.

[p. 80 modifica]Dalle tribune di Londra e di Parigi il linguaggio dei ministri tradiva un evidente interno conflitto, e testimoniava delle perplessità, delle esitanze, delle titubanze di quei Governi, pencolanti fra gl’interessi della diplomazia e la pressione del sentimento popolare.

Una Potenza, una sola che invece di andar loro dietro, avesse a quelle esitanze dato una spinta, che in quel conflitto confuso di egoismi di Governi ancora incerti della propria via, avesse portato la nota certa e chiara del [p. 81 modifica]sentimento europeo, la nota alta, dissuaditrice di misure odiose, questa Potenza (lo si capiva, lo si sentiva nell’aria ed era nella coscienza di tutti gli uomini politici europei) presto non sarebbe rimasta sola.

Tale Potenza non poteva essere che l’Italia.

Era venuto il momento pel ministro Visconti-Venosta di ricordarsi delle parole che l’altro giorno l’onorevole Barzilai gli rammentava, era venuto per lui il momento di ripetere quelle altre che aveva pronunziate nel 1878 [p. 82 modifica]in una seduta celebre, nella quale lo ebbi contradittore cortese:

«La protezione delle nazionalità nell’Oriente (egli diceva in quel giorno) è tradizione che l’Italia non può abbandonare. Occorre all’Italia una politica per cui la Grecia impari a contare sopra la influenza italiana come sopra una influenza assolutamente favorevole ed amica. Perchè noi abbiamo in Oriente influenze morali e commerciali che ci furono lasciate dalla tradizione, e che intendiamo svolgere e continuare, [p. 83 modifica]come le altre Potenze svolgono e continuano la loro.»

Era venuto il momento pel Governo italiano di fare intendere ai Governi alleati ed amici come e quanto speciale, dolorosamente speciale, fosse, nella questione greca, la posizione dell’Italia in confronto degli altri; poichè per lei sola e per nessun altro (neppure per la Francia e per l’Inghilterra, giunte da secoli alla loro esistenza nazionale per altre strade della storia), per lei sola si trattava di stracciare il proprio atto di nascita.

[p. 84 modifica]A lei sola ed a nessun’altra, neppure alla Francia, neppure all’Inghilterra, la Grecia, il mondo civile potevano rinfacciare questa alta umiliazione, questo morale suicidio, del dover rinnegare il proprio diritto pubblico, la legge stessa della propria origine.

A lei sola, a lei nata dai plebisciti e dal non-intervento, incombeva di reclamare per Candia lo stesso diritto plebiscitario, di chiedere per la Grecia alle Potenze l’applicazione dello stesso trattamento. Questa iniziativa, questa proposta del plebiscito da parte [p. 85 modifica]del Governo italiano io me l’aspettava; mi pareva impossibile che dall’Italia non venisse; cercavo con ansietà, nella condotta del Ministero, le tracce di un’azione diplomatica energica ed abile che avesse saputo approfittare delle incertezze dei Governi occidentali, delle affinità della loro situazione colla nostra, volgerle a profitto di un’opera mediatrice, scongiuratrice di misure odiose, di violenze estreme.

Guardate: la Grecia ve ne dava l’esempio. Non è una grande Potenza; è un piccolo Stato, uno [p. 86 modifica]dei piccoli fra i piccoli Stati, eppure è da un mese che di fronte all’ultimatum di sei giorni delle Potenze, che pareva non lasciarle scampo, e dal quale pareva che dovesse venire il finimondo, essa con le sue note diplomatiche, col prestigio di una vera e forte resistenza morale, tiene a bada tutte le Potenze, tutta l’Europa coalizzata! E voi, grande Potenza, in rapporti cordiali coi vostri alleati ed amici; in grado di far valere il vostro eccezionale concorso al Concerto, già dato colla presenza di tante navi in quelle [p. 87 modifica]acque, non avete saputo fare nulla di simile; non vi è bastato pur l’animo di buttarla là, prima che tuonasse il cannone, quella proposta così doverosa per voi, così naturale, che poteva essere il principio di nuove trattative, di benefici temporeggiamenti.

Eppure l’azione che io penso si affacciava così ovvia che è impossibile che non vi abbia tentato. Ed io ricordo che or sono due mesi, al primo scoppiare dei casi d’Oriente, deputato ancora della Camera disciolta, quando chiesi al capo del Governo per [p. 88 modifica]conto mio e degli amici qualche lume sugli intendimenti suoi, dalle sue parole trassi un intimo conforto e mi credetti da esse autorizzato a dire agli amici che, per quello che a me constava del pensiero del Governo, questi giammai avrebbe pensato a fare il gendarme della Turchia, giammai avrebbe dimenticato nei casi d’Oriente i doveri imposti all’Italia dalle proprie origini, la politica naturalmente additata ai Governi, che, come l’Italia, la Francia e l’Inghilterra, vivono della [p. 89 modifica]opinione pubblica e devono fare i conti con essa.

