Juvenilia/Libro IV/A Enrico Pazzi

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LXIII.

A ENRICO PAZZI

quando scolpiva il busto di vittorio alfieri

e altri d’altri illustri uomini


Perché sdegno di fati
E l’ozio reo che nostre voglie ha piene
Vie piú ti prema, italo sangue, in basso,
Né tu ti volga o guati,
5Peregrin tardo e vuoto d’ogni spene,
A le glorie che son sovra il tuo passo;
Non è senza gl’iddii se teco in basso
Luogo ancor non ruina
Ogni antica virtú; ché in te sormonta
10Viltade sí ch’ogni speranza è gioco.
Oh, se pur sotto a’ gravi pesi e a l’onta
Sfavilla ancor di quel leggiadro foco
Che tutta corse un dí terra latina,
Vostra mercé, petti gentili, dove
15Or fa nostro valor l’ultime prove.

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E te a la bella schiera
Il fortissimo amor fece consorte
Che oprando hai mostro per sí nove guise.
Deh chi potea la fiera
20E grande imago vendicar da morte,
Di noi da ignavia rea menti conquise?
Te, certo, te l’ombra divina arrise;
Sí ch’eguale al subietto
Tua virtú si levò. D’amor, d’iroso
25Amor vampò su l’alta impresa il core.
Come cred’io che al ciglio lacrimoso
E a l’occhio ardente ed a l’ansar del petto
Si paresse il magnanimo furore!
Ché nulla, o prode, è di tua man la bella
30Lode verso il pensier che in te favella.

O caro, a cui possente
Spirò pietà di questa madre antica
E a l’opra degna carità suase!
Vedi la nova gente
35Come a’ parenti suoi fatta è nemica
E deserta di sua luce rimase.
Rea servitú gli antichi spirti rase
Da’ cor difformi; e omai
A noi disnaturar fatti siam pronti,
40Come turbo d’usanza avvien che spiri.
Ahi scesa giú de’ mal vietati monti
Pèste diversa che le menti aggiri;
Per te vita n’è spenta. E nostri guai

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Cresce la vana gioventú superba
45Che tutti i frutti suoi consuma in erba.

Alto è d’amor consiglio
Ritornare al primier rito civile
Quel che di tanta gloria oggi ci avanza,
Sí che dal turpe esiglio
50Ripigli l’arte il suo cammin, gentile
Confortatrice a l’itala speranza.
Deh, per questa valente abbian possanza
Indurre a’ cor vergogna
Le imagini de’ grandi in cui s’aduna
55Quantunque è del buon seme a’ tempi nostri.
Ben procurasti contro rea fortuna,
Se le dive sembianze or sí ne mostri,
Ch’esciam del sonno, ove nostr’alma agogna
Disdegnando e fremendo. È degno affetto
60Ira, sol ira, in servo italo petto.

Vittorio, e s’or ne pari
Tu qui veracemente e quel tuo sdegno
Che sol del ricordar ne fa sgomenti,
Qual fia l’anima pari
65A tanta vista e ’l ben creato ingegno
Che sé da l’ira tempri e da’ lamenti?
Lunge, lunge di qua, spiriti lenti!
Ch’ove gli affetti erranti
Fioca dan luce, ed a l’ardir sublime
70Che contrasta il destino uom non s’allegra;

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Ove contente a la quïete ed ime
Giaccion le menti, e scherno ahi scherno a l’egra
Gioventude è il desio del raro e i pianti
De la virtude e l’ire; ivi alta l’ombra
75Di morte incombe e i cuor disfatti ingombra.

Tu ’l sai, che nostra terra,
Errando del tuo sdegno in compagnia,
Del sacro suon di libertade empiesti;
Quando venuto in guerra
80Di re, di plebi e di tua stirpe ria
Tanto pe ’l patrio ciel grido mettesti:
Pur si stierono i lenti. Or piú funesti,
O spirito cortese,
Ne si girano i fati; e nulla alta
85Veggo a mia gente che tra via pur cade.
Dunque sempre smarrita
Fia dal suo corso? e in noi sempre viltade
Suo soverchio userà? fien d’ozio offese
Nostre menti in eterno? e veramente
90Persa è la tempra di ciascun valente?

Chi provvede al difetto
Ch’è pur da noi? chi noi d’oblio ravvolti
Di pur rinnovellare or ne fa dono?
Ecco un sacro intelletto
95Ascoso dir, te figurando — I volti
Drizzate al ver: sorga il valor ch’è prono.
Costui che novamente io vi ridóno

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Alzi il cor de’ sommersi;
E chi muta co ’l vento e nome e lato
100Sgridi; e punga i ritrosi, e i lenti scota;
Sí che tornin le menti al proprio stato.
Nostra compianta fama e la rimota
Età ve ’n priega, e questi onde a gli avversi
Chiaro fu come in su gli estremi giorni
105L’itala possa sovra sé ritorni.

Pietoso! E chi d’uguali
Laudi te, o buono, adornerà, che prove
Sí degne mostri onde a ben far c’incore?
Segui: a’ tuoi liberali
110Studi è fin meraviglia, e di lei move
Ogni bel senso onde piú l’uom s’onore.
Per lei, l’atra quïete e le brevi ore
Terrene e le fatate
Pene indignando, a’ vagheggiati inganni
115Corre nostr’alma con novelle piume,
E maggior se ne fa. Deh, siegui; e gli anni
Tuoi belli ozio non vinca e rio costume,
Cara nostra speranza; e d’onorate
Opre giovando questa patria, al vile
120Sopor contrasti l’ardir tuo gentile.