L'Economico/Capitolo XV

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Capitolo XV

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo XV
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CAPITOLO XV.


Da poi che adunque avrai alcuno così bene ammaestrato, che in prima sia divenuto bramoso di ogni tuo maggior bene, e che attenda ancora con diligente cura a procacciartelo, appresso, che conosca come si abbia a fare ciascuna faccenda, perchè riesca utile e che sappia pure soprastare in modo da aversi gli altri ubbidienti, e che oltre tutte queste cose, quei frutti, che la terra in ogni stagione produce, così fedelmente te li rappresenti, come se tu stesso li raccogliesti colle proprie mani; non ti domanderò io più di quest’uomo se gli bisogni apprendere alcun‘ altra cosa, perocchè questi ben parmi un castaldo sommamente da pregiarsi. Quello però non lasciare ora in dietro, o Iscomaco, che nel nostro ragionamento infruttuosamente fu trapassato. Di che parli? disse Iscomaco. Tu hai detto, gli risposi, che assai importava di apprendere come si avesse ad eseguire ciascuno dei lavori della campagna, senza di che si [p. 79 modifica]renderebbe inutile anche la diligenza di un castaldo, non sapendo di ciò che conviene farsi, quando e come si faccia :)•( ora, io dissi, o Iscomaco, tutte le altre cose di cui ragionasti stimo di averle apprese, cioè come dicesti che si faceva a rendersi alcuno amorevole, come diligente, come atto a soprastare, come giusto; ma in quanto a quello che hai detto, richiedersi a coltivare i campi di sapere quali lavori, e in qual maniera si abbiano a fare, intorno a questo parmi che il ragionamento ci sia trascorso senza che possa cavarsene alcun frutto; poichè egli è come se tu dicessi che per sapere, e scrivere le cose, che sono state dette, e leggere quelle, che sono state scritte bisogna conoscere le lettere: quando avessi udito questo, avrei imparato, che bisogna conoscere le lettere, ma non per questo saprei niente meglio di prima leggere, o scrivere; così benchè ora dicendomi tu, che per esercitare l’agricoltura sì è necessario sapere come si facciano lo sue opere, di questo agevolmente me ne persuado, ma quando ho imparato questo, non ho già imparato niente meglio di prima ad esercitare l’agricoltura, anzi se dopo avere udito ciò volessi subito por mano a coltivare la terra, ben mi parrebbe di essere simigliante a quel medico, il quale andasse a torno a visitare gli infermi, e non sapesse quello, che si dovesse fare per tornarli sani. Pertanto acciocchè non sia tale, insegnami, dissi, [p. 80 modifica]quest‘opera dell’agricoltura. )•( Allora Iscomaco così prese a dire: tu vuoi, o Socrate, a quello che me ne pare, che io t’insegni l’arte stessa dell’agricoltura? E così è, diss’io, perchè dessa per avventura si è quella che fa ricchi coloro che la sanno bene esercitare, e che fa poi vivere miseramente in mezzo a mille travagli quelli, che male la esercitano. Ora adunque, o Socrate, disse Iscomaco, tu intenderai quanto l’agricoltura sia amica degli uomini, perciocchè essendo questa come si è veduto utilissima, e piacevolissima a praticarsi, e bellissima, e accettissima agli Dei, e agli uomini, se ti dimostrerò quanto sia ancora ad apprendersi facile, non dovrà questa a ragione chiamarsi buona, poichè buoni diciamo noi tutti quelli animali, che belli, grandi, ed utili essendo, sono anche facili a dimesticarsi cogli uomini. )•(...)•( E veramente, o Socrate, disse, non avviene già nell’agricoltura siccome nelle altre arti, nelle quali bisogna logorar molto tempo per apprenderle, innanzi che alcuno possa con esse guadagnarsi il vitto. Ma le operazioni dell’agricoltura non sono cotanto difficili ad impararsi, che anzi molte col vederle praticare, ed altre coll’udirne ragionare soltanto le apprenderesti così bene da potere anche, se il volessi, insegnarle ad altri, e sono pur persuaso, che tu non ti sia punto avveduto di conoscer già da te stesso moltissime opere dell’agricoltura: inoltre nelle [p. 81 modifica]altre arti ogni artefice nasconde il più che può quello che maggiormente importa di sapere nella sua arte; ma l’agricoltore quanto meglio va egli piantando, o seminando tanto è più lieto se alcuno si stia a riguardarlo, e qualunque cosa gli domanderai intorno ai lavori che ha già ottimamente compiuti, nulla ti nasconderà del modo con cui li abbia fatti. Così e’ si pare, o Socrate, che anche in quanto ai costumi l‘agricoltura renda migliori quelli, che in essa si esercitano. )♦( Ancora mi sembra, che la terra col rendere tutte le sue opere cotanto facili a conoscersi, e ad impararsi ci faccia con sicurezza discernere i buoni dai cattivi uomini: perchè coloro che non vogliono durar fatica nel coltivamento della terra non possono già, come nelle altre arti valersi del pretesto di non saperle, mentre tutti sanno, che la terra ben coltivata bed rende. E nel vero che l’agricoltura assai manifestamente accusa ogni persona che abbia un cattivo animo; poichè niuno si persuade che altri possa vivere, se non abbia quelle cose, che sono necessarie alla vita: quindi chiunque non sapendo alcuna di quelle arti che danno guadagno, rifiuti anche di coltivare la terra, egli è ben chiaro, che pensa di vivere frodando, o mendicando, o di essere affatto privo di senno. )♦( Cotesto tuo proemio, diss‘io, è molto bello; e certo egli non parmi tale, che avendolo udito abbia alcuno a ristarsi dal richiederti più [p. 82 modifica]oltre della sua dimanda. Tu poi quanto si è più convenevol cosa di apprendere l’agricoltura tanto maggiormente in essa ammaestrami perciocchè a te non fia già vergogna l’insegnare una cosa facile, ed io piuttosto dovrò vergognarmi di non saperla, massimamente poi se avvenga che sia essa ancora cosa utile.