Certo questo fu il primo pensiero del Governo e questo torna a sua lode. Ma di lì a qualche tempo i sintomi ed il linguaggio mutarono. D’onde venne questo mutamento? D’onde questo sparire improvviso, completo e doloso di qualunque spirito d’iniziativa?

Io non lo so, ma dico che se la ragione del mutamento dovesse cercarsi nell’azione prepotente, iraconda di quello Stato che diede pel primo, al Concerto delle [p. 90 modifica]Potenze, la spinta vigorosa dei puntigli suoi, e nei vincoli speciali che a quello Stato ci legano, questo potrebbe essere una attenuante per voi come uomini, ma ne uscirebbe una ben grave condanna per una politica, che agli interessi alti, maggiori della nazione, sostituisca queste ragioni personali e nascoste.

E se nessuna benefica iniziativa osaste per tema di spiacere a qualcheduno, allora a che serve che l’Italia rappresenti nel Concerto dei grandi Stati qualche cosa, che gli altri non rappresentano?

[p. 91 modifica]Voi non siete grandi nè per ricchezze sterminate, nè per distese immense di territorio, nè per prestigio di potenza militare, come le altre nazioni; una sola grandezza, una sola forza morale avete, che come tutte le forze morali è anche una forza materiale. L’Italia rappresenta il diritto nuovo, a cui si inchina la coscienza del mondo civile, col quale anche le grandi Potenze sono costrette a fare i conti, tanto che basta fin la piccola Grecia ad obbligarvele: e questa forza morale, che era tutta vostra, che poteva tirare [p. 92 modifica]altri con voi, e della quale ricordarvi era obbligo, non avete saputo adoperarla; non una resistenza, non una controproposta che tentasse di scongiurare il blocco e le violenze che ne seguirono.

Dove andrete di questo passo? Dove finirete?

Perchè questa politica di remissione docile al volere degli altri, per la logica che impone a sè medesima, vi può portare a tutto.

Ecco; avvennero i bombardamenti di Acrotiri, di Suda, di Malaxa; avete dato spiegazioni, [p. 93 modifica]includendo nelle spiegazioni anche il dovuto elogio ai marinai e soldati italiani, che in difficili condizioni fecero onore al nome che portavano; ed io accetto lealmente tutte queste spiegazioni, ve le meno buone tutte, e faccio eco ai vostri elogi, non faccio la più piccola riserva sugli schiarimenti dati, perchè, dato un primo passo falso, le conseguenze sono inevitabili: ma tra poco, andando avanti, queste spiegazioni non vi serviranno più, non vi salveranno più.

La Grecia non cede; non perchè non voglia cedere, ma perchè [p. 94 modifica]non può cedere. Dove finirete?

Io mi sono sentito dire un giorno da qualcuno: «Piuttostochè uscire dal Concerto, bombardo il Pireo.»

Ed io l’ho presa per una metafora; no, voi Governo italiano non bombarderete il Pireo, perchè il giorno (che io non vi auguro) che navi italiane tentino abbattere le mura sacre della libertà greca, che proiettili italiani tentino rovesciare i baluardi del diritto greco, che è il nostro, quei proiettili rimbalzerebbero su voi e la coscienza nazionale [p. 95 modifica]rovescerebbe le vostre persone. (Bravo!)

Ed allora io mi domando: Il vostro Concerto a che serve? La vostra politica remissiva non solo vi toglie il vantaggio di chiamarvi grande Potenza, non solo fa invidiare all’Italia la modestia onorata dei piccoli Stati, ma spezza e distrugge in mano vostra l’argomento maggiore con cui tentate giustificarvi: la speranza ipotetica di farvi valere nel giorno della ripartizione delle spoglie.

Ebbene no: che mai sperate di farvi valere allora, quando tutta la vostra condotta nel Concerto [p. 96 modifica]europeo avrà già segnato il vostro posto al futuro tavolo verde, un posto ben più modesto di quello del conte di Cavour a Parigi nel 1856? Come potrete farvi valere quando l’Italia, all’ora della ripartizione, si troverà di fronte al problema ingigantito dagli eventi, alle ingordigie rese più fameliche dalla vista della preda, se non avete saputo farvi valere adesso, in una posizione, senza confronto, più propizia e meno tesa?

Data la libra che avete nel Concerto dimostrata, io vi so dire che quel giorno uscirete dal [p. 97 modifica]Congresso futuro non diversamente dal modo come siete usciti dal Congresso di Berlino.

Solo bisognerà cambiare il nome a quella politica che allora fu battezzata con un nomignolo che voleva essere insieme scherno e lode; e svanirà la lode, ma resterà lo scherno; invece che politica dalle mani nette, dovrete chiamarla politica dalle mani vuote: nette non più, perchè gronderanno di sangue.

Come vedete, la vostra politica non trova spiegazione, a mio modesto avviso, nella ragione di [p. 98 modifica]Stato più che nel sentimento; la vostra politica non iscongiura, onorevole ministro degli esteri, la guerra, ma conduce l’Italia, senza speranza di compenso o seguendo il sogno di un compenso ipotetico e lontano, la conduce ad associare il suo nome ad una opera che le assicura intanto un danno enorme, certo, immediato, nella distruzione della influenza italiana e delle simpatie per l’Italia, là su quelle spiaggie dell’Egeo e dell’Asia Minore, dove il nome italiano e fino l’idioma italiano da secoli han resistito e [p. 99 modifica]resistono all’urto dei domimii barbarici, e di quel prestigio e di quelle simpatie s’alimentano laggiù i nostri interessi materiali e i nostri commerci in quelle plaghe.

La vostra politica porta l’Italia, contro vostra voglia, ad una mortificazione peggiore di quella d’Africa: perchè, se l’impresa d’Africa era ingiusta, ad Adua almeno il valore fu sopraffatto dal numero; ma la ingiustizia che si esercita con la prepotenza sui deboli aggiunge alla propria [p. 100 modifica]vergogna il disdoro che le viene dalla compiuta viltà.

Non era, no, questa la rivincita sognata per la bandiera italiana; non era, no, il ricongiungere il nome d’Italia ad un’opera che renderà questa fine di secolo disonorata nei secoli venturi.

Ciò è così rattristante, ciò mi addolora tanto come italiano, che se la mia voce e quella degli altri oratori avessero potuto o potessero bastare come scongiuro supremo de' cuori italiani per arrestarvi sulla via funesta, tutto l’occorso fin qui dimenticherei; [p. 101 modifica]non mi sentirei più il coraggio di recriminare contro errori che per la loro stessa gravità vi avessero aperto gli occhi ed avessero detto al vostro animo italiano che è tempo di fermarvi sulla cattiva via.

Oh! se quella parola foste in grado di dirla, oh! come vedreste una vampa di entusiasmo salire ancora dal cuore del popolo! Oh! come un grido unanime da questa Assemblea, uscita pur ieri dal suffragio popolare, vi accerterebbe che il cuore della nazione è con voi! Ma la speranza pur troppo è fioca. Sento che è [p. 102 modifica]troppo tardi; la forza maggiore a cui vi siete acconciati vi porterà dove vorrà, e non saprete resisterle.

Il mio pensiero legge pur troppo nel vostro: e vede navi italiane salpare dai nostri lidi, portare a Candia o in Grecia altri soldati italiani. Dolorosa e non meritata ripetizione della propria storia, l’Italia li vedrà partire con la stessa stretta di animo onde vedeva allontanarsi le vele portanti i suoi figli alle terre maledette dell’Africa. Non voleranno già a quelle navi gli entusiasmi che salutavano dal Pireo i nuovi [p. 103 modifica]mille della falange liberatrice.2

Non correrà ad esse il cuore d’Italia: perchè il cuore d’Italia a quest’ora è là con i generosi che sulle balze di Sfactia, e al confine della Tessaglia già infranto, in questo momento rappresentano l’Italia e l’onor del suo nome fra i popoli.

Il nostro pensiero è là, e Dio sperda l’augurio che petti italiani si trovino di fronte ad armi italiane.

[p. 104 modifica]Io non so rassegnarmi all’idea che a voi patrioti, a voi italiani, basti l’animo di giungere fin là: resti ad ogni modo consegnato alla storia, per l’onore dell’Italia, per l’affetto dei popoli liberi che esultanti salutarono il suo ritorno nel mondo, resti consegnato alla storia che contro quest’opera l’Italia ha protestato laggiù col sangue di liberi uomini, qua col voto di liberi cuori! (benissimo! Bravo! — Applausi all’estrema sinistra e a sinistra — Moltissimi deputati vanno a stringere la mano all’oratore).

Note

  1. Resoconto ufficiale, pag. 133 e seguenti.
  2. La spedizione di truppe greche a Candia, comandata dal colonnello Vassos